Malaysia – La non vittoria del Fronte nazionale

In by Simone

Sfidando i divieti, l’opposizione malaysiana è scesa in piazza per contestare il risultato elettorale del voto del week-end. Una vittoria  solo sulla carta quella per il Fronte nazionale che guida il Paese da 56 anni, costretto al suo peggior risultato di sempre e ora costretto a una prova di equilibrismo.
Ancora in sella, ma con le mani legate dietro la schiena. La vittoria riportata dal Barisan nasional del primo ministro malaysiano, Najib Razak, nelle elezioni dello scorso week-end appare tale solo se analizzata sotto un profilo squisitamente matematico. Calata nella realtà politica, invece, la conquistata di 133 dei 222 seggi del parlamento federale dell’arcipelago non può che essere considerata una sostanziale sconfitta, che obbligherà il Fronte nazionale a tentare di tenere le redini del governo non più serrate tra i pugni, come nei 56 anni che lo hanno visto ininterrottamente alla guida del Paese, bensì con i denti, in una prova di equilibrismo che gli richiederà di dar fondo a tutte le sue energie.

Il primo a comprendere la portata della disfatta è stato lo stesso Najib, che come mostrano le foto diffuse dalla stampa asiatica, si è presentato alla folla dei suoi elettori con un’espressione talmente cupa dipinta sul volto che neppure la sgargiante camicia blu indossata per i festeggiamenti è riuscita minimamente a controbilanciare.

Invitando la popolazione a riconoscere il risultato elettorale, il leader del Pertubuhan kebangsaan melayu bersatu, o United malays national organisation (Umno), il principale partito del Barisan nasional, ha parlato di successo e di speranze per il futuro, sottolineando però subito dopo la necessità di una “riconciliazione nazionale” capace di riportare un po’ di stabilità nel sempre più diviso Paese. Un segno inequivocabile della consapevolezza che il riconfermato primo ministro ha dell’estrema fragilità del proprio schieramento. Che dopo aver perso nel 2008 la maggioranza dei due terzi del Parlamento di cui aveva sempre goduto fin dal 1957, è adesso costretto a fare i conti con la vittoria più risicata della propria storia.

Nella prima analisi a caldo del risultato elettorale Najib ha dato la colpa del suo insuccesso a quello che ha definito lo “tsunami cinese”. Buona parte della popolazione malaysiana originaria del Paese della Grande Muraglia (un quarto dei 29 milioni di abitanti dell’arcipelago) ha deciso infatti di voltare le spalle al tradizionale referente politico, assegnando il voto al Pakatan rakyat, lo schieramento all’opposizione.

Ma per quanto questo rivolgimento abbia avuto un peso non indifferente, la disfatta del Barisan nasional ha origini molto più profonde, che vanno ricercate principalmente in quella supremazia dell’etnia malese che il Fronte ha sempre difeso e che ormai i gruppi minoritari (cinese e indiano in testa), non sono più disposti a sopportare.

A confermare il tracollo sono anche i dati diffusi dal Malaysian Insider, un sito di informazione indipendente, secondo il quale l’opposizione avrebbe ottenuto 5,49 milioni di voti, mentre la formazione di governo ne avrebbe presi 5,22, riuscendo a spuntarla solo grazie all’utilizzo di quello che gli analisti politici definiscono con il nome di gerrymandering, un metodo ingannevole di disegnare i confini dei collegi elettorali al fine di ottenere un vantaggio sull’avversario. **

Non a caso, sottolinea il sito, oltre la metà dei 133 seggi vinti al parlamento federale sono stati conquistati in appena tre dei 13 Stati della federazione malese, il Sarawak, il Sabah e il Johor, storiche roccaforti del Fronte nazionale.

E le voci apparse sulla stampa malaysiana in merito a possibili dimissioni da parte del primo ministro entro la fine dell’anno, voci riportate anche dalla Reuters, che le ha attribuite a un funzionario dell’Umno che ha preferito restare anonimo, forniscono un’ulteriore prova che l’aurea di invincibilità che ha circondato per oltre mezzo secolo il Barisan nasional si sta ormai sgretolando sotto i colpi dell’opposizione.

Dal canto suo il Pakatan rakyat, o Alleanza del popolo, ha ottenuto 89 seggi, sette in più rispetto al 2008, raggiungendo un successo senza precedenti grazie a una campagna elettorale incentrata sul tema del cambiamento e della lotta contro la corruzione, le politiche discriminatorie nei confronti delle minoranze etniche e la gestione autoritaria del potere da parte del governo. La coalizione ha raggiunto un consenso notevole soprattutto nelle aree urbane del Paese, conquistando la maggioranza nello Stato del Selangor, uno dei più avanzati dal punto di vista industriale.

Anwar Ibrahim, leader della formazione, confidava però in un esito migliore. A scrutinio in corso Anwar aveva rivendicato la vittoria, pregustando la capitolazione dello storico avversario e la sua personale rivalsa nei confronti di un partito che in passato gli aveva assegnato il ruolo di ministro delle Finanze e di vice primo ministro, salvo poi espellerlo, farlo imprigionare per sei anni per abuso di potere e accusarlo due volte di sodomia (un reato per il quale è sempre stato giudicato innocente).

Una volta resi noti i risultati, la reazione dell’ex membro dell’esecutivo è stata di totale rifiuto. Consideriamo queste elezioni fraudolente e crediamo che la Commissione elettorale non abbia ottemperato ai suo doveri”, ha dichiarato Anwar alla stampa, definendosi “disgustato” dalla truffa elettorale messa in campo e invitando gli elettori alla protesta.

Nei giorni precedenti l’apertura delle urne e durante le votazioni, su giornali, telegiornali e siti di informazione sono apparse notizie su presunti brogli legati al voto anticipato, su viaggi pagati dal governo per consentire ai propri sostenitori di votare e sulla possibilità di cancellare facilmente l’inchiostro indelebile applicato sulle dita degli elettori.

A protestare contro un atteggiamento delle forze al potere definito poco corretto è stato anche il Gabungan pilihanraya bersih dan adil, o più semplicemente Berish, (“pulito” in lingua malese), un gruppo di ong formatosi nel 2006 per chiedere una riforma del sistema elettorale in senso maggiormente democratico.

Qualsiasi accusa di irregolarità è stata però puntualmente respinta dal Fronte nazionale. “Questo risultato ci consentirà di adempiere alle promesse fatte, portando speranza e fiducia”, ha dichiarato Najib, invitando gli elettori a guardare avanti e a mettere da parte ogni divisione interna per il bene comune.

Parole che promettono un cambiamento a lungo atteso, ma alle quali ormai difficilmente il popolo malese presterà ascolto.

* Paolo Tosatti è laureato in Scienze politiche all’università “La Sapienza” di Roma, dove ha anche conseguito un master in Diritto internazionale, ha studiato giornalismo alla Fondazione internazionale Lelio Basso. Lavora come giornalista nel quotidiano Terra.

** [Il termine gerrymandering deriva dalla fusione del nome di un vecchio governatore del Massachussets, Elbridge Gerry, che fu il primo a utilizzare questo sotterfugio e “salamander”, visto che le linee del collegio da lui disegnato erano così irregolari e tortuose da farlo sembrare a forma di salamandra].

[Foto credit: abc.au.com]