Europa

L’Europa alla corte di Xi: un po’ di Ucraina, tanto business

In Cina, Relazioni Internazionali by Redazione

Grande attesa per l’incontro a Pechino con Macron e von der Leyen. In contemporanea negli Stati uniti arriva la presidente di Taiwan: la Cina promette reazioni
Ucraina, certo. Ma anche affari. Oggi Emmanuel Macron atterra a Pechino in compagnia di 4 ministri e ben 53 imprenditori. Una lista di invitati non in linea coi venti di disaccoppiamento che soffiano dagli Stati uniti. Ma forse nemmeno tanto con la “riduzione di rischio” chiesta da Ursula von der Leyen nelle relazioni Cina-Ue. Insieme al presidente francese ci sarà anche la leader della Commissione europea. I due si sono visti ieri all’Eliseo per preparare il trilaterale con Xi Jinping, in programma domani. La Cina s’è detta pronta a “scambi approfonditi” sui “punti di crisi”, ergo l’Ucraina. Macron e von der Leyen provano a capire se davvero Xi può giocare un ruolo di mediazione. O se invece vuole limitarsi a suggerire principi generici, rafforzando nel frattempo la partnership con la Russia.
Prevedibile il pressing sul leader cinese per incontrare o almeno parlare con Volodymyr Zelensky. Altrettanto prevedibile che Xi biasimi la “mentalità da guerra fredda” degli Usa per la difficoltà nell’intravedere una soluzione politica. Da capire se basteranno le rassicurazioni sul nucleare e sul mancato sostegno militare a Mosca per tenere aperte le rispettive porte. La presenza di così tanti uomini d’affari francesi sembrerebbe dire di sì. Anche perché Macron avrà ben due pasti con Xi, sia domani sia venerdì. Il secondo senza von der Leyen, il cui discorso è stato criticato da Fu Cong, ambasciatore cinese presso l’Ue, ma non dal governo. La Cina chiede all’Ue “autonomia strategica”, ergo emancipazione da Washington, per continuare a cooperare.
Macron sostiene da tempo la necessità di dialogo con Pechino per non favorire un completo allineamento con Mosca. In precedenza sosteneva la stessa cosa sul fronte russo. In concomitanza della sua visita, peraltro, Airbus sta negoziando una nuova serie di ordini con Pechino. Negli ultimi anni, il costruttore francese ha ormai preso in mano il mercato cinese relegando l’americana Boeing al ruolo di comprimario. L’Europa appare intenzionata a ridurre la propria dipendenza dalla Cina, soprattutto sui fronti più strategici come la tecnologia e le materie prime. Ma ha intenzione di proseguire gli affari. Nelle prossime settimane il ministro del Commercio cinese, Wang Wentao, andrà a Bruxelles per cercare un nuovo equilibrio.
L’attualità potrebbe rendere difficile a Macron e von der Leyen evitare il tema Taiwan. Oggi, Tsai Ing-wen incontra Kevin McCarthy in California. Il secondo transito americano della presidente taiwanese avrà un profilo ben più alto del primo. Stavolta il colloquio con lo speaker del Congresso alla Reagan Library è aperto alla stampa. Il ministero degli Esteri di Pechino ha preannunciato una reazione per difendere “con fermezza la sovranità nazionale”. Per ora nessuna manovra inusuale, a parte il transito di venerdì scorso di 9 jet in modalità da combattimento oltre la linea mediana. Non è escluso che possano svolgersi ampie esercitazioni sullo Stretto, come accaduto lo scorso agosto dopo la visita di Nancy Pelosi. Ma “non sarebbe nell’interesse strategico di Pechino”, secondo Wen Ti-sung dell’Australian National University. Per non offuscare l’incontro di Xi coi leader europei e per non perdere l’occasione di valorizzare la storica visita dell’ex presidente taiwanese Ma Ying-jeou, che tra oggi e domani potrebbe incontrare a Shanghai ufficiali del Partito comunista. A Taipei, molti si attendono una reazione più mirata alla stessa Tsai o al suo partito, oltre alle prevedibili sanzioni per McCarthy. Intanto, a Taiwan arriva la settimana prossima una delegazione parlamentare italiana a trazione Fratelli d’Italia.
Di Lorenzo Lamperti
[Pubblicato su il manifesto]
La visita vista dalla Cina

“La Cina non è parte in causa nella crisi in Ucraina”. Alla vigilia della visita a Pechino di Emmanuel Macron e Ursula von der Leyen, il governo cinese smentisce per l’ennesimo volta di voler “mediare” nella guerra russo-ucraina, che si ostina a chiamare “crisi”. Piuttosto chiede che sia Bruxelles a compiere “passi decisi” per il conseguimento della pace e della stabilità a lungo termine in Europa. Accoglienza freddina per la numero uno della Commissione europea, che insieme al presidente francese, Emmanuel Macron, è attesa in Cina dal 5 al 7 aprile. Se nei piani di von der Leyen,  “l’Ucraina sarà un importante tema di discussione”, Pechino sembra intenzionato a ridimensionare le aspettative degli ospiti. La leadership cinese svolgerà, sì, un “ruolo costruttivo” per “una risoluzione pacifica della crisi”. Ma solo promuovendo “il dialogo con le controparti europee”. Non certo isolando la Russia, con cui giusto ieri è stata ribadita la necessità di consolidare una “cooperazione pratica”. 

