Dopo le proteste, Xi Jinping richiama all’ordine Shanghai. Ripristinata la politica intransigente del governo centrale. Ufficializzate le prime morti di persone tra 89 e 101 anni
La politica «Zero Covid» secondo la dirigenza cinese ha avuto una priorità: la vita delle persone. È chiaro che dunque le prime misure (più leggere, alla ricerca di una sorta convivenza con il virus) con le quali la municipalità di Shanghai ha provato a gestire i contagi per tutelare il peso economico della città (che ha contribuito per oltre il 3% al Pil cinese e rappresenta oltre il 10% del commercio totale cinese dal 2018) sono state viste come negative dal potere centrale.
DIRE «TUTELARE» GLI AFFARI per Pechino può aver avuto un significato ben preciso (e negativo), ovvero «tutelare i capitali privati». In questo senso Pechino deve aver letto la volontà dei funzionari locali non in sintonia con le recenti politiche legate alla prosperità comune e alla forte pressione sulle imprese private decise dalla leadership centrale. Non è un caso che Xi Jinping – a causa dei contagi che a un certo punto sono scoppiati e alle prime evidenti difficoltà a organizzare una risposta forte ed efficace – ha mandato là Sun Chunlan, vice premier e unica donna del Politburo, per rimettere tutti in riga. Contemporaneamente, insieme al ritorno a politiche dure in termini di chiusure, quarantena e test di massa, si è rivista una retorica e un allineamento generale sulla necessità di perseguire la politica «Zero Covid».
Come riportato da Bloomberg, «Xi ha fatto un velato riferimento alla crescente indignazione di mercoledì durante una visita ad Hainan, affermando che il Paese doveva mantenere il suo approccio di tolleranza zero al Covid nonostante il crescente malcontento e i costi economici. In particolare, ha affermato, è necessario superare i “pensieri paralizzanti” e la “stanchezza della guerra”, prevenendo al contempo casi importati e riacutizzazioni di virus locali».
DEL RESTO GIÀ L’8 APRILE facendo un riferimento alle Olimpiadi aveva specificato che «Come hanno detto alcuni atleti stranieri, se ci fosse una medaglia d’oro per la risposta alla pandemia, la Cina se la meriterebbe». L’arrivo a Shanghai di Sun è coinciso con test di massa (rapidi e molecolari) di tutta la popolazione (26 milioni di abitanti), cui sono seguite le successive azioni: chiusure in casa o nei Covid center, meccanismi di test costanti; quello che è parso saltare però, a un certo punto, è stata proprio l’organizzazione con persone lasciate a casa senza cibo per giorni prima di essere trasportate nei centri di quarantena. Il tutto con migliaia di casi asintomatici ma nessuna morte, secondo le autorità centrali.
NEI GIORNI SCORSI la Bbc aveva sostenuto che secondo alcune fonti di un ospedale di Shanghai i morti di Covid fossero almeno una dozzina, ma dati ufficiali al riguardo non sono mai usciti prima di ieri, quando le autorità cinesi hanno ammesso per la prima volta le prime tre morti a Shanghai. Si tratta di persone molto anziane (tra 89 e 101 anni), non vaccinate (il tasso di vaccinazione tra le persone anziane in Cina non è altissimo). Il basso numero dei morti ha riportato in auge alcune polemiche legate alla gestione poco trasparente della Cina in questo frangente. Il Financial Times riporta le parole di Jin Dong-yan, virologo dell’università di Hong Kong, secondo il quale Pechino «ha adottato un approccio diverso da altri luoghi, dove le persone morte dopo aver contratto il Covid-19 sono state incluse nei dati ufficiali sui decessi». Jin ha affermato che gli ospedali cinesi tendevano a concentrarsi su malattie croniche come cancro, malattie cardiache o diabete come causa di morte anche quando le persone avevano contratto il virus e le persone con tali condizioni non sarebbero state incluse nelle statistiche ufficiali sulla mortalità per Covid. Intanto ieri le autorità hanno comunicato il termine per fermare l’epidemia Omicron nelle zone non in quarantena di Shanghai: dopodomani. Un obiettivo piuttosto complicato.
