Un tribunale spagnolo ha emesso un mandato di cattura per violazione dei diritti umani nei confronti dell’ex presidente cinese Jiang Zemin e di altri quattro alti funzionari: l’ex primo ministro Li Peng, l’alto funzionario di polizia e intelligence Qiao Shi, l’ex segretario del Partito comunista in Tibet Chen Kuiyan e l’ex ministro della Pianificazione Familiare Peng Peiyun.
Mandato di arresto internazionale per Jiang Zemin, Li Peng e altri tre alti dirigenti cinesi, considerati i responsabili di un presunto «genocidio» contro la popolazione tibetana.
La decisione segue quella di alcune settimane fa, che aveva accusato l’ex presidente cinese Hu Jintao di genocidio. Si tratta di un gesto clamoroso, che avrò sicuramente ripercussioni tra i due paesi, e che ricorda la vicenda dell’ex dittatore cileno Pinochet, arrestato a Londra su mandato spagnolo per «crimini contro l’umanità».
La Corte spagnola è giunta a questa decisione contro i dirigenti cinesi, in base alla possibilità riconosciuta di prendere in considerazione anche i casi internazionali di violazione dei diritti umani, purché ci sia almeno un cittadino spagnolo coinvolto. Nel caso del Tibet, uno degli esuli querelanti, Thubten Wangchen risponde esattamente a questo requisito.
Si tratta di imputazioni pesanti, soppesate a fronte del mancato lavoro dei dirigenti cinesi per rispondere alle accuse; quando il 10 ottobre scorso venne fuori il nome di Hu Jintao – collegato al Tibet perché fu capo del Partito nella regione autonoma e dopo le rivolte del 1988, fu lui a istituire la legge marziale in tutta la regione nel 1989 – la Cina reagì duramente.
«Siamo fermamente contrari al fatto che un qualsiasi paese o persona tenti di utilizzare questo tema per interferire con gli affari interni della Cina», aveva dichiarato nel briefing con la stampa estera, il portavoce del ministero degli Esteri, Hua Chunying.
Nell’ordinanza di arresto, emessa dal giudice Ismael Moreno, della seconda sezione dell’Alto tribunale, gli imputati sono accusati di azioni volte «a eliminare l’esistenza» del Tibet attraverso l’imposizione della legge marziale, la deportazione forzata della popolazione, «l’eliminazione progressiva della popolazione autoctona».
Viene descritta la repressione di polizia e militare in Tibet negli anni 1987, 1988 e 1989 e la politica di imposizione «di aborti e sterilizzazione forzata della popolazione tibetana».
La Corte Penale Nazionale spagnola e il giudice Ismael Moreno hanno convalidato i mandati “sulla base di segni di partecipazione” in abusi “e data la responsabilità politica o militare di ognuno di loro, durante il lungo periodo in cui i fatti oggetto di indagine si sono verificati”.
Il mandato fa seguito a un’indagine durata otto anni e si basa sul principio di “giurisdizione universale”, riconosciuto solo da alcuni Paesi, secondo cui alcuni crimini sono di tale portata che non possono essere limitati dalle giurisdizioni nazionali; inoltre – sempre in base al principio – ogni tribunale nazionale può sostituirsi ai tribunali internazionali. La Spagna è tra i Paesi che riconoscono tale principio.
L‘inchiesta sul presunto genocidio è stata avviata sulla base della denuncia presentata dal Comitato di Appoggio al Tibet, dalla Fondazione Casa del Tibet e dall’Associazione Thubten Wangcheg Sherpa Sherpa, contro l’ex presidente Jiang Zemin e altre sei ex responsabili del Partito comunista e del governo cinese. Fra i destinatari degli ordini di arresto, l’ex segretario del Partito comunista e l’ex capo della sicurezza della polizia cinese in Tibet.
In pratica, se Jiang e gli altri dovessero recarsi in Spagna o in qualche Paese che ha un trattato di estradizione con Madrid potrebbero essere arrestati. È opinione unanime che molto difficilmente questo accadrà, ma la vicenda ha comunque valore simbolico per quanto riguarda la questione tibetana.