Accantonate per il momento le aspirazioni da “peacebroker”, la Cina sembra piuttosto voler giocare la carta economica. Anche intuendo i desideri di Macron. Il presidente francese, che dal pensionamento di Angela Merkel ha cercato in ogni modo di proporsi come principale interlocutore nei rapporti tra Cina ed Europa, viaggerà con una delegazione di oltre 60 dirigenti. Tra le aziende rappresentate figurano Airbus (in trattative per la vendita di altri jet) ed Electricite de France, la società che ha contribuito a costruire la prima centrale nucleare commerciale della Cina, a Shenzhen. “Chi sano di mente abbandonerebbe un mercato così fiorente e grande come la Cina?”, commentava giorni fa ai microfoni del Financial Times, Fu Cong, l’ambasciatore cinese presso l’Ue.

Il problema è che Pechino pensa di poter riportare le lancette dell’orologio a dieci anni fa, quando l’occidente si illudeva ancora, speranzoso, che il ricambio generazionale alla guida del partito avrebbe favorito una possibile apertura della Cina. Se sotto la precedente amministrazione erano soprattutto le violazioni dei diritti umani a preoccupare le cancellerie europee, con la nomina di Xi Jinping (per non parlare della controversa conferma a un terzo mandato) è diventata la sicurezza il vero nervo scoperto. Da Tik Tok, bandito dagli smartphone della Commissione Ue, alle infrastrutture portuali: il crescente controllo del Partito-Stato sull’economia cinese ha inevitabili ripercussioni per la penetrazione delle aziende nazionali nel Vecchio Continente.

Per Pechino si tratta di protezionismo. In un’intervista a Nouvelles d’Europe l’ambasciatore cinese a Parigi, Lu Shaye, ha ricordato come “il valore totale degli investimenti cinesi in Francia è di gran lunga inferiore al valore totale degli investimenti francesi in Cina.” Il diplomatico ha invitato l’Eliseo a superare “l’interferenza di terze parti”. Chiara allusione al pressing americano.

Ormai è un’ossessione, accecante per quanto non del tutto immotivata. Nei comunicati ufficiali, così come sui media statali, traspare la convinzione che il peggioramento delle relazioni con l’Europa sia quasi interamente attribuibile all’ingerenza statunitense. Riassumendo il parere degli analisti cinesi, il Global Times motiva il calo della “fiducia politica” con Bruxelles alla luce dei “vasti cambiamenti geopolitici, della stretta sull’Europa da parte degli Stati Uniti nella sua rivalità con la Cina, e della scarsità di scambi Cina-UE”. Ma in realtà l’impressione è che ormai molti dei timori americani abbiano contagiato gli alleati sull’altra sponda dell’Atlantico.

Non si tratta più solo di appelli a “una concorrenza più equa e più disciplinata”. Nel suo recente discorso sui rapporti Cina-UE, von der Leyen ha accusato Pechino di voler mettere in atto “un cambiamento sistemico dell’ordine internazionale”. Non giovano le ritorsioni commerciali applicate ai paesi che – come la Lituania – osano mantenere stretti rapporti con Taiwan. Proprio a riguardo, lo scorso anno Bruxelles ha avanzato una controversia nei confronti della Cina presso l’Organizzazione mondiale del commercio, e solo pochi giorni fa Consiglio e Parlamento hanno approvato un testo comune per uno strumento anti-coercizione, citando l’esempio di Vilnius. Considerato il clima, è irrealistico pensare a uno scongelamento dell’accordo di investimento bilaterale tenuto in ostaggio a Strasburgo. Von der Leyen è stata chiara.

Pechino non ha nascosto lo scarso entusiasmo con cui – su insistenza di Macron – “ha concordato” che la presidente della Commissione fosse inclusa nel tour, anziché accoglierla “su invito del presidente Xi Jinping” come nel caso del capo dell’Eliseo. Nel gioco delle parti, il duo tenterà di fare muro almeno su quei dossier, come l’Ucraina, dove pare esserci piena intesa: la Cina può e deve fare di più per fermare l’invasione russa.

Insomma, per Pechino le premesse non sono esaltanti, e persino in Cina c’è chi lo ammette a denti stretti. Nella giornata di ieri, Zichen Wang, giornalista dell’agenzia di Stato Xinhua molto attivo su Twitter, aveva espresso serie perplessità sul futuro dei rapporti con il blocco dei 27, sminuendo il significato della trasferta dei due leader europei. Il commento è stato cancellato solo poche ore dopo.

Di Alessandra Colarizi

 [Pubblicato su Il fattoquotidiano.it]