Crescita selvaggia è il secondo romanzo della scrittrice cinese Sheng Keyi tradotto in italiano e pubblicato da Fazi. Una saga famigliare cruda e drammatica, censurata in Cina a causa dei temi sensibili che affronta. La recensione di Letture Asiatiche, la rubrica sulla letteratura in Cina e in Asia a cura di Linda Zuccolotto
Crescita selvaggia (titolo originale yeman shengzhang, 野蛮生长) è il secondo romanzo della scrittrice cinese Sheng Keyi ad essere pubblicato in Italia da Fazi Editore, nella traduzione dal cinese di Federico Picerni.
L’autrice, nata nel 1973 nell’Hunan, attinge dalle proprie vicende personali per intessere una saga famigliare sullo sfondo di alcuni eventi storici reali della Cina contemporanea. Come seguendo la struttura di un albero genealogico, il racconto delle vicissitudini della famiglia Li prende avvio nel 1911 in un villaggio di campagna con la figura del nonno, poeta per passione e giocatore d’azzardo per vocazione. La narratrice, e protagonista stessa del romanzo, che diventerà poi giornalista, procede via via a introdurre tutti gli altri membri della famiglia: ogni capitolo prende il nome del personaggio di cui va a raccontare, intrecciando le loro storie.
Gran parte delle figure maschili del romanzo sono tratteggiate con toni negativi, a partire dal padre della narratrice, misogino e tirannico, odiato dai figli che pur di allontanarsene finiscono per prendere decisioni avventate.
“Mio padre era il sovrano della casa; moglie e figli erano i suoi sudditi. Vedere la loro docilità non solo non inteneriva il sovrano, ma addirittura fomentava il suo dispotismo.”
Le vere protagoniste di questo romanzo sono invece le donne: schiacciate, soffocate sin dalla nascita dal rigido sistema patriarcale, costrette a prendere a morsi la vita ma finendo molto spesso per venirne divorate, cercano con tutti i mezzi possibili una via di fuga per sopravvivere ed emanciparsi. Le donne di campagna, infatti, secondo Sheng Keyi sono la categoria sociale più svantaggiata e colpita dalle dure leggi della società, che le considera alla stregua di oggetti.
Ma il dolore non risparmia nessuno, nemmeno gli uomini, la felicità è effimera, solo un breve intermezzo che precede la batosta successiva. I rapporti umani ricoprono un ruolo centrale nella narrazione, tuttavia il più delle volte sono complessi e tossici, poco amore e tanta sofferenza.
Ed è quindi nella città che si ripongono tutte le speranze di una realizzazione personale.
Per le generazioni più vecchie, legate in maniera viscerale alla terra, trasferirsi in città per inseguire i propri sogni è un sacrilegio, per i più giovani diventa invece un bisogno impellente. La nostalgia di casa ha solo il sapore di un piatto di straccetti di maiale al peperoncino.
“Cambiare gusto è difficile quanto cambiare accento.”
Oltre al divario tra città e campagna, Sheng Keyi inserisce qua e là molti eventi e temi chiave della storia cinese contemporanea che nel bene o nel male (quasi sempre nel male) hanno segnato inevitabilmente la vita delle persone, che rimangono comunque il motore principale del racconto. Dalla strage di Tian’anmen agli orrori della politica del figlio unico, dalla situazione di Hong Kong alla diffusione dell’epidemia di Sars: con un uso sapiente e calibrato delle parole, Sheng Keyi mette in bocca ai suoi personaggi giudizi talvolta sommari, perlopiù dettati da una conoscenza superficiale degli eventi. Metafore e allusioni danno quella sensazione di detto-non-detto, ma alla fine quello che è lasciato implicito finisce per pesare di più delle parole stesse.
“L’apparecchio rumoreggiava senza sosta, i conduttori dicevano che a Pechino si stavano verificando dei tumulti e lo schermo in bianco e nero si popolava di autobus dati alle fiamme e cadaveri, carri armati e soldati in azione. Mia madre si avvicinò, pensando che fosse un film di guerra. Non riuscì a stare a guardare, e anch’io tornai in camera mia. Ci sembravano avvenimenti troppo lontani da noi, che non ci riguardavano affatto.”
La scrittura schietta e senza fronzoli ricca di immagini evocative di Sheng Keyi arriva dritta al lettore, scava dentro gli animi dei suoi personaggi e ne restituisce un ritratto vivido e genuino. La loro umile origine umile prende vita nelle espressioni scurrili e dialettali, spiegate poi tra parentesi, e nei proverbi che esprimono perfettamente la loro identità rurale. Molte delle frasi pronunciate dai protagonisti del romanzo sono talmente spontanee che si imprimono nel cuore di chi legge e non si può non provare empatia.
Con un uso sapiente dell’ironia, quasi sempre dal retrogusto amaro, e il ricorso frequente a similitudini e metafore che attingono perlopiù dalla quotidianità rurale, Sheng Keyi ci riporta una realtà tutt’altro che edulcorata.
La “Crescita selvaggia” del titolo è quella delle persone che animano le pagine del romanzo e quella di una Cina in continua trasformazione, dove fare soldi è come un mantra che rimbomba nella testa, sembra essere la chiave per la redenzione, anche se arricchirsi è costoso più che glorioso, e lo sa bene Xiao Shuiqin, la cognata della narratrice, che in questa folle corsa si dimentica di vivere.
Di Linda Zuccolotto