Citando la definizione di Fosco Maraini, prima di tutto Giuseppe Tucci fu un tuccista. Usò e fu usato dal potere, quello vero, ricevendo in cambio sostegno per le sue ricerche e diventando protagonista della politica italiana in Asia. Colloquio con Enrica Garzilli, indologa e autrice de L’Esploratore del Duce.
Un genio seppur ricco di contraddizioni. Fascista ma non razzista. Innamoratissimo della sua terza moglie, ma fin troppo sensibile al fascino femminile. Esploratore e fine accademico. Più conosciuto all’estero che in Italia, tanto da meritarsi il Premio Jawaharlal Nehru per la Comprensione Internazionale, massima onorificenza indiana, l’unico dei riconoscimenti conseguiti di cui amasse vantarsi. Abile comunicatore, nonché scienziato e archeologo al passo con la modernità.
Tutto questo fu Giuseppe Tucci, raccontato dalla professoressa Enrica Garzilli in L’Esploratore del Duce (Memori/ Asiatica Association, volume I di pag. 740, volume II di pag. 742, 35 euro cadauno). Già dal titolo e dal carteggio con il senatore Giulio Andreotti, riportato quasi integralmente nella biografia, salta agli occhi uno dei tratti peculiari della figura di Tucci. Il rapporto con il potere, “quello vero”, fatto di legami con il fascismo, la Democrazia Cristiana e la massoneria.
“Il potere aiutò sempre Tucci, e viceversa. Lo usò e fu usato a sua volta”, ha spiegato Garzilli a China Files. D’altronde già durante il Ventennio, e non fu un mistero, l’accademico ed esploratore di Macerata fu il fulcro della strategia italiana in Asia. “Tucci fu protagonista della politica culturale e della politica asiatica in senso stretto attuata da Mussolini”, continua Garzilli. “Il fascismo lo usò per la propaganda in Italia e la propaganda in Asia”.
L’obiettivo di Mussolini fu la conquista dell’India. In un primo tempo soltanto a livello commerciale, ma le mire del Duce puntarono in seguito a sostituirsi al British Raj come potenza coloniale. Una politica portata avanti con metodi pratici, come la fondazione di una banca italo-indiana e il finanziamento di un giornale a Bombay nella cui redazione furono spediti due gerarchi fascisti. Fulcro di questa attività fu l’IsMEO (l’Istituto italiano per il Medio e l’Estremo Oriente) fondato da Giovanni Gentile nel 1933 e del quale Tucci fu vicepresidente esecutivo.
La domanda che come studiosa Garzilli si pone è se Tucci fu veramente fascista. Sicuramente, ricorda, come molti altri scienziati inviati all’estero faceva attività di spionaggio e mandava al Duce, “al capo come lo definiva”, relazioni sui Paesi asiatici con cadenza quindicinale. “Fu un intellettuale del fascismo”. Di contro fu sempre seguito dalla polizia politica e criticato per la sua amicizia con gli inglesi.
Sono due gli episodi che Garzilli ricorda per capire bene l’adesione di Tucci al fascismo. Il primo è datato 1937, quando fu mandato in Giappone per organizzare l’adesione dell’Italia al patto anti-Comintern assieme al Terzo Reich tedesco e all’impero nipponico. L’altro risale a quattro anni dopo, quando ricevette in dono da Mussolini 30mila lire dell’epoca, pari a circa 30 milioni di vecchie lire nel 2004. A questa grossa somma rispose con una lettera di ringraziamento riportata nel volume, con cui vanta col duce per aver restituito l’Italia a “Romana grandezza”. Con romana scritto in maiuscolo, sottolinea Garzilli.
Anche per questo nel dopoguerra fu inizialmente ostracizzato. Ma a sua favore giocò l’amicizia iniziata nel 1947 e continuata fino alla morte di Tucci nel 1984 con Giulio Andreotti. “Un rapporto più diplomatico e discreto da parte del senatore, vissuto con più enfasi da Tucci”, spiega Garzilli, che sottolinea quanto detto dallo stesso Andreotti sulla nascita di questo legame. “All’epoca era difficile distinguere tra lo scienziato e il personaggio che legato al fascismo. Io lo feci”.
Anche in questo caso i legami con il potere si concretizzarono nel sostegno alla sua attività accademica. Un esempio fu la “generosissima donazione” che tramite Andreotti ed Einaudi nel 1948 lo portò fino a Lhasa. Di suo fu un protagonista della diplomazia ufficiosa italiana.
Accompagnò Andreotti in Brasile nel 1951 e nel 1957, riuscì a organizzare tramite l’IsMEO una missione culturale in Cina. “Tredici anni prima del ristabilimento delle relazioni diplomatiche tra quel paese e l’Italia”. Instaurando così un rapporto con Pechino che, probabilmente, nel 1973 lo portò a disertare, criticato dalla stampa, la visita del Dalai Lama fuggito anni prima dal Tibet occupato e arrivato a Roma "da profugo" dove fu ricevuto in Vaticano.
Tucci fu un tuccista, dice Garzilli, riportando la definizione che di lui diede Fosco Maraini. Faceva ciò che gli conveniva certo, ma con la convinzione, conclude citando le parole dell’esploratore del Duce, che ci sia bisogno di “abbandonare le frontiere e la boria europee”.
Leggi anche i capitoli sulla visita del Dalai Lama a Roma e sui rapporti tra Giuseppe Tucci e Rabindranath Tagore, in esclusiva su China Files.
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