I cinesi sono stati antesignani in materia di economia circolare, in cinese xunhuan jingji o anche economia di riciclaggio, cyclic economy. Da almeno un trentennio, infatti l’evoluzione delle politiche economiche e industriali del paese, ha nella economia circolare un leitmotiv incluso negli ultimi tre piani quinquennali
Il ventesimo vertice UE-Cina, da poco conclusosi a Pechino, ha tra i principali risultati, la firma di una lettera di intenti tra Cina e Unione Europea per l’intensificarsi della cooperazione in materia di economia circolare. Tema questo, su cui la Cina ha molto da insegnare al Vecchio Continente.
Ma partiamo dalle basi, il paradigma dell’economia circolare, nato e diffusosi negli anni Sessanta in Europa, propone come alternativa al modello di produzione lineare basato sul tradizionale susseguirsi di fasi successive — estrazione delle risorse, produzione, consumo e smaltimento dei rifiuti — un modello autorigenerante.
Produzione e consumo di beni e servizi di tipo circolare fanno leva su circuiti chiusi, in cui le risorse, dalla produzione al consumo, fino allo smaltimento, non vanno perse ma trovano il modo di essere reintegrate, riutilizzate e rigenerate, trasformando i rifiuti in nuove risorse.
Ma se l’Europa e soprattutto le aziende europee sembrano essersi accorte solo di recente (risale al 2015 la direttiva europea a proposito) dei potenziali, in termini di risparmio energetico e di risorse, minor impatto sull’ambiente, creazione di posti di lavoro e ottimizzazione dei cicli produttivi, in Cina il concetto è noto da tempo.
I cinesi sono stati antesignani in materia di economia circolare, in cinese xunhuan jingji 循环经济 o anche economia di riciclaggio, cyclic economy, 即物质. Da almeno un trentennio, infatti l’evoluzione delle politiche economiche e industriali del paese, ha nella economia circolare un leitmotiv incluso negli ultimi tre piani quinquennali e a cui è stata dedicata una legge ad hoc, varata nel 2008.
Xi Jinping stesso non ha mancato in occasione dell’ultimo Congresso del Partito Comunista, di riaffermare la centralità del paradigma circolare per il nuovo corso dello sviluppo economico cinese.
In concreto l’applicazione dei dettami dell’economia circolare, ha seguito quattro direttive diverse ma parallele in questi decenni in Cina.
Dal punto di vista produttivo, si è incentivata l’implementazione della circolarità nei processi produttivi, sia a livello di singole aziende e settori sia infra-settoriale. L’idea è stata quella di creare sistemi industriali circolari dove business diversi convivono in una logica di circolarità come nel caso di industria, agricoltura e servizi.
Dal punto di vista dei consumi invece la circolarità ha trovato espressione nella recente crescita delle grandi piattaforme di condivisione che spopolano in Cina: da Ofo a Mobike. Infine gli ingenti investimenti nelle energie rinnovabili e nell’industria del riciclo, un vero business per la Cina che ha di recente imposto un blocco all’importazione di residui riciclabili da altri parti del mondo.
Una delle finalità dell’accordo con l’Unione Europea è proprio quella di aprire un canale di scambio sulle buone pratiche di economia circolare in modo da creare una contaminazione virtuosa tra Europa e Cina non solo in campo industriale ma anche urbano.
di Nicoletta Ferro
Esperta di sostenibilità sociale e ambientale. Si è formata nel mondo della ricerca accademica (prima alla Fondazione Eni e in seguito all’Università Bocconi) ed é arrivata in Cina nel 2007. Negli anni cinesi ha lavorato come consulente e collaborato con diverse testate italiane online quali AgiChina e China Files per le quali ha tenuto il blog La linea rossa e la rubrica Sustanalytics oltre a curare il volume “Cina e sviluppo sostenibile, le sfide sociali e ambientali del XXI secolo, L’Asino d’oro (2015). Dopo una parentesi nel settore privato come Communications & Corporate Affairs Manager in Svizzera, é rientrata in Italia e ora vive a Milano.