Un’immagine o un video accompagnati da una breve didascalia: questo è ciò che serve per creare un meme, un contenuto digitale che entra nella cultura di massa e si propaga attraverso Internet suscitando ilarità tra gli utenti che lo ricondividono. Una delle peculiarità dei meme è che spesso il rifermento su cui si basano – e su cui fanno ironia – è di derivazione politica. Da Donald Trump a Kim Jong-un, passando per Matteo Salvini e Papa Francesco, nessuno viene risparmiato. O forse sì? In Cina, esistono i meme?
La risposta è sì, naturalmente. La Cina con i suoi 904 milioni di netizens – stando all’ultimo report pubblicato dal China Internet Network Information Center ad aprile 2020 – si presenta come uno dei più grandi e proliferi laboratori di meme, sfortunatamente difficilmente accessibile per chi non conosce la lingua cinese.
Come però prevedibile, i meme makers cinesi devono fare i conti con la censura, il che rende il loro lavoro estremamente più complesso e criptico. Uno dei casi più noti risale al 2013, quando alla figura di Xi Jinping si è cominciato ad affiancare quella di Winnie The Pooh. Le conseguenze sono state tragiche per il tenero orsetto, che è stato bollato come persona non grata dal governo cinese. Di fatto, dove gli utenti hanno visto dell’innocente divertimento, Pechino ha intravisto una seria minaccia alla dignità dell’ufficio presidenziale e di Xi stesso.
Un altro caso famoso è quello riguardante i meme su Kim Jong-un, denominato 金三胖, Kim Fatty the Third. Il nomignolo era così ampiamente utilizzato in Cina che era persino previsto dall’algoritmo di autocompletamento del motore di ricerca Baidu. Sebbene l’espressione “Kim Fatty the Third” venga spesso censurata, Baidu non nega mai completamente il divertimento ai suoi utenti: i meme infatti sono sempre recuperabili scrivendo semplicemente Kim e la parola “grasso” per tre volte.
Censura a parte, l’universo memistico cinese continua ad essere altamente produttivo, con una differenziazione di tre contenuti: i Biaoqingbao (表情包), i Gengtu (梗图) e i Duanzi (段子). I primi, probabilmente i più conosciuti, sono l’equivalente dell’ “image macro”, ovvero un testo sovrapposto ad un’immagine che tende a descrivere l’umore o l’espressione che il contenuto starebbe a comunicare. Particolarmente celebri anche tra gli stickers di WeChat sono il bambino con il caschetto e il panda con sembianze umane.
Anche i Gengtu, cadono sotto la definizione di “image macro”, ma si differenziano dai biaoqingbao perché i testi sono in caratteri tradizionali invece che semplificati: vengono infatti generalmente creati e ricondivisi da netizens hongkonghesi e taiwanesi. Infine, ci sono i duanzi, ovvero le battute, spesso rigenerate in forma grafica semplicemente accompagnando il testo con il frame dell’evento, del film o dello sketch che le ha rese famose.
1. “Penso che non vada bene”
2. Amico, devi darti una regolata
3. *la temperatura scende di 6 gradi* : io VS il mio fidanzato
Tra gli esempi più celebri di questa tipologia, c’è lo screenshot di un uomo magro, calvo e di mezza età sdraiato su un divano e diventato virale nel 2016. Si tratta di Ge You, una guest star nella sitcom degli anni ’90 “I Love My Family”, che ha interpretato un artista della truffa intento a vendersi come inventore. In un episodio il freeloader è praticamente incollato al divano 24 ore su 24, 7 giorni su 7. I netizen cinesi hanno coniato la frase “The Ge You slouch” per descrivere uno stato di ozio chiamato “vivere senza speranza”. Il meme divenne così popolare che un sito di viaggi con sede a Pechino ha persino utilizzato lo screenshot di Ge per scopi pubblicitari, prima di essere citato in giudizio dall’attore per violazione del copyright.
“Sono molto stanco!”
Molto divertente è anche il meme del “watermelon-eating”. Nel 2016 sul luogo di un incidente stradale un reporter intervistò un anziano signore sperando di raccogliere una testimonianza, ma tutto ciò che ottenne fu: “Non so niente, stavo mangiando un’anguria”. Da allora, i 吃瓜群众 gli “spettatori mangiatori di anguria” sono meme dedicati alle persone che non sanno nulla di ciò che gli accade intorno o che semplicemente si godono uno “spettacolo” senza voler essere particolarmente coinvolti: l’equivalente del meme di Michael Jackson che mangia i popcorn fra i commenti di chi litiga sul web. WeChat gli ha anche dedicato un’emoji.
