Ranil Wikremesinghe, l’uomo che è stato eletto ieri presidente dal parlamento dello Sri Lanka, è un uomo per tutte le stagioni: il “Draghi di Colombo”, tanto impopolare quanto invocato come salvatore della patria. Sei volte primo ministro, membro dell’élite, abile diplomatico nel tessere coabitazioni, animale politico con abilità da tecnico, inviso al popolino ma amato a Washington soprattutto nelle sedi di Fondo monetario e Banca mondiale: quale di queste anime ha prevalso nel voto dei 225 deputati che gli hanno tributato 134 voti contro i soli 82 del suo maggior rivale, Dullas Alahapperuma?
LE RAGIONI sembrano soprattutto due: continuità, ossia conoscenza della macchina dello Stato per evitare che precipiti nel caos, e rispettabilità agli occhi degli stranieri con cui andranno negoziati i debiti per 50 miliardi di dollari dello Sri Lanka. Ma agli occhi del popolino, che ne voleva le dimissioni da premier – gli ha incendiato la casa e occupato gli uffici – Ranil rappresenta una continuità di altro tipo. Quanto alla rispettabilità, proprio la sua appartenenza a una continuità garantita da sei mandati come premier, la fa apparire ai più davvero discutibile. Anche perché, nominato presidente temporaneo dall’ex capo dello Stato in fuga (verso Singapore), Wikremesinghe ha imposto e prolungato la stato di emergenza e più che con le rose – molti dimostranti temono – tratterà la piazza con le manette.
UOMO di centro destra, sostenuto dallo Sri Lanka Podujana Peramuna (Slpp) – il partito di famiglia del clan Rajapaksa – Ranil è stato ritenuto l’unico in grado di negoziare la situazione debitoria con Fmi, Banca mondiale, indiani e cinesi. Ha sbaragliato Alahapperuma, uomo dello Slpp che godeva dell’appoggio esplicito di Mahinda Rajapaksa, segnando anche una frattura nel partito di maggioranza ormai in netta crisi di identità. Il paradosso è dunque che è stato eletto da un partito con cui si è sempre scontrato anche per aver tentato due volte – invano – la corsa alla presidenza La sinistra, rappresentata dal candidato Anura Kumara Dissanayake, leader della partito ex insurrezionalista Janatha Vimukthi Peramuna, ha ricevuto solo i voti dei suoi tre parlamentari.
SE PER LO SLPP Wikremesinghe rappresenta la possibilità di evitare una futura debacle elettorale e se per Ranil la presidenza è il modo per continuare ad essere arbitro dei destini del Paese, è chiaro come la sua elezione possa esser stata digerita dalla piazza. Che, al momento, ha però evitato una nuova vampata di protesta in uno stato di tensione che la fa immaginare pronta a rianimarsi sotto ceneri ben accese.
Del resto, quando in maggio Mahinda Rajapaksa, fratello del presidente, dovette dimettersi da premier sull’onda della protesta popolare, Gotabaya Rajapaksa ricorse a Ranil Wikremesinghe sperando che gli levasse le castagne dal fuoco. Ma il nuovo sodalizio tra ex nemici, ora reiterato dal voto parlamentare di ieri, non ha fatto che proiettare nell’immaginario popolare l’idea – non del tutto peregrina – che di queste élite non ci sia da fidarsi. Gotabaya per altro è scappato dando a lui l’incarico di presidente temporaneo. Difficile immaginare che Ranil non sapesse che chi lo nominava stava facendo le valige con la complicità della marina militare.
ANURA Kumara Dissanayake ha chiuso la giornata con un discorso infuocato spiegando che «oggi la società non si riflette nella scelta rivelata dal voto» e che la proposta delle opposizioni andava nella direzione di indicare ben altri nomi – non coinvolti direttamente nell’ultimo dramma politico economico – in grado di formare un governo transitorio, ridotto e temporaneo. Certo meno impopolare della presentabile continuità di Ranil.
Di Emanuele Giordana
[Pubblicato su il manifesto]