Un uomo sabato scorso ha fatto esplodere un ordigno, all’aeroporto di Pechino. Si tratta, probabilmente dell’ennesimo atto di disperazione di un cittadino cinese, di fronte all’ennesimo torto subito, a dimostrare come la propaganda del «sogno cinese» non sia in grado al momento di unire in un unico slogan tutta la popolazione. Alle 18.30 di sabato presso la sala degli arrivi al terminal 3 dell’aeroporto di Pechino (quello inaugurato in occasione delle Olimpiadi del 2008) un uomo, Ji Zhongxing, classe 1979 e originario dello Shandong, avrebbe fatto esplodere un ordigno artigianale confezionato con la polvere da sparo dei fuochi d’artificio. L’uomo in carrozzella, è presente in molte delle foto immediatamente diffuse su Weibo, il twitter cinese e sarebbe anche l’unico ferito in seguito all’esplosione dell’ordigno. Secondo fonti cinesi sarebbe stato ricoverato e gli avrebbero amputato il braccio. A quanto affermato dai media statali sarebbe l’unico ferito, mentre un quotidiano del sud del paese riportava la notizia secondo cui ci sarebbero altri feriti tra gli inservienti.
L’esplosione è avvenuta agli arrivi dell’aeroporto, dove si può accedere senza alcun controllo preventivo; questo spiega la facilità con cui Ji ha potuto fare esplodere l’ordigno in uno degli aeroporti dove le misure di sicurezze raggiungono livelli altissimi. In secondo luogo questa storia, dai contorni ancora da chiarire, dice qualcosa circa una tensione sociale latente che arriva da profonde diseguaglianze e – forse, in questo caso – da abusi di potere da parte delle forze dell’ordine. Stando infatti a quanto si è potuto ricostruire tramite le notizie apparse in rete, compreso blog e foto del protagonista dell’evento, Ji sarebbe stato costretto alla sedia a rotelle dopo aver subito un pestaggio, a seguito di un controllo mentre era in motorino, da poliziotti cinesi. Le cure mediche lo avrebbero portato a indebitarsi per 100mila rmb. Il gesto sarebbe quindi di disperazione, senza alcun connotato politico, ma la dice lunga sullo stato di parte della popolazione cinese.
Proprio in questi giorni in Cina si è discusso molto, sui media e sui social network, circa la morte di un venditore ambulante a Linwu, nella provincia dello Hunan, a seguito di un pestaggio, pare, subito dai poliziotti urbani, i noti chengguan, che hanno funzioni di controllo locale e che spesso finiscono al centro di questi casi. Talvolta a finire nelle loro grinfie sono persone che hanno attività per strada, vietate ma di solito consentite; in molti casi le violenze finiscono per scatenare polemiche contro gli atteggiamenti impuniti dei poliziotti. Secondo le autorità ovviamente i chengguan sarebbero innocenti, ma il caso ormai è noto a tutti. Anche perché uno dei più importanti critici e blogger cinesi, Li Chengpeng (con oltre sette milioni di followers su Weibo) è intervenuto sul caso con un articolo molto critico nei confronti della politica cinese, chiedendo apertamente giustizia per i venditore ambulante ucciso.
«Prima di sedersi e iniziare a parlare del sogno cinese, è necessario proteggere il sogno di un venditore di cocomero» ha scritto il noto blogger, che non ha risparmiato critiche alla corruzione dei politici locali, invitandoli a fare meno discorsi pomposi e dalle grandi promessi e «più politiche in grado di renderci la vita migliore». Li ha chiuso il suo post con un riferimento alla costituzione: «la nostra Costituzione dice chiaramente che la Cina è uno stato socialista sotto la dittatura democratica del popolo guidato dalla classe operaia e basata sull’alleanza tra gli operai e dei contadini. I lavoratori hanno perso il posto di lavoro. I contadini hanno perso la loro terra. E cercando di fare fronte alle difficoltà della vita, vendendo angurie, finiscono per essere uccisi per strada».
[Scritto per il Manifesto]