Un’altra storia divertente riguarda l’alpaca. Nel 2009 Baidu Baike, un’enciclopedia interattiva, pubblicò una serie di bufale umoristiche chiamate “le dieci divinità di Baidu”. Spesso considerate dai media occidentali come una risposta alla censura cinese online, le divinità avevano nomi vagamente profani, con omofoni di parolacce cinesi (caratteri con le stesse sillabe ma diversi toni). Un esempio è l’alpaca, rinominata Cǎonímǎ (草泥马) ovvero cavallo di erba e fango, omofono della celebre parolaccia usata in Cina per offendere la madre di un interlocutore. Anche l’artista dissidente Ai Wei Wei ha riutilizzato l’espressione. Ma ciò che è particolarmente divertente è che un piccolo allevamento di alpaca in Inghilterra viene ogni anno preso d’assalto da turisti cinesi desiderosi di fotografarsi insieme al “cavallo di erba e fango” simbolo di trasgressione e celebre tra i propri meme.
I meme possono però anche veicolare un significato più complesso. Quando sono scoppiate le proteste a Hong Kong contro l’impopolare disegno di legge sull’estradizione, una figura improbabile è emersa come mascotte dei manifestanti: Pepe the Frog. Creata dall’artista americano Matt Furie nel 2006, la rana è diventata un meme popolare su Myspace e 4chan. In cinese, Pepe è conosciuto come 伤心青蛙 “la rana triste” e viene utilizzato dai millennial cinesi come avatar per esprimere la loro visione pessimistica della vita. A giugno 2019 i giovani di Hong Kong hanno iniziato ad usare regolarmente gli adesivi di Pepe su WhatsApp e altri forum con nuove varianti a tema di protesta, tra cui Pepe con un ombrello e un elmetto, l’attrezzatura di protezione comune indossata dai manifestanti.
Molto discusso è infine il meme 可以这很清真 “Questo sarebbe molto halal”. Tutto è iniziato nel 2013, quando un blogger cinese ha pubblicato la foto di due lattine di carne che sembravano quasi identiche: una contrassegnata con “lattina di maiale” e l’altra contrassegnata con il simbolo halal. Meining, la società che produceva la carne in scatola, specificò che le due lattine contenevano prodotti diversi, aggiungendo che il blogger avesse intenzionalmente messo insieme la lattina di manzo con la lattina di maiale per confondere il pubblico. L’incidente fu ripreso nel 2016 quando “Questo sarebbe molto halal” è diventato un meme per deridere qualcosa di non autentico o qualcuno dal comportamento incoerente. Inoltre, il meme spesso viene utilizzato in maniera offensiva e discriminatoria nei confronti dei fedeli musulmani: causa ulteriore di tensioni tra cinesi di etnia Han e minoranze musulmane, sono molto popolari vignette raffiguranti uomini armati con lunghe barbe – rappresentanti dei terroristi – accompagnate dalla didascalia 听说你们不清真!“Ho sentito che voi non siete halal!”.
Ad ogni modo, sotto la guida del presidente Xi Jinping, che nel 2012 ha raggiunto i vertici del Partito Comunista e che dal 2015 si è fatto promotore del concetto di “cybersovranità nazionale”, gli sforzi per controllare Internet si sono fatti più intensi, con un mix di censura umana e automatizzata in grado di ripulire in modo efficiente e rapido la rete da notizie, post e discussioni indesiderate. Secondo quanto stipulato nell’ottobre 2017 dalla China’s Cyberspace Administration, anche le chat di gruppo (WeChat, Weibo, QQ, ecc.) sono oggetto della sorveglianza digitale, il cui mirino è puntato in particolare sugli amministratori, ritenuti responsabili delle condivisioni degli utenti. In caso di contenuti politicamente sensibili, osceni o illegali, di informazioni non ufficiali su Hong Kong, Macao e Taiwan e di informazioni militari, l’amministratore del gruppo di condivisione rischia persino l’arresto.
Laureata in Relazioni e Istituzioni dell’Asia e dell’Africa, con specializzazione sulla Cina, presso l’Università L’Orientale di Napoli. Appassionata di relazioni internazionali e diplomazia scientifica, Fabrizia lavora a progetti di internazionalizzazione per startup e PMI di ambito scientifico-tecnologico. Ama viaggiare, scrivere e sperimentare le chinoiseries più stravaganti.