Made in China Files

In by Gabriele Battaglia

Il golpe turco visto da Pechino. La rassegna quotidiana di notizie da Cina e Asia con in primo piano la questione del Mar cinese meridionale. Le questioni legali legate a una possibile abdicazione dell’imperatore giapponese. E infine le proteste e la repressione dell’esercito indiano in Kashmir. Buona lettura e buona serata.

Il golpe turco visto da Pechino di Alessandra Colarizi

Il fallito colpo di Stato messo in atto dall’esercito turco, in Cina ha ricevuto un’attenzione limitata sui social, ma non è passato del tutto inosservato. Nella giornata di sabato, il ministro degli Esteri Wang Yi ha invitato Ankara a ristabilire l’ordine non appena possibile, smentendo la presenza di cittadini della Repubblica popolare nel computo delle vittime. Normalmente Pechino si tiene alla larga dal prendere posizioni troppo nette davanti a questioni che riguardano la politica interna degli altri Paesi, tuttavia negli ultimi tempi non ha esitato ad esternare le proprie preoccupazioni davanti ai repentini cambi di regime nelle regioni in cui gli interessi cinesi sono più accentuati. Medio oriente e Maghreb in primis.

In Cina e Asia – Le Filippine rifiutano offerta di Pechino di «ignorare» l’Aja di Redazione

I titoli della rassegna di oggi:

– Le Filippine rifiutano offerta di Pechino di «ignorare» l’Aja
– Chiude magazine liberale in Cina, continua la purga dei riformisti
– La Corea del Nord spara, ancora
– La repressione indiana in Kashmir uccide e rende ciechi
– Modella e «web star» pakistana uccisa dal fratello poiché «disonorevole»

Per l’abdicazione di Akihito serve una riforma «storica» di Marco Zappa

L’imperatore del Giappone Akihito sarebbe intenzionato ad abdicare, secondo quanto da giorni ripetono i media giapponesi. Al momento non ci sono conferme ufficiali sulle volontà del sovrano, che a 82 anni, vorrebbe svestire i panni di «simbolo della nazione».

Le forze speciali in Kashmir uccidono e rendono ciechi i manifestanti di Matteo Miavaldi

La settimana di proteste nella valle del Kashmir ha riportato in superficie il tema dei metodi di repressione del dissenso adottati dalle forze speciali indiane nello stato, in particolare l’utilizzo delle «pellet gun»: armi da fuoco che sparano centinaia di micro-proiettili secondo il governo «non letali», ma che, denunciano i medici, riducono spesso le vittime alla cecità.