Wu Hongfei, la cantante di Pechino arrestata per aver “fabbricato false informazioni terroristiche” sarà rilasciata domani dopo dieci giorni di carcere. E’ uno dei casi esemplari del nuovo giro di vite sulle attività bollate come "minacce terroristiche". A partire da Interenet e dai social network. Aveva scritto ai 120mila follower del suo account di Weibo, il twitter cinese, che voleva far saltare in aria i palazzi governativi. Certo Wu Hongfei non si aspettava di essere portata via dalla polizia il giorno seguente.
Accusata di aver “fabbricato false informazioni terroristiche”, ha passato dieci giorni in carcere. Si temeva potesse scontare fino a cinque anni di detenzione e invece ha dovuto solo pagare una multa di poco più di 40 euro.
“Il suo avvocato ha dichiarato che era solo uno scherzo inopportuno, ma evidentemente le autorità non l’hanno trovato divertente” aveva commentato il Global Times – spin off in lingua inglese del Quotidiano del popolo, ovvero la voce più fedele al Partito.
I tweet incriminati sarebbero due: "I luoghi che voglio far saltare sono gli uffici del comitato residenziale del Centro di scambio personale di Pechino e la fottuta Commissione per le abitazioni. C’è una persona che voglio far esplodere, non dirò chi è. Lo scoprirete sui giornali".
E 12 ore più tardi, giocando sulla somiglianza tra le parole friggere e esplodere nella lingua cinese: "Voglio ‘friggere’ ali di pollo, patatine e panini al pomodoro cotti a vapore nel McDonald accanto al comitato residenziale del Centro di scambio personale di Pechino”.
Solo tre giorni dopo che Wu è stata arrestata, il Ministero della Pubblica Sicurezza ha pubblicato un rapporto sul suo sito, dicendo che ci sarà un giro di vite sulle attività terroristiche, nonché i crimini estremi da parte di individui, al fine di garantire la stabilità sociale: le persone che affermano che condurranno attività estreme come accendere fuochi, innescare esplosioni o che fabbricheranno e diffonderanno false informazioni terroristiche atte a distruggere l’ordine sociale saranno punito a norma di legge.
Sicuramente non ha giocato a sua favore il fatto che il giorno seguente un petizionista si sia fatto esplodere nell’aeroporto di Pechino per protestare contro le guardie giurate, i cosiddetti chenguang, che lo avevano picchiato fino a costringerlo sulla sedia a rotelle per il resto della sua vita. Secondo il Beijing News, a Pechino tra il 17 ed il 24 luglio si sono verificati sei “incidenti che hanno minacciato la sicurezza sociale”. Ed episodi simili si sarebbero verificati a livello nazionale.
Il Global Times aveva anche provato a intervistare Zi Xiangdong, capo del dipartimento di notizie presso l’Ufficio Municipale di Pubblica Sicurezza di Pechino. Voleva chiedere come la polizia potesse distinguere tra minacce terroristiche reali e persone che sfogano la loro rabbia online. Ma non avrebbe ricevuto altra risposta se non quella che è un “caso delicato”.
Di fatto non è chiaro il perché la cantante avrebbe indirizzato la sua rabbia sugli edifici governativi in questione. Un indizio si può trovare in alcuni suoi post del 2010 in cui, dopo essere stata sfrattata, indirizza la sua rabbia verso il suo padrone di casa sostenendo di volerlo uccidere e specificando di odiare tutta la Cina.
Il parere di Han Yusheng, un professore di diritto dell’Università del Popolo, è quello che più riflette la legislazione cinese “se le persone diffondono informazioni false che non portano gravi danni alla società, possono essere ammoniti, multati o talvolta subire a una detenzione fino a 15 giorni. Ma se le loro parole portano a conseguenze gravi dovranno affrontare una pena fino a cinque anni di carcere”. Il punto è che non ci sono regole specifiche per giudicare se un commento è una minaccia reale o solo l’espressione di frustrazioni.
Il Global Times ha anche ricordato qualche precedente in cui a minacce e sfoghi online sono seguiti gli arresti. Il più recente è il caso di un ragazzo di vent’anni dello Sha’anxi che sempre a luglio è stato arrestato per aver dichiarato online che sarebbe andato a Pechino a far saltare in aria una azienda. Alla minaccia era allegata una foto del suo biglietto ferroviario.
Lin Zhe, un esperto di anticorruzione della Scuola del Partito ha spiegato il punto di vista delle autorità con queste parole: “la libertà di parola non significa che le persone possono dire quello che vogliono. Tutti dobbiamo pagare il prezzo per le nostre parole. Questo è controllato per legge in ogni società. Una premessa fondamentale di libertà di parola è che non si può danneggiare l’interesse pubblico o i diritti degli altri”.
[Scritto per Lettera43; foto credits: isunaffairs.com]