Il Dalai Lama fa visita per la prima volta al Papa ma Giuseppe Tucci, per non infastidire la Cina, non lo incontra. China Files vi propone in esclusiva il capitolo che L’Esploratore del Duce – Volume II dedica alla vicenda (per gentile concessione dell’autrice e delle case editrici Memori e Asiatica Association).
Nel 1973 Tucci si rese protagonista di uno sgradevole episodio, un fatto che gli fu rimproverato da molti ma che aveva una sua ragione di opportunità politica.
Il Dalai Lama venne a Roma. Kundun aveva compreso che per aiutare il suo popolo avrebbe dovuto tramutarsi in quello che scherzosamente lui stesso definisce “il Dalai Lama volante”, il messaggero itinerante della causa.
Così partì per l’Europa. Il 29 settembre 1973 Tenzin Gyatso, che dal 1959 risiedeva profugo in India, atterrò all’aeroporto di Fiumicino. Rimase nella capitale due giorni, durante i quali andò a far visita a papa Paolo VI.
Dopo l’Italia visitò la Svizzera, dove viveva la più grande comunità di rifugiati tibetani d’Europa, al tempo fra le 800 e le 1000 persone, poi l’Olanda, il Belgio, l’Irlanda, la Norvegia, la Svezia, la Danimarca, la Gran Bretagna, la Germania occidentale e l’Austria.
Si trattenne in Europa fino al 7 novembre, in un lungo e fortunato viaggio che suscitò furiose proteste da parte dei cinesi.
Ecco come Tenzin Gyatso ricorda il suo tour e la visita al Papa:
Fu un lungo viaggio di oltre sei settimane in cui visitai 11 nazioni. Un’esperienza veramente notevole che mi diede la possibilità di conoscere una porzione significativa di Europa e di comprendere quanto fosse variegata la sua realtà. Vidi con i miei occhi come all’interno del medesimo continente ci fossero situazioni tanto differenti.
Però la cosa per me più importante e significativa di quel viaggio fu l’incontro con il Papa che all’epoca era Paolo VI, un uomo di cultura, sensibile, riflessivo che mi colpì profondamente. Non fu un lungo colloquio ma sufficiente per esporre al Santo Padre il dramma del Tibet e le mie idee sull’importanza dell’armonia tra le varie religioni… sul fatto che sono tutte strade diverse che conducono alla medesima meta: la felicità e la realizzazione dell’essere umano.
Poi di quell’esperienza ricordo come il Vaticano, e in particolare la basilica di San Pietro, mi ricordassero il Potala e il Tibet tradizionale. C’era un’atmosfera che mi rimandava a quella del Tibet prima dell’invasione cinese, con tutti quei religiosi che svolgevano funzioni governative! Comunque fui molto felice di avere avuto l’opportunità di parlare con Paolo VI e mi sembrò di buon auspicio che un viaggio così importante e delicato iniziasse con quell’incontro.
Il colloquio fra i capi spirituali di due grandi religioni, il buddhismo tibetano e il cattolicesimo, suscitò un certo interesse mediatico. Mario Bussagli, ex allievo di Tucci e suo collega all’Università La Sapienza di Roma, scrisse un lungo articolo sulla terza pagina de Il Tempo intitolato Un incontro atteso da secoli fra lamaismo e cattolicesimo.
Bussagli disse che "fuori di ogni implicazione politica esso appare come un Vertice supremo di valori insopprimibili, come una specie di promessa per un mondo diverso e migliore […]".
Parlando della rivolta tibetana del 1959 all’occupazione della Cina, che si era rifatta "ai precedenti imperiali (e imperialistici) dei Ch’ing, vale a dire della dinastia manciù", disse che gli evidenti vantaggi della creazione di nuove, moderne scuole, di ospedali, di grandi vie carrozzabili di comunicazione, non eliminano il contrasto – di fondo – fra la mentalità marxista dei cinesi e quella tradizionale del mondo tibetano.
