Pechino prende tempo nella speranza che i paesi dell’eurozona arrivino a una soluzione che porti a “un euro forte e a un’Europa unita”. Ma se questo non accadrà Atene sarà costretta a svendere i suoi asset. Arriveranno aziende cinesi interessate a investire in aeroporti e autostrade. E la Repubblica popolare sarà pronta a trasformare la crisi greca nella sua migliore opportunità.
Crisi in cinese si dice weiji. Per anni, in occidente, il termine è stato interpretato come la combinazione dei due caratteri che significano “pericolo” e “opportunità”, aprendo la strada a speculazioni infinite sulla filosofia orientale che nei momenti di pericolo sa riconoscere delle possibilità di miglioramento.
Sono dovuti intervenire sinologi autorevoli per spiegare che, se proprio si voleva fare un’analisi etimologica, weiji significa “punto cruciale”, ed è vicina, quindi, alla radice di crisi, krino, che significa separare e, per estensione, discernere, valutare. Esattamente quello che sono chiamati a fare i greci e i paesi dell’eurozona in questo momento “cruciale”. E insieme a loro anche la Cina, preoccupata per i suoi investimenti nel vecchio continente e per il futuro di quella che chiama “la nuova via della seta”.
Tra il 2000 e il 2014 gli investimenti cinesi nei paesi dell’Unione europea hanno superato i 46 miliardi di euro. In Grecia sono passati da 1,8 miliardi nel 2010 a più di 16 miliardi del 2014. Il crollo delle borse cinesi indurrebbe a un’accelerazione dei tempi nella soluzione della crisi greca, ma il 29 giugno a Bruxelles, durante la conferenza stampa a margine del vertice tra Cina e Unione europea, il primo ministro cinese Li Keqiang si è mostrato prudente: “Il debito greco è un problema interno europeo. Ma se la Grecia rimarrà o meno nell’eurozona è una questione che riguarda anche i rapporti tra Cina e Ue”.