NEL FRATTEMPO abbiamo visto di nuovo di tutto: scontri tra polizia e abitanti di certi complessi residenziali spostati in altri per trasformare le loro vecchie abitazioni in Covid Center (ipotesi prevista dal contratto ma che non ha fermato, ovviamente, le proteste). E ancora striscioni con la denuncia di morti, altri episodi di mancato funzionamento della macchina amministrativa e il paradosso della censura sui social delle prime parole dell’inno nazionale anticipato da un # (senza hashtag le parole – Alzatevi! Gente che non vuole essere schiava! – non sono censurate).
L’ATMOSFERA sembra rimanere di grande tensione, benché questi episodi non siano diventati una scintilla per proteste più fragorose, ma la domanda «come è possibile che accada tutto questo» pone un problema pesante per la leadership del Partito. Il Pcc non ha alcuna pietà di dissidenti e di chi mette in discussione la sua supremazia politica, ma la Cina non è uno stato di polizia. In queste circostanze però, il controllo dei corpi, la dura e ottusa perseveranza in quello che è un simbolo della leadership di Xi Jinping ha fatto toccare con mano alla popolazione l’autoritarismo del Pcc.
DA PARTE SUA IL PARTITO, Xi Jinping, la leadership e molti virologi o commentatori continuano a difendere questa policy sulla base di un dato: la Cina ha avuto meno morti di tutti, quindi, si dice, questa politica sarà pure pesante, darà pure tutta una serie di potenziali conseguenze negative da punto di vista economico, ma è l’unica strada percorribile. Il fatto che a Shanghai non abbia funzionato, non significa che sia sbagliata; significa che a Shanghai sono stati fatti degli errori. Questo vuol dire che politicamente quanto accaduto avrà delle conseguenze. Shanghai, infatti, è sempre stato il trampolino di lancio per molti politici che poi hanno avuto incarichi importanti (lo stesso Xi è stato per meno di un anno segretario del partito della metropoli).
E per alcuni funzionari l’aria si è fatta pesantissima (pur essendo in odore di promozione al prossimo congresso di ottobre): Li Qiang, il segretario, è stato protagonista di un video dove si vedevano persone che si lamentavano della mancanza di cibo e delle condizioni della quarantena. Poi venerdì, come riportato dal Scmp, il vicesindaco Peng Chenlei si è scusato per aver deluso la popolazione: «Quello che voglio dire è che ci sono molte carenze nel nostro lavoro e chiediamo umilmente i suggerimenti della popolazione e posso assicurarvi che faremo del nostro meglio per migliorare». Probabilmente se non saranno puniti, non saranno neanche promossi: la loro prima risposta al Covid – infatti – non è stata in linea con i desiderata di Pechino, anzi.
LE CONSEGUENZE economiche, secondo gli ultimi dati rilasciati non sono positive: le vendite al dettaglio sono diminuite del 3,5% rispetto al mese scorso, «poiché i blocchi hanno intaccato gli acquisti dei consumatori» (Ft). Sebbene l’attività industriale «sia ancora cresciuta del 5% a marzo, ciò ha segnato un rallentamento rispetto ai primi due mesi dell’anno. Il tasso di disoccupazione in Cina a marzo si è attestato al 5,8%, il livello più alto da maggio 2020 e in aumento dal 5,5% di febbraio» (Caixin). E secondo Nikkei Asia Review «I dati sull’attività di marzo suggeriscono che l’economia cinese ha rallentato, in particolare nei consumi delle famiglie, tra i blocchi a Shenzhen e Shanghai, nonché le restrizioni alla mobilità imposte in varie parti della Cina, secondo la Oxford Economics. I servizi e i consumi delle famiglie saranno particolarmente colpiti dall’impatto diretto delle restrizioni alla mobilità, nonché dal reddito sfavorevole e dalle prospettive di lavoro dovute a un’economia in indebolimento».
Di Simone Pieranni
[Pubblicato su il manifesto]Fondatore di China Files, dopo una decade passata in Cina ora lavora a Il Manifesto. Ha pubblicato “Il nuovo sogno cinese” (manifestolibri, 2013), “Cina globale” (manifestolibri 2017) e Red Mirror: Il nostro futuro si scrive in Cina (Laterza, 2020). Con Giada Messetti è co-autore di Risciò, un podcast sulla Cina contemporanea. Vive a Roma.