Il 24 agosto scorso il presidente russo Dmitry Medvedev ha incontrato l’elusivo leader nordcoreano Kim Jong Il in una remota base militare della Siberia meridionale. Il dittatore di Pyongyang era arrivato a bordo del leggendario treno blindato che rimane il suo mezzo di trasporto preferito per fare visita agli stati vicini, cioè Russia e Cina, dato che i rapporti con i “fratelli separati” di Seoul sono nuovamente scesi ai minimi storici dopo il bombardamento dell’isola di Yeonpyeong, che il 23 novembre dello scorso anno causarono la morte di 4 sudcoreani.
Dopo il vertice, Medvedev ha annunciato la creazione di una commissione che studierà il progetto di un oleodotto che dovrebbe rifornire la Corea del Sud di 10 miliardi di metri cubi di gas russo all’anno, passando attraverso la Corea del Nord. A causa della situazione dei suoi confini, effettivamente, Seoul dipende dalle costose rotte via mare per importare i 43 miliardi di gas naturale liquefatto che consuma ogni anno, provenienti in massima parte da Qatar, Indonesia e Malaysia.
"Un gasdotto che collega Corea del Nord e Corea del sud rappresenta il mezzo più economico per rifornire le industrie sudcoreane e, allo stesso tempo, contribuirebbe in maniera significativa ad alleviare le tensioni che attraversano la penisola coreana” sostiene Interfax, citando studi di settore compilati da Gazprom e KOGAS, l’azienda energetica sotto il controllo del governo di Seoul. Inoltre, una Corea del Nord ancora più impoverita da una sciagurata riforma monetaria che sembra averla riportata quasi ai livelli delle carestie della metà degli anni ’90, potrebbe ottenere fino a 100 milioni di dollari all’anno per i diritti di transito.
L’idea è stata accolta freddamente dai sudcoreani. “Il gasdotto trans coreano è un vecchio sogno del presidente Lee Myung-bak fin da quando era manager della Hyundai” ha dichiarato al quotidiano JoongAng Daily il presidente del partito al governo a Seoul Hong Joon-pyo, ma un portavoce ufficiale non ha confermato né smentito il sostegno presidenziale al progetto. “Il progetto può fare più male che bene – sostiene il Korea Herald, citando analisti del governo-, non possiamo dipendere energeticamente dal Nord. Pyongyang potrebbe decidere di bloccare le forniture alle prime tensioni nelle relazioni tra i due paesi”.
Negli anni, l’ineffabile Kim Jong Il ha dimostrato diverse volte di infischiarsene dei benefici economici che potrebbero derivare al suo popolo da una politica della distensione con la Corea del Sud, e di essere disposto a sacrificarli sull’altare della retorica guerresca. Prima dei bombardamenti del novembre scorso, nel maggio del 2010 Pyongyang aveva affondato la corvetta sudcoreana “Cheonan”, solo l’ultimo di una lunga serie di atti ostili culminati nella ripresa del programma nucleare nordcoreano, da sempre utilizzato come arma di ricatto per ottenere maggiori concessioni economiche ai tavoli dei negoziati.
Da tempo Mosca esercita pressioni sulla Corea del Nord per coinvolgerla in progetti ferroviari o energetici che favoriscano l’apertura verso Pyongyang, ma senza risultati. Gli analisti non vedono per quale ragione questa volta le cose dovrebbero andare diversamente. Ed ecco che nella soluzione di questo complesso puzzle geopolitico si affaccia la quarta variabile, la Cina. Neanche a dirlo, una variabile di enorme peso.
Tra Cina e Russia è in corso da anni una serrata trattativa per il prezzo sulle forniture di gas: Gazprom progetta da tempo di vendere a Pechino 68 miliardi di metri cubi di gas all’anno per 30 anni a partire dal 2015, trasportandoli attraverso due pipeline differenti. Ma i negoziati sono sistematicamente falliti –l’ultima volta nel giugno scorso – a causa del rifiuto cinese di corrispondere tariffe simili a quelli applicati all’Europa. In un lungo faccia a faccia tra il presidente russo Dmitri Medvedev e il leader cinese, Hu Jintao al “Forum Economico di San Pietroburgo” del giugno scorso la trattativa si è nuovamente arenata sul prezzo del gas.
Il colosso energetico cinese CNPC ha fatto sapere di non essere disposto a sborsare più di 250 dollari a migliaio di metri cubici di gas, secondo quanto hanno riportato fonti di Gazprom a fronte di una richiesta di 500 dollari del colosso russo. Il Cremlino teneva particolarmente a questa intesa per diversificare le proprie esportazioni di idrocarburi, smarcandosi dalla dipendenza dai consumatori europei. Nel 2010 la domanda cinese di gas naturale è cresciuta del 20% rispetto all’anno precedente raggiungendo quota 106 miliardi di metri cubi, ma secondo le proiezioni di BP China Holdings Ltd. nel 2015 il mercato avrà raggiunto quota 260 miliardi di metri cubi. Al momento, in attesa del perfezionamento dell’accordo con la Russia, le uniche importazioni di gas via pipeline (escluso quindi il gas naturale liquefatto, acquistato da paesi come il Qatar e trasportato via nave) giungono in Cina dal Turkmenistan.
I volumi delle importazioni dalla repubblica centroasiatica dovrebbero arrivare quest’anno a quota 17 miliardi di metri cubi contro i 4 miliardi di metri cubi del 2010; sempre troppo poco per soddisfare la continua sete d’energia del Dragone. D’altra parte Pechino, che non vuole cedere all’imposizione dei prezzi di Mosca, sta investendo massicciamente per sviluppare fonti alternative di gas come il gas da scisti o il CBM (Coal Bed Methane), e raggiungere in maniera quasi autosufficiente l’obiettivo di ridurre la sua dipendenza dal carbone, che produce ancora circa il 70% del fabbisogno cinese.
La mossa di Mosca, sostengono osservatori e analisti, serve più che altro a dimostrare alla Cina che c’è qualcuno più ad est altrettanto interessato al gas russo. Ma la grande incognita di Pyongyang rischia di seppellire definitivamente questa strategia.
[Pubblicato il 7 settembre da AGICHINA24] ©Riproduzione riservata