Primo romanzo dello scrittore giapponese Asai Ryō in traduzione italiana, “Voglio essere qualcuno” racconta sogni e ambizioni di una generazione alla scoperta di sé nel periodo di transizione dall’università al mondo del lavoro. La recensione di Letture Asiatiche, la rubrica sulla letteratura in Cina e Asia a cura di Linda Zuccolotto.
Settembre è il mese del ritorno fra i banchi di scuola, l’inizio di un nuovo anno scolastico sì, ma non solo. Nuovi progetti, nuovi inizi. “Voglio essere qualcuno” (titolo originale “Nanimono”) calza a pennello con questa atmosfera di cambiamento. Si tratta di una delle novità di settembre della casa editrice romana Atmosphere Libri nella collana Asiasphere, dedicata alle letterature dall’Asia orientale e dal Sud-Est asiatico. Lo scrittore Asai Ryō deve la sua notorietà proprio a questo titolo, grazie al quale nel 2012 è stato insignito del Premio Naoki e dal quale è stata realizzata anche una trasposizione cinematografica nel 2016.
Il tema centrale del romanzo è lo “shushoku katsudo”, concetto che indica la “ricerca del lavoro”. Un’espressione che in Giappone fa riferimento alla pratica di reclutamento tradizionale e predominante nel paese, che descrive un sistema ben complesso e strutturato che riguarda la ricerca di lavoro. Di questo sistema culturalmente specifico dà un’idea il traduttore del romanzo Alessandro Passerella che in un saggio nella postfazione al libro “L’arte di farsi assumere in Giappone” aveva già parlato di questo fenomeno. Ogni anno infatti la Keidanren (Japan Business Federation) fissa le linee guida sul reclutamento e la selezione dei candidati che le aziende aderenti possono seguire per quello che è a tutti gli effetti un sistema di assunzioni di massa. Sebbene non si tratti di un percorso obbligatorio, gli studenti giapponesi solitamente iniziano a cercare lavoro un anno prima della laurea, seguendo una serie di precisi step che nell’arco di un anno comprendono attività di auto-analisi per capire le proprie attitudini e capacità, screening test, invio di domande alle aziende di interesse e una serie di test scritti e orali, sia individuali che di gruppo per giungere, nei casi più fortunati, a una proposta di lavoro da parte dell’azienda.
I protagonisti di “Voglio essere qualcuno” sono quindi cinque studenti universitari che si trovano ad affrontare lo shushoku katsudo, dovendo inevitabilmente pensare con maggiore coscienza al proprio futuro lavorativo. Alle prese con la raccolta di informazioni sulle aziende nel loro campo di interesse, curriculum vitae, entry sheet e partecipazione a colloqui, i ragazzi iniziano a condividere sogni e ambizioni, dubbi e interrogativi che li attanagliano. Nell’epoca dei social network, di Twitter e del limite di caratteri dovrebbe essere ormai facile descriversi in poche parole, efficaci e persuasive, ed emergere fra la massa di giovani nei loro tailleur tutti uguali che si fanno strada nel mondo del lavoro. Ma non per tutti è così, e il desiderio di affermazione si scontra spesso con il rifiuto e la disillusione.
“Si dice spesso che trovare lavoro è una tortura, ma, a mio avviso, gli aspetti più molesti sono principalmente due: il primo è l’esperienza del rifiuto, reiterata ogni volta che si fallisce un test; il secondo è lo sforzo prolungato di spacciarsi per qualcuno di speciale senza esserlo davvero.” In questo iter, l’arte della dissimulazione la fa da padrone.
“E poi, ai colloqui, poco importa se dici un mucchio di bugie, l’importante è avere le idee chiare. Vedrai che finirai per crederci. Conviene che ti alleni finchè hai tempo.”
Ognuno mette a punto una propria strategia per ottenere il posto dei sogni o perlomeno un compromesso tra le proprie ambizioni e la realtà. La ricerca di lavoro diventa un lavoro a tutti gli effetti e il rischio è che una volta ottenuta un’occupazione si pensi di essere arrivati alla fine. In tutto ciò comunque la vita va avanti: amori e amicizie, problemi famigliari e lotte interiori.
Il lungo e rigido processo di ricerca di lavoro descritto in queste pagine è del tutto peculiare, ma negli ultimi anni in Giappone qualcosa sta cambiando per garantire da un lato maggiore flessibilità alle aziende, dall’altro un alleviamento della pressione agli studenti. Non è difficile, infatti, per chi abbia sperimentato le dinamiche della ricerca di lavoro empatizzare con i personaggi o perlomeno trovarsi a condividere le sensazioni contrastanti che emergono dalle loro parole. In un mix di dialoghi, tweet e riflessioni della voce narrante in prima persona di uno dei cinque studenti protagonisti, Asai Ryō fa affiorare le personalità di ognuno, ci fa conoscere le persone dietro la maschera.
Di Linda Zuccolotto