Alla fine l’Ue non ha dato alcuna indicazione contro Huawei. Contrariamente alle richieste degli Usa, il Consiglio europeo, in fatto di telecomunicazioni e 5G, ha chiesto agli Stati di attenersi a standard di sicurezza capaci di evitare il rischio di backdoor (la possibilità per chi gestisce le reti di scaricare dati sensibili) lasciando ai singoli membri il tempo per le necessarie verifiche di sicurezza.
Saranno i singoli paesi – nel caso – a stabilire barriere all’ingresso degli operatori. Considerando che la Germania aveva già espresso la propria intenzione di valutare Huawei come qualsiasi altra azienda – analogo comportamento dovrebbe essere tenuto dall’Italia – ecco che lo sgarro di Strasburgo contro Trump è completo.
Come sottolineato dal Washington Post la posizione europea in realtà appare ancora nebulosa, ma la mancanza di uno stop a livello comunitario è un segnale. L’esempio francese ne è testimone: di recente Xi Jinping ha concluso accordi importanti con il principato di Monaco desideroso di diventare una smart city e ben contento di intraprendere una strada comune con la Cina.
Ma le implicazioni di questi accordi sono anche altre. La Francia è sembrata la più riluttante verso il gigante cinese, ma attraverso alcune complesse operazioni potrebbe veder entrare la Huawei nel suo mercato grazie agli accordi cinesi con il principato di Monaco.
Huawei, dunque, oltre ad aver eroso gran parte del mercato degli smartphone ai concorrenti (e ora in Europa punta dritto alla leader Samsung, dopo aver già superato Apple) potrà vedersela con Cisco, Ericsson e Nokia per quanto riguarda la connessione super veloce 5G, pur rimanendo sotto osservazione delle autorità comunitarie europee e dei vari Stati nazionali. L’azienda cinese ha accolto con ovvia benevolenza la decisione del Consiglio d’Europa ma l’idea è che, oltre alla spigliata attività di comunicazione e marketing che la Huawei ha intrapreso da tempo in Europa, conti anche altro.
Come ha raccontato il South China Morning Post, quotidiano di Hong Kong, la posta in gioco non è solo di natura geopolitica, ma anche di convenienza: «La riluttanza europea a conformarsi ai consigli degli Usa potrebbe essere dovuta al fatto che Huawei ha acquisito una reputazione per la fornitura di tecnologie di alta qualità economicamente convenienti e che vietare i propri dispositivi di rete 5G potrebbe mettere a rischio le future prospettive economiche».
Si parla di Huawei, infatti, ma si intende il 5G, «una nuova era di reti mobili ultrarapide e ad alta capacità in grado di alimentare l’Internet commerciale di applicazioni e infrastrutture basate sull’intelligenza artificiale».
La questione si presentava come piuttosto spinosa e ora sarà necessario vedere quali saranno le reazioni da parte di Trump. Anche perché sulla Huawei gli Usa non hanno certo mollato la presa e il tema potrebbe essere ripreso dall’ennesimo round dei negoziati che da domani ripartirà a Pechino.
Negli ultimi mesi è accaduto di tutto: prima la figlia del fondatore, nonché responsabile finanziaria dell’azienda, Meng Wanzhou è stata arrestata in Canada e poi liberata ma in attesa di estradizione negli Usa. Come risposta la Cina ha arrestato diversi cittadini canadesi. Poi è intervenuto direttamente il boss della Huawei, Ren Zhengfei, in un’insolita intervista, in cui ha specificato di non avere nessun legame con il Pcc (e formalmente è così, ma in Cina i guanxi, il network relazionale, è fondamentale, anche con i politici) avvisando gli Usa che ormai la corsa della sua azienda è inarrestabile.
Nel mentre in Polonia sono stati arrestati due cinesi, uno dei quali dipendenti della Huawei, con l’accusa di spionaggio. La società lo ha subito licenziato ma questo accadimento, in un paese europeo, ha dato l’idea dei contorni ormai globali dello scontro tra Stati uniti e Cina.
Pechino dal canto suo, dopo gli attacchi di Trump ha praticamente abbandonato al suo destino la Zte – azienda di Stato concorrente di Huawei – dimostrando di voler puntare tutto proprio sulla creatura dell’ex militare Ren Zhengfei.
[Pubblicato su il manifesto]Fondatore di China Files, dopo una decade passata in Cina ora lavora a Il Manifesto. Ha pubblicato “Il nuovo sogno cinese” (manifestolibri, 2013), “Cina globale” (manifestolibri 2017) e Red Mirror: Il nostro futuro si scrive in Cina (Laterza, 2020). Con Giada Messetti è co-autore di Risciò, un podcast sulla Cina contemporanea. Vive a Roma.