A dicembre del 2019, Cina e Usa sembrano aver raggiunto una tregua, la cosiddetta fase uno di un ipotetico accordo. In realtà entrambe le parti sembrano sapere bene che un accordo “finale” appare impensabile: gli Usa vogliono un mercato cinese aperto per le proprie aziende anche in settori al momento “proibiti”, la Cina ha già più volte ribadito di non avere alcuna intenzione di voler cambiare il proprio modello di sviluppo, al momento ancora più che in passato trainato in gran parte dallo Stato.
Si tratta dunque di un compromesso che forse accontenta entrambi i Paesi in questo particolare momento:
Trump è alle prese con una procedura di impeachment che è ormai avanzata, Xi Jinping ha bisogno di una tregua per valutare al meglio le mosse successive considerando che il periodo recente è stato particolarmente complicato tra proteste a Hong Kong e fuoriuscita di documenti sul Xinjiang o sulla volontà di liberarsi di software e hardware americano nel giro di tre anni.
MARZO 2018
Tutto inizia a marzo del 2018. Dopo aver definito«un orrore» il disavanzo commerciale con la Cina (Washington importa molto più di quanto esporti in Cina), al termine di un’indagine partita nell’agosto 2017 (tramite la sezione 301 dello Us Trade Act, che permette indagini e l’imposizione di misure), Trump dà il via libera alle sanzioni contro un migliaio di prodotti cinesi, puniti da dazi dal valore di 60 miliardi di dollari (sugli oltre 300 di disavanzo commerciale).
Le sanzioni vanno a colpire il cuore delle esportazioni tecnologiche cinesi negli Stati uniti, specie il settore della telefonia mobile; significa che per Huawei – ad esempio – potrebbero arrivare brutti segnali dal mercato americano.
Insieme agli smartphone saranno colpiti i prodotti più innovativi, ovvero quanto costituisce lo scheletro di quel programma, «Made in China 2025», che costituisce uno dei tanti timbri di Xi Jinping alle attuali ambizioni di Pechino: robotica, aviazione, tecnologia elettronica e prodotti aerospaziali.
APRILE 2018
Ad aprile del 2018 gli Stati uniti ufficializzano la lista degli oltre mille prodotti cinesi che saranno sottoposti a sanzioni del 25 per cento.Ancora prima che i dazi di Trump contro le merci cinesi entrino in vigore, Pechino rende effettive le sanzioni su 128 prodotti made in Usa. Su 120 (tra cui mango, cocomeri, frutta secca e vino) la tassa sarà del 15 per cento. Su otto, tra cui il maiale, sarà del 25 per cento.Nella prima risposta cinese c’è un segnale politico a Trump: colpire la sua pancia elettorale.
Si tratta del frutto del passato di Xi Jinping: nel 1985, quando ancora non era il numero uno, ma un funzionario in attesa di scalare posizioni di rilievo, l’attuale presidente della Repubblica popolare si recò a Muscatine, Iowa, Midwest americano. Xi andò negli Usa per farsi spiegare come funzionavano i sistemi di coltivazione e per l’allevamento dei maiali. Nel 2012, poco prima di essere nominato segretario del partito comunista, Xi Jinping si recò negli Stati uniti per incontrare Barack Obama. Xi sconvolse protocollo e organizzazione quando fece una richiesta particolare: chiese di poter tornare in Iowa per andare a trovare i suoi vecchi amici di Muscatine (uno di loro oggi è l’ambasciatore americano nella Repubblica popolare). Xi Jinping dunque conosce bene quella popolazione dello Iowa.
MAGGIO 2018
Il 3 maggio 2018 il «fantastico team» americano – come l’ha etichettato Donald Trump su Twitter – giunge a Pechino.
