Scrittore, professore di letteratura, pittore, fotografo, studioso di farfalle e attivista ambientalista: questo è il ritratto di Wu Ming-yi, l’eclettico autore di “Montagne e nuvole negli occhi”, il suo primo romanzo tradotto in Italia (edito da Edizioni E/O e tradotto dal cinese da Silvia Pozzi). Quest’opera si inserisce nel filone della cosiddetta nature writing, la scrittura naturalistica (resa in cinese con l’espressione自然書寫zìrán shūxiě) di cui Wu Ming-yi è uno dei principali esponenti a Taiwan, strettamente legata anche al fenomeno dell’eco-criticism. Ispirandosi alla visione della natura presente nella letteratura cinese classica, in particolar modo rifacendosi alla visione filosofica taoista dell’armonia e interdipendenza tra uomo e natura, questa scrittura è calata nella peculiare realtà locale dell’isola di Taiwan, dove la corsa allo sviluppo economico ha creato gravi danni all’ambiente circostante.
Atrei proviene da un’isoletta del Pacifico chiamata Wayo-wayo, dove gli abitanti vivono in simbiosi con la natura. Tutta la loro vita ruota intorno al mare, loro principale fonte di sostentamento e protagonista indiscusso delle storie di cui sono abili narratori. “Se ne riparla quando torna il secondogenito” è il loro modo per descrivere qualcosa di impossibile perché il destino dei secondogeniti è segnato fin dalla nascita: al compimento dei 15 anni d’età devono partire a bordo di un telawaka, un’imbarcazione che realizzano con le loro mani per affrontare l’oceano in un viaggio di sola andata. A salvarlo miracolosamente dall’imprevedibilità dell’oceano è la sua forte determinazione, l’amore che prova per Wusula, la ragazza più bella di Wayo-wayo, e la presenza di un’isola in continuo movimento, piena di oggetti bizzarri che non hai mai visto prima.
Su un’altra isola ben più nota, Taiwan appunto, vive Alice, una donna distrutta dal dolore per la perdita del marito Jakobsen e del figlioletto Toto durante un’escursione in montagna, la quale medita il suicidio per porre fine a quella vita che tanto le ha tolto e che ormai per lei sembra non avere più un senso. Tuttavia senza che se ne renda realmente conto la vita le offre un’opportunità di rinascita. Le fa incontrare Atrei, un aborigeno poco più grande del figlio, trasportato insieme al vortice di rifiuti su quella spiaggia della costa orientale di Taiwan. Lì vicino c’è la casa sull’oceano di Alice, che si sta a poco a poco inabissando a causa del progressivo innalzamento del livello del mare, un posto pregno di ricordi che lei si ostina a non voler abbandonare. Nonostante le incomprensioni dovute alla mancanza di una lingua comune nella quale esprimersi, questo incontro rappresenterà per entrambi un momento significativo della loro vita.
“Montagne e nuvole negli occhi” è un romanzo corale in cui Wu Ming-yi dà voce anche agli aborigeni di Taiwan che rappresentano ormai solo un’esigua minoranza della popolazione dell’isola, in gran parte di etnia han, affinché venga preservata la loro identità culturale. Delle sedici tribù riconosciute ufficialmente dal governo dell’isola, l’autore ce ne presenta solo alcune, come ad esempio gli amis, che chiamano loro stessi con il termine pangcah e che rappresentano il gruppo etnico più numeroso, e i bunun, legati alla montagna, loro progenitrice e protettrice. Sono proprio le popolazioni indigene, il cui stile di vita tradizionale è strettamente legato alla natura, quelle che risentono maggiormente della devastazione della montagna, sventrata e privata del suo “cuore” per interessi economici, e dell’oceano, invaso da un’accozzaglia di rifiuti.
Per gli han l’inquinamento del mare significa denaro in meno, ma per i pangcah l’oceano è il loro progenitore. I loro miti sono tutti legati all’oceano, cosa resta di un popolo se lo privi delle sue radici?
A tempo debito la natura sta presentando il conto dei danni perpetrati dall’uomo in anni e anni di disinteresse nei confronti dell’ambiente, restituendo la spazzatura di tutto il mondo che via via si è ammassata creando un enorme vortice di rifiuti (il cosiddetto Pacific trash vortex) o “brodo immondo”, come viene ribattezzato nel libro dai giornalisti che accorrono a filmare la situazione disastrosa.
Un romanzo dunque che riesce a fondere fantasia, emozioni e sensibilità alla presentazione di una realtà purtroppo tristemente attuale. La natura è a tutti gli effetti una co-protagonista, anche nella figura del misterioso uomo dagli occhi composti (traduzione del titolo originale del libro, in cinese 複眼人fùyǎn rén), ossia come quegli degli insetti e che riveste un significato simbolico all’interno del romanzo, assumendo in sè le molteplici manifestazioni della natura.
«Contemplo ma non intervengo, questo è il senso della mia esistenza».
Momenti più didascalici si alternano a descrizioni oniriche e poetiche, facendo percepire la bellezza della natura in tutte le sue forme e stimolando nel lettore una riflessione più ampia sull’eco generato dalle azioni dell’uomo. Il quadro che ne risulta non è propriamente idilliaco, anzi decisamente drammatico: sebbene quello dell’inquinamento ambientale sia un tema ampiamente dibattuto, Wu Ming-yi cerca di accrescere in chi legge la consapevolezza di quanto sia importante che ognuno di noi si impegni difendere con amore il mondo in cui vive.
“Nessun essere può sopravvivere senza i ricordi degli altri esseri e dell’ambiente che lo circonda. Gli uomini lo ignorano, credono che i fiori sboccino in una profusione di colori per il piacere dei loro occhi, che i cinghiali esistano per finire sulla loro tavola e i pesci per abboccare al loro amo. Credono di essere gli unici a soffrire, che un sasso rotoli nel burrone senza alcun senso e che un sambar che si abbevera a un torrente non sia una rivelazione… In realtà, anche il più piccolo movimento di un qualunque essere vivente modifica l’ecosistema”.
di Linda Zuccolotto
Laureata magistrale in Language and Management to China all’Università Ca’ Foscari di Venezia, ho studiato per un periodo a Pechino con una borsa di studio. Su Instagram condivido la mia passione per la Cina sulla pagina @hanzilovers.