La rivolta del 1959 e la lunghissima guerriglia conseguente, condotta dai cosiddetti "cavalieri di K’am", costarono molto sangue e molte distruzioni. Ma chi volesse paragonare alla rivolta della Vandea la guerriglia tibetana anticinese, sbaglierebbe di molto. Perché, a dispetto delle apparenze, la lotta disperata di gruppi che non hanno avuto al fortuna di battersi dalla parte «giusta» e che sono stati ignorati anche dalle Nazioni Unite, era la difesa di un’intera civiltà e non di un regime o di uno Stato.
Sulla visita del Dalai Lama a Roma quasi altrettanto lungo, ma ferocemente critico verso il governo italiano e verso Tucci e l’IsMEO, l’articolo Un pellegrino quasi in incognito, a firma del principe Guglielmo Rospigliosi, corrispondente, sulla stessa pagina del giornale.
Il Dalai Lama, Maestro di saggezza, Capo dei buddisti, sarà ricevuto domani in udienza da Paolo VI. È il primo incontro di un Saggio al vertice del buddismo con un Pontefice. Il Dalai Lama arriva a Roma nel pomeriggio di oggi, festa di tutti gli Arcangeli (ad eccezione, naturalmente, di Lucifero); ma per il Governo italiano, per la Farnesina, e perfino per l’Istituto del Medio ed Estremo Oriente di Palazzo Brancaccio, è come se arrivasse Satanasso stesso. Non verrà nemmeno accolto, sia pure privatamente, al suo arrivo, e nessuna manifestazione è in programma durante la sua visita, che durerà del resto solo fino a lunedì.
I cavilli della Farnesina – La spiegazione ufficiale della Farnesina è piuttosto cavillosa: «Si tratta di un cittadino cinese che non ci viene presentato. All’Ismeo (l’Istituto Medio ed Estremo Oriente) la giustificazione è analoga. Il suo capo, professore Giuseppe Tucci, ottantaquattrenne, il quale fu ospite del Dalai Lama ventidue anni fa, ed ebbe in dono vari documenti e scritti tibetani, ha ora eccellenti rapporti con la Cina, perciò non vuole avere né vuole che il suo Istituto abbia alcun contatto col Dalai Lama, reo di essere fuggito – per tre notti addirittura carponi, strisciando come un rettile per eludere la vigilanza del nemico – quando i cinesi invasero il Tibet, di cui il Dalai Lama è vertice civile oltre che religioso.
[…] Questo è il punto d’incontro che si sottolinea in Vaticano, dove non si è meno apprensivi che alla Farnesina per le possibili reazioni sgradevoli della Cina popolare che, nel Tibet, ha abolito la parola «religione», ha trasformato i templi sacri in teatri o luoghi di ritrovo, e ha convertito i monasteri in altrettante caserme, distruggendo tutti i cosiddetti «Libri Sacri» del buddismo. Di questi, solo pochi sono in salvo all’estero, portati in parte dai pochissimi tibetani che sono riusciti ad evadere (90.000 su una popolazione di otto milioni). Vi sono dei testi sacri buddisti anche in Italia, affidati al professor Tucci dal Dalai Lama.
Tucci insomma non andò a far visita al Dalai Lama. In più, ancora aveva i libri che gli erano stati "affidati" da Tenzin Gyatso bambino, benché ora avrebbe potuto tenerli nella biblioteca di Dharamsala.
Rospigliosi due giorni dopo riportò l’incontro fra papa Montini e Tenzin Gyatso nell’articolo del 1° ottobre Due religioni si incontrano sottolineando ancora, anche se indirettamente, l’assenza (e l’opportunismo) di Tucci e parlando ancora più diffusamente della questione dei libri affidatigli.
Il Dalai Lama prima del ricevimento offerto dal Vaticano a palazzo Rospigliosi incontrò i giornalisti nella sua residenza — sei stanze in tutto per lui, due guardie del corpo e un segretario nella casa generalizia dei Padri Maristi (Piccoli Fratelli di Maria) all’Eur, in un’ospitalità che ebbe solo una pretesa: lenzuola nuove, mai adoperate prima da nessuno.
