Prima era solo un problema di Pm 2.5. Ora il carbone sarebbe una delle cause della desertificazione della Cina, sostiene Greenpeace. La nostra consueta rassegna quotidiana con le ripercussione dei Panama Papers su alcuni paesi asiatici. Un reportage da Dongguan nella locomotiva industriale della Cina che cambia. E infine l’affidabilità italiana a giudizio sul caso marò in India.
Dragonomics – Carbone e desertificazione di Gabriele Battaglia
Finora si parlava solo di PM2.5 che ti entrano nei polmoni, ma l’utilizzo del carbone provoca anche la desertificazione, secondo quanto sostiene un rapporto Greenpeace. Si tratta di una brutta gatta da pelare per la Cina, dove la maggior parte delle centrali e delle industrie che utilizzano il carbone come combustibile si trova proprio nell’arido nord.
In Cina e Asia – Gli asiatici nei Panama Papers di Redazione
I titoli della rassegna di oggi:
– Gli asiatici nei Panama Papers
– Contrastare i cambiamenti climatici per combattere l’inquinamento
– La Cina impone tariffe al 46 per cento per l’import di acciaio
– Per rilanciare i consumi interni la Cina aumenterà le tasse sull’e-commerce
– Ora per la Corea del Nord la Cina è uno «stato nemico»
– Foxconn si è comprata la giapponese Sharp
-L’India di Modi corteggia l’Arabia Saudita
Cina, Dongguan: sul fronte della crisi di Gabriele Battaglia
Il delta del fiume delle Perle è un Triveneto cinese da sessanta milioni di abitanti. Qui è nato il boom voluto da Deng Xiaoping e qui si misura la fine di quel modello. Crisi o transizione? Siamo andati a conoscere i piccoli-medi imprenditori della filiera tessile di Dongguan, che soffrono la contrazione dell’export ma che mettono al servizio del proprio «sogno cinese» tanta capacità di resistere.
Caso marò: l’affidabilità italiana a giudizio dell’Aja di Matteo Miavaldi
Mercoledì 30 e giovedì 31 marzo all’Aja si sono tenute le prime due udienze del procedimento arbitrale che dovrà decidere – tra 3 o 4 anni – dove si terrà il processo sull’omicidio di Ajesh Binki e Valentine Jelastine, i due marinai indiani freddati da colpi di arma da fuoco che l’India imputa ai due fucilieri di Marina Salvatore Girone e Massimiliano Latorre. Il primo punto discusso in aula è stato l’eventuale ritorno in Italia di Salvatore Girone, che potrebbe così attendere l’esito finale circa la giurisdizione del caso tra i confini italiani. L’India ha fatto muso duro ma non senza aperture che però trasformano la sentenza (prevista entro un mese) in una valutazione dell’affidabilità italiana. Che con l’India, nel caso dei marò, ha precedenti non propriamente onorevoli.