All’inizio del 2017, un video fece scandalo su Weibo, il twitter cinese. L’amministratore delegato di una importante catena di alberghi giapponese avrebbe riscritto la storia del Sol Levante in un libro poi disposto in ogni camera delle sue strutture sparse per il mondo, proprio come la Bibbia nei motel americani. Nulla di eclatante se non fosse stato per il fatto che il libro promuoveva una visione della storia basata su teorie cospirazioniste caratteristiche del più spinto nazionalismo nipponico. Il manoscritto reinterpretava fatti come Hiroshima e Nagasaki o negava persino lo Stupro di Nanchino, il massacro di massa ad opera giapponese avvenuto nell’ex-capitale cinese agli albori del Secondo conflitto mondiale, il quale costò la vita di oltre 300mila persone.
A poche ore dallo scandalo, gli netto-uyoku, un esercito di troll virtuali giapponese, riempì i social con contenuti razzisti e anti-cinesi, a sostegno dell’azione svolta dall’albergatore e della sua visione della storia. Lo stesso esercito fece poi campagna elettorale sui social americani a favore di Donald Trump, e lo fece sempre attraverso contenuti kawaii (“adorabili”, “carini”) caratteristici dei manga e degli anime, ricchi di slogan politici, militari, razzisti e persino svastiche o uniformi delle SS.
Il vero problema della questione non sono tanto i netto-uyoku, ma il contesto nel quale proliferano. Chi avrebbe infatti mai pensato che il successo globale di fumetti e cartoni come Dragon Ball, Naruto o Ken il Guerriero potesse ispirare governi ed organizzazioni a sfruttare i manga per propagandare militarismo, nazionalismo e razzismo, attraendo un grande seguito sia in oriente che in occidente?
Non diversamente da quanto fatto dal Pentagono, ormai tra i più grandi produttori cinematografici della storia di Hollywood, la difesa e il governo giapponese promuovono la creazione di un complesso industriale creativo che attraverso la produzione di film, spettacoli teatrali, letteratura, fashion e manga possa ricalibrare l’immagine del Giappone e delle sue forze armate in patria e all’estero, diffondendo attraverso social e media i concetti chiave dell’amministrazione Abe.
Negli ultimi anni abbiamo infatti assistito ad una crescita esponenziale di manga e anime ultra-nazionalisti che hanno ispirato movimenti fisici e virtuali in tutto il mondo. Gli otaku per esempio sono appassionati della cultura pop giapponese. Questi “nerd della cultura nipponica” sono passati in pochi anni dall’essere fissati di collezionismo, videogiochi, ramen e cultura manga ad essere caratterizzati dalla condivisione di contenuti di estrema destra. Su twitter basta ricercare l’hashtag #AnimeRight per farsi un’idea.
Militarismo e nazionalismo sono da lungo tempo presenti negli anime giapponesi, da Gundam a Holly e Benji. Tuttavia, mai si erano raggiunti livelli così radicali e popolari: alcuni anime come Code Geass esplicitamente parlano di un Giappone ormai schiavo dei coloni “britannici”; Gear raffigura l’esercito giapponese come “eroico, buono e giusto”; altri come Kankolle, rappresentano delle studentesse soldato (sempre in stile kawaii) in un sottofondo di simbologie da criminali di guerra. Uno dei più classici simboli in questo tipo di anime è la bandiera del Sol levante rappresentante l’imperialismo nipponico, ma ci sono elementi notevolmente più subdoli, che richiamano dispute territoriali e controversie internazionali.
Per esempio, nel primo episodio di “Super Sonico: The Animation”, due personaggi seduti al ristorante indossano delle uniformi con la scritta “Yasukuni”. Yasukuni è il nome di un santuario che ospita i feretri di migliaia di criminali di guerra giapponesi, un tempio a cui il presidente Shinzo Abe ha reso omaggio e preghiera più volte. La serie fu cancellata dalle emittenti coreane, mentre l’atteggiamento di Abe scatenò delle rivolte anti-nipponiche in Cina non di poco conto. Rivolte che portarono alcuni giganti giapponesi come la Sony a dover chiudere i battenti sul suolo mandarino per diversi giorni. La cosa più assurda è che pur essendo anti-cinesi, anti-coreane e spesso anti-occidentali, queste serie vantano un altissimo numero di seguaci in Cina, in Corea e in Occidente.
I presupposti nazionali e internazionali a supporto di questi fenomeni ci sono tutti, e non solo per via della crescita dell’estrema destra in tutto il mondo. Sul piano internazionale il Giappone parla di “pacifismo propositivo”, ma si trova circoscritto dall’emergere della Cina, l’instabilità della penisola coreana e del Mare cinese del Sud o le dispute territoriali con la Russia. Sul piano domestico il governo non solo rende omaggio ai criminali di guerra, ma reinterpreta la Costituzione e il concetto di difesa collettiva, riforma la scuola, i fatti storici e i libri di testo, promuovendo idealizzazioni nazionaliste e militariste del passato, presente e futuro nipponico sull’onda del “Make Japan Great Again”.
Questi fenomeni e le loro allusioni non sono di facile lettura in Occidente, ma sono diffusi ovunque e dovremo imparare a riconoscerli, non solo da esplicite svastiche, ma soprattutto dai paradigmi impliciti che impersonificano. Questo perché tali paradigmi non solo ci influenzano in maniera inconscia ma sono gli stessi di cui si sta nutrendo e servendo l’estrema destra per proliferare con successo anche qui da noi.
di Gian Luca Atzori
[Pubblicato su Agi]