Ieri la Cina ha ricordato i cento anni della figura di Li Xiannian. Di seguito un breve profilo del politico cinese, nato nel 1909 e morto nel 1992.
Di professione carpentiere, a soli diciotto anni entrò a far parte del Partito comunista, svolgendo incarichi locali nella natia provincia dello Hubei. Alla metà degli anni trenta prese parte alla Lunga Marcia, dopodiché fu impiegato in diverse azioni rivoluzionarie e nella resistenza contro l’invasione giapponese. Dopo la fondazione della Repubblica Popolare Cinese fu raccomandato da Chen Yun per ricoprire la carica di vice-Primo Ministro in materia economica, una posizione che egli avrebbe mantenuto ininterrottamente dal 1954 al 1980, sebbene in età avanzata rifiutò la nomina di ‘economista’, ritenendosi in prima analisi un ‘uomo d’azione’. Nel 1956 ottenne un posto all’interno dell’Ufficio Politico (Politburo), mentre negli anni che seguirono il Grande balzo in avanti fu uno degli artefici della politica di riaggiustamento economico.
Li Xiannian completò la sua ascesa negli anni che seguirono la Rivoluzione Culturale, quando contribuì attivamente alla caduta della ‘Banda dei quattro’. Nel periodo di transizione al riformismo di Deng Xiaoping fu un attivo collaboratore di Zhou Enlai e soprattutto di Hua Goufeng. Nel 1977 entrò infine nel Comitato Permanente dell’Ufficio Politico, posto che conservò fino al 1987. Tuttavia con la salita al potere dei riformisti perse gradualmente la sua influenza e fu relegato a cariche di prestigio ma con limitato potere decisionale. Tra il 1983 ed il 1988 ricoprì la funzione di Presidente della Repubblica, mentre dal 1988 fino alla sua morte fu Presidente della Conferenza Consultiva del Popolo.
Alla fine degli anni ottanta, quando il Tibet fu colpito da una rivolta, fu tra i più attivi accusatori del Dalai Lama e delle interferenze straniere. Contemporaneamente, la sua lunga esperienza in materia economica e i suoi ideali statalisti lo resero una delle voci più ostili, senz’altro la più prestigiosa, alle riforme intraprese da Deng Xiaoping e fra i più violenti accusatori dell’ala liberale, che portarono alla caduta di Hu Yaobang nel 1987 e del suo successore Zhao Ziyang in seguito ai disordini di Tian’an Men nel 1989. Le sue posizioni lo convinsero a sostenere l’imposizione della legge marziale in risposta alle proteste studentesche ed operaie, un’intransigenza che, agli occhi dell’opinione pubblica occidentale, lo ha accostato agli ambienti radicali dell’ultra-sinistra all’interno del Partito.