Sono arrivati anche a Lhasa, in mezzo ai turisti, in quella che è stata definita la più clamorosa manifestazione di protesta dalla rivolta del 2008. Due tibetani si sono dati fuoco, domenica 27, nel centro del capoluogo di fronte al tempio di Jokhang.
Xinhua, l’agenzia ufficiale cinese, ha identificato i due attivisti come Dargye, della contea di Aba (Ngaba in tibetano), e Tobgye Tseten, della contea di Xiahe (Labrang). Quest’ultimo è morto mentre il primo è in condizioni stabili e può parlare, sempre secondo l’agenzia Nuova Cina.
I due uomini sono originari dell’Amdo, la parte orientale dell’ex “grande Tibet”, la zona dove la componente locale e l’immigrazione han (l’etnia maggioritaria della Cina) si incontrano e scontrano maggiormente. Dove emergono le contraddizioni più stridenti.
Secondo Radio Free Asia i due sarebbero monaci. Nel giro di quindici minuti dal loro gesto, veicoli della sicurezza li avrebbero portati via. In seguito, “voci non confermate hanno detto che, dopo i roghi, altri tibetani si sono riuniti per protestare e che ci sono stati altri arresti”.
Dal marzo 2009, sono state almeno 35 le autoimmolazioni di tibetani. Prima di quelle di Lhasa, 34 di si erano verificate in province cinesi abitate da grandi comunità di tibetani e solo una nella vera e propria regione autonoma del Tibet (Xizang in cinese): quella di Tenzin Phuntsog, un ex monaco che si dice protestasse per una disputa forestale, avvenuta a fine 2011.
Secondo testimonianze raccolte dal New York Times, il trasferimento a Lhasa della protesta rappresenterebbe quindi un salto di qualità. Segna il passaggio da una reazione disperata e simbolica contro la repressione, messa in atto soprattutto nella contea di Ngaba, a una vera e propria strategia politica.
Le stesse fonti parlano di una situazione che si è fatta estremamente tesa, con polizia e paramilitari che presidiano in forze il capoluogo tibetano ed effettuano controlli e arresti.
Le due autoimmolazioni si sono per altro verificate durante la festività di Sawa Dawa, quando si commemora nascita, illuminazione e morte del Buddha.
È una delle ricorrenze più importanti del lamaismo e molti pellegrini sono per l’occasione giunti nel capoluogo tibetano. Fonti locali raccontano che le celebrazioni comunque proseguono.
Per le autorità cinesi, che stanno facendo di tutto per mostrare una Lhasa “armoniosa”, felice meta di itinerari turistici, si tratta comunque di un notevole smacco.
La linea ufficiale resta quella consueta: dietro molti dei casi di autoimmolazione ci sono gruppi che vogliono destabilizzare la Cina dall’esterno e che pubblicano le foto delle vittime per fomentare i suicidi.
Xinhua cita Hao Peng, segretario della Commissione regionale del partito comunista per gli affari politici e giuridici, secondo cui i roghi di domenica “sono una continuazione delle autoimmolazioni in altre zone tibetane, tutti atti finalizzati a separare il Tibet dalla Cina”.
Liu Weimin, un portavoce del ministero degli Esteri cinese, ha detto in conferenza stampa che ci sono stranieri all’opera per destabilizzare la regione, ma che questi sforzi sono “impopolari per tutti gli abitanti del Tibet”. Liu ha inoltre ricordato che “lo sviluppo economico e sociale del Tibet ha fatto continui progressi”.
* Gabriele Battaglia è fondamentalmente interessato a quattro cose: i viaggi, l’Oriente, la Rivoluzione e il Milan. Fare il reporter è il miglior modo per tenere insieme le prime tre, per la quarta si può sempre tornare a Milano ogni due settimane. Lavora nella redazione di Peace Reporter / E-il mensile finché lo sopportano.
[L’immagine di copertina è gentile concessione di Crazy Crab]