A leggere i segnali che arrivano dalle dichiarazioni pubbliche del governo indiano e dalle reazioni diplomatiche in Asia meridionale, sembra che l’India questa volta abbia davvero finito la pazienza col vicino Pakistan e stia utilizzando tutta la sua influenza per chiudere Islamabad in un angolo. E i vicini seguono a ruota.Il cambio di linea col Pakistan annunciato da Narendra Modi qualche giorno fa ha trovato immediatamente riscontro nella geopolitica dell’area, presentando ad Islamabad un conto salatissimo in termine d’immagine per la mancata azione di controllo del terrorismo che, dall’interno dei propri confini, esonda fino a minacciare la sicurezza dei paesi confinanti.
In seguito all’attentato alla base militare indiana di Uri, in Kashmir, diversi membri del governo indiano – in particolare i ministri di interni ed esteri, in aggiunta allo stesso premier Modi – avevano annunciato l’intenzione di procedere a un progressivo isolamento del Pakistan a livello internazionale, bollandolo come uno «stato terrorista» e quindi squalificato come potenziale partner di dialogo.
L’esecutivo indiano, in una mossa senza precedenti, ha così annunciato che non presenzierà al diciannovesimo summit della South Asian Association for Regional Cooperation (Saarc), la principale piattaforma politica dell’Asia meridionale che comprende Afghanistan, Bangladesh, Bhutan, India, Maldive, Nepal, Pakistan e Sri Lanka. Il summit, fissato per il mese di novembre, si sarebbe dovuto tenere proprio nella capitale pakistana, Islamabad.
Il comunicato del ministero degli esteri indiano recita: «L’aumento di attacchi terroristici a cavallo dei confini della regione e la crescente interferenza negli affari interni dei paesi membri da parte di uno stato hanno creato un clima non favorevole alla buona riuscita del diciannovesimo summit dei paesi Saarc ad Islamabad».
A misura dell’eccezionalità dell’evento, basti pensare che si tratta della prima volta dalla fondazione della Saarc (1985) che l’India decide di disertare un summit, nonostante in trent’anni gli attacchi terroristici su suolo indiano da parte di commando provenienti dal Pakistan o con legami a cellule islamiche pakistane non siano certo mancati.
A rincarare la dose ci ha pensato il portavoce degli esteri Vikas Swarup, che spiegando la decisione di Delhi di disertare il summit (sarebbe dovuto andare Narendra Modi in persona) ha riassunto: «La cooperazione regionale e il terrorismo non possono andare di pari passo».
L’iniziativa indiana ha riverberato in tutta l’Asia meridionale, in una dimostrazione plastica di chi e quanto conti da queste parti. Mercoledì 28 settembre, un giorno dopo l’annuncio indiano, all’elenco delle defezioni si aggiungono anche Afghanistan, Bangladesh e Bhutan: tutti con comunicati praticamente scritti con carta carbone sotto quello degli esteri indiani.
Con ogni probabilità, secondo le regole interne del Saarc, il meeting di Islamabad sarà cancellato o rimandato a data da destinarsi, una macchia notevole per la reputazione del Pakistan nell’area. Ma le ritorsioni indiane potrebbero non essere finite qui.
Sui media nazionali circolano diverse opzioni al vaglio dell’esecutivo di Modi, che intende esercitare la massima pressione politica sul Pakistan – in parallelo a un allerta generale delle truppe al confine – per costringere il governo di Islamabad a rivedere la propria accondiscendenza verso gruppi terroristici che si sa per certo basati all’interno dei propri confini (il caso più eclatante è quello di Hafiz Saeed, fondatore e leader della cellula terroristica islamica Lashkar-e-Taiba, considerato la mente dietro agli attacchi di Mumbai del 2008: Saeed vive a Lahore in una residenza fortificata protetta da guardie armate).
Si va da ipotetici blocchi delle attività commerciali bilaterali alla revisione dell’Indus Water Treaty, l’accordo di redistribuzione delle acque dei fiumi condivisi da India e Pakistan, in vigore dal 1960. Modi, a questo proposito, ha dichiarato: «L’acqua e il sangue non possono scorrere insieme».
[Scritto per Eastonline]