Scopo del viaggio: trovare un accordo, o quanto meno una roadmap capace di portare a una soluzione alla paventata «guerra dei dazi» tra i due paesi. Dopo la missione americana dei funzionari cinesi, si arriva al dunque a Pechino, benché sia improbabile si sancisca un punto comune fin da subito. Il 21 maggio Cina e Usa raggiungono una momentanea tregua sui dazi, non certo una pace. Contrariamente a quanto affermato inizialmente dalla Casa bianca, infatti, la Cina ha negato di aver assicurato acquisti dagli Usa per ben 200 miliardi di dollari, cifra che ridurrebbe drasticamente il deficit commerciale di Washington con Pechino. Il «consenso» che si sarebbe raggiunto è in ogni caso effettivo: i dazi che dovevano partire a fine mese non ci saranno e – in quel momento– la guerra commerciale è rinviata.
GIUGNO 2018
Nel giugno 2018 c’è lo storico incontro tra Kim Jong-un e Donald Trump a Singapore. La Corea del Nord diventa una dei terreni dove la guerra commerciale si trasforma in una sorta di confronto per procura. L’impressione in quei giorni è che da tutta l’attività diplomatica a guadagnarci possa essere la Cina.
LUGLIO 2018
Nel luglio del 2018 si riaccende lo scontro. La piega comincia a virare sul comparto tecnologico: il giorno stesso del via libera di Trump a sanzioni per 34 miliardi contro i prodotti tecnologici cinesi, la Cina ha reagito con la stessa moneta: misure contro oltre 500 aziende americane.
SETTEMBRE 2018
Settembre 2018: nel giro di due giorni gli Usa hanno imposto nuovi dazi sulle merci cinesi, per un valore di 200 miliardi di dollari – e aumenteranno dal 2019 -, Pechino ha risposto con misure per un totale di oltre 60 miliardi.
In contemporanea, a Pyongyang, andava in scena il terzo meeting tra Kim Jong-un e Moon Jae-in sulla questione coreana.
NOVEMBRE 2018
A fine novembre 2018 c’è il G20, ulteriore occasione di confronto tra XI Jinping e Trump: sotto al tavolo c’è il 5G.
Alla fine il compromesso arriva: Usa e Cina promettono di trovare un’intesa per scongiurare un aumento dello sconto commerciale nell’arco di 90 giorni. Ma tutto salta da lì a poco: in Canada viene arrestata Meng Wanzhou, figlia del fondatore, fermata in Canada. Washington vuole estradarla. L’accusa è aver violato le sanzioni contro l’Iran. Ma la vera posta in palio – come emerge sempre di più – è la sfida al 5G.
AGOSTO 2019
Nell’estate 2019 scoppia Hong Kong. La Cina non risponde immediatamente, gli Usa sembrano guardinghi. Intanto la Cina comincia a ragionare sulla possibilità di coniare una moneta virtuale e sulla Blockchain.
Agosto 2019: Trump provoca la Cina: gli Usa venderanno cacciabombardieri a Taiwan.
OTTOBRE 2019
Ottobre 2019: Fonti americane: accordo con la Cina ancora lontano.
DICEMBRE 2019
A dicembre del 2019, Cina e Usa sembrano aver raggiunto una tregua, la cosiddetta fase uno di un ipotetico accordo.
In realtà entrambe le parti sembrano sapere bene che un accordo “finale” appare impensabile:
gli Usa vogliono un mercato cinese aperto per le proprie aziende anche in settori al momento “proibiti”,
la Cina ha già più volte ribadito di non avere alcuna intenzione di voler cambiare il proprio modello di sviluppo, al momento ancora più che in passato trainato in gran parte dallo Stato.
Si tratta dunque di un compromesso che forse accontenta entrambi i Paesi in questo particolare momento:
Trump è alle prese con una procedura di impeachment che è ormai avanzata,
Xi Jinping ha bisogno di una tregua per valutare al meglio le mosse successive considerando che il periodo recente è stato particolarmente complicato tra proteste a Hong Kong e fuoriuscita di documenti sul Xinjiang o sulla volontà di liberarsi di software e hardware americano nel giro di tre anni.
Fondatore di China Files, dopo una decade passata in Cina ora lavora a Il Manifesto. Ha pubblicato “Il nuovo sogno cinese” (manifestolibri, 2013), “Cina globale” (manifestolibri 2017) e Red Mirror: Il nostro futuro si scrive in Cina (Laterza, 2020). Con Giada Messetti è co-autore di Risciò, un podcast sulla Cina contemporanea. Vive a Roma.