L’Italia, la Cina, e il primo computer a transistor della Olivetti. La Macchina Zero è l’ultima graphic novel di Cjai Rocchi e Matteo De Monte. Un romanzo a fumetti che racconta la storia di Mario Tchou, l’ingegnere italo-cinese che contribuì in modo fondamentale al progresso tecnologico italiano. La recensione di Letture Asiatiche, la rubrica sulla letteratura in Cina e in Asia a cura di Linda Zuccolotto
Dopo il successo di Primavere e Autunni e Chinamen, Ciaj Rocchi e Matteo Demonte tornano con un nuovo libro edito Solferino, La Macchina Zero. Una graphic novel incentrata sulla vita di Mario Tchou, ingegnere italo-cinese che ebbe un ruolo chiave nella realizzazione del primo computer italiano targato Olivetti. A sessant’anni dalla sua prematura scomparsa, questa biografia a fumetti, frutto di un lungo e minuzioso lavoro di ricerca, ripercorre l’incredibile vicenda umana e imprenditoriale del primo cinese nato in Italia.
Il volume si apre con il tragico epilogo della storia, la morte improvvisa di Tchou, andando poi a ritroso a raccontare le vicende personali e professionali di Mario Tchou, a partire dal primo contatto con il nostro paese della sua famiglia. Il padre, Yin Tchou, originario di Hangzhou, nel 1915 aveva viaggiato prima in Francia e poi proprio in Italia, a Como, per scoprire le nuove tecniche di lavorazione della seta utilizzate in Europa. E in Italia, a Roma, tornò nel 1918 per lavorare presso l’ambasciata della Repubblica di Cina, dove venne raggiunto qualche anno dopo dalla promessa sposa Evelyn Wang e dove nel 1924 nacque il figlio Mario. Comprendere il contesto famigliare e sociale in cui cresce Mario Tchou è fondamentale per capire il tipo di educazione che ricevette. Il padre, diplomatico, divenne un punto di riferimento dei primi cinesi in Italia internati durante il fascismo nei campi di concentramento; la madre, donna emancipata e istruita in scuole prestigiose, era stata sostenitrice di associazioni che si battevano per i diritti delle donne.
Dopo la maturità classica al liceo Tasso di Roma, si iscrive alla facoltà di Ingegneria industriale alla Sapienza e nel 1946 parte alla volta di Washington grazie a una borsa di studio. Gli anni oltreoceano sono fondamentali per arricchire il suo bagaglio di conoscenze scientifiche e qui, nonostante il privilegio derivatogli dalla sua condizione sociale, conosce il sacrificio e la fatica, che l’hanno poi reso un leader dalle grandi doti umane. Ma quando si incrociano le strade dell’ingegnere Mario Tchou e dell’imprenditore Adriano Olivetti? Nei primi anni ’50 la Olivetti, fiore all’occhiello dell’industria italiana nel campo delle
macchine da scrivere e da calcolo, su consiglio del fisico Enrico Fermi decide di aprirsi all’elettronica. La rete di conoscenze (le famose guanxi, 关系 ) costruita negli anni precedenti sui banchi di scuola gioca un ruolo chiave per il futuro di Mario Tchou. È infatti un amico dei tempi del liceo, Guglielmo Negri, a organizzare nel 1954 l’incontro tra Mario e Adriano a New York, nel
megastore Olivetti di Park Avenue. La proposta di tornare in Italia a dirigere il nuovo Laboratorio di ricerche elettroniche Olivetti viene accolta con entusiasmo da Mario Tchou, lontano da casa ormai da molti anni.
Grazie ai racconti e agli aneddoti delle persone che lo hanno conosciuto, Rocchi e Demonte riescono a far emergere l’uomo che c’era dietro il leader carismatico e dalla capacità di visione straordinaria. Quello che Ettore Sottsas, incaricato dall’azienda del design del calcolatore elettronico, ha definito un ingegnere poetico, per la sua naturale capacità di ricercare nelle persone motivazione ed entusiasmo, prima che competenze ed esperienza. È in questo modo che è riuscito a
creare attorno a sé l’ambiente di lavoro ideale, un clima di collaborazione e confronto, un gruppo di giovani coeso e determinato che ha completato nel 1957 il primo elaboratore denominato ELEA 9001 (acronimo di Elaboratore Elettronico Aritmetico ma anche un rimando all’antica città della Magna Grecia), la Macchina Zero del titolo, e dopo soli due anni ELEA 9003, il primo calcolatore italiano a transistor.
Alla lungimiranza dell’ingegnere Tchou, sempre pronto a compiere scelte coraggiose e ad assumersi i rischi, mettendo in discussione i risultati di volta in volta raggiunti, si è contrapposta da un lato la miopia delle istituzioni italiane, che non hanno garantito un appoggio finanziario ai progetti Olivetti, e dall’altro la visione conservatrice delle divisioni più tradizionali dell’azienda che ha osteggiato la transizione dalla meccanica all’elettronica. La parabola ascendente della Divisione
elettronica dell’azienda di Ivrea si è interrotta infatti bruscamente in seguito alla morte delle sue due figure chiave, Adriano Olivetti nel 1960 e poco più di un anno di distanza Mario Tchou, con la sua cessione definitiva nel 1964 all’americana General Electric.
Di questo volume colpiscono la scelta cromatica delle tavole che segue di pari passo la narrazione e la dovizia di particolari, frutto di un’attenta ricerca iconografica. In questa ricchezza di dettagli si inseriscono, come nelle precedenti graphic novel di Rocchi e Demonte, onomatopee in cinese e caratteri che integrano o sintetizzano di volta in volta gli eventi descritti, ma soprattutto, come specificato da Ciaj Rocchi in un commento in postfazione, “servono a ricordarci che Mario
parlava e si vestiva come un italiano, ma dentro di sé pensava anche in cinese, certe cose poteva immaginarle e provarle solo in cinese”.
di Linda Zuccolotto
Laureata magistrale in Language and Management to China all’Università Ca’ Foscari di Venezia, ha studiato per un periodo a Pechino con una borsa di studio. Su Instagram condivide la sua passione per la Cina sulla pagina @hanzilovers.