Gli abbiamo chiesto se ritiene che i Libri Sacri tibetani che si trovano a Roma e particolarmente nell’Istituto del Medio ed Estremo Oriente dove furono portati dal professore Giuseppe Tucci, dopo una visita in Tibet quando il professore fu ospite del Dalai Lama, dovessero essergli resi. Il Dalai Lama ha meditato per un momento e quindi ha risposto: «Che restino dove sono e che servano a molti».
E’ caduta così la richiesta di molti buddhisti, principalmente del Lama di Bruxelles Rin Cien Kai Dub, il quale aspirava a concentrare a Bruxelles il più grande numero possibile di testi sacri tibetani. Alla richiesta di un giudizio sul Lama di Bruxelles, ha risposto sorridendo affermando che Rin Cien Kai Dub è uno dei suoi più fedeli collaboratori e diffusori del buddismo in Europa ma che l’amore fraterno è ancora più importante dei testi e scopo della vita è la carità non la dottrina.
Come a dire che se Il Dalai Lama avesse richiesto i libri a Tucci i rapporti fra loro si sarebbero irrimediabilmente guastati. Puntuale e abile, senza accennare minimamente alla mancata visita e sottolineando che i libri gli erano stati dati in dono, la risposta di Tucci a Rospigliosi, sempre sulla terza pagina de Il Tempo di una settimana dopo. Una riposta che la rubrica Copialettere intitola ironicamente L’ateismo del prof. Tucci.
Innanzi tutto, risponde Tucci, si è trattato dell’incontro fra due autorità religiose: la prima è anche un capo di Stato – sebbene in esilio a Dharamsala – e il pontefice di una scuola buddhista, "non di tutto il Buddhismo", sottolinea; l’altra è il capo di uno stato straniero, il Vaticano, "coesistente" a Roma. Quindi, lo Stato italiano in tale circostanza è restato estraneo alla vicenda.
Dei miei convincimenti e del mio operato, che non fosse criminale, debbo rispondere soltanto alle mie riflessioni e alla mia coscienza. Nel riguardo dei libri donatimi da S.S. il Dalai Lama l’autore dell’articolo ignora le costumanze dell’Oriente e del Tibet in particolare, le quali reclamano un reciproco scambio di cortesia: sarebbe di cattivo gusto soppesare il valore di ciò che ho ricevuto e di ciò che ho dato; ricordo soltanto da parte mia un grande orologio ottocentesco di molto pregio, in argento dorato con la figura di una donna e di una pecora, un potente cannocchiale d’uso nell’artiglieria con treppiede e gli alberelli di corallo per altari e così via.
A leggere le parole di Tucci sembra quasi che i preziosi tomi abbiano un valore inferiore a quello dei regali che lui aveva fatto al Dalai Lama.
A Lhasa poi, dove non esistevano alberghi, ero stato ospite di Sua Santità nel senso che mi fu offerta una casa da alloggiare: ma ci ho vissuto del mio, con la saggia amministrazione del mio devotissimo Tenzin, lo scalatore dell’Everest. I libri che ho riportato in Italia dopo otto (non uno) viaggi nel Tibet e nei Paesi vicini sono stati tutti raccolti allo stesso modo in cambio di doni, o, più sovente, acquistati dopo lunghe contrattazioni e a caro prezzo perché anche i Lama tibetani, come i sacerdoti di quasi tutte le religioni sono espertissimi nel condurre gli affari.
Del resto è bene che si sappia che cotesti libri sono stati da vari anni donati, insieme con la mia intera biblioteca, all’Istituto Italiano per il Medio ed Estremo Oriente, con esempio che non credo abbia nel nostro Paese molti imitatori. E per finire, siccome non vorrei confondere i miei convincimenti con i fumosi e improvvisati entusiasmi oggi di moda per gli esoterismi asiatici, troppo profondi e difficili per essere messi alla portata di tutte le menti, senza correre il rischio di travisamenti o ridurli a risibili stupori, confermo ancora che io sono sinceramente Buddhista, nel senso però che io seguo e cerco di rivivere in me le parole del Maestro nella loro semplicità originale, spoglie dalle architetture religiose speculative logiche e gnostiche che, nel corso del tempo, le hanno travisate e distorte.
Pertanto, sempre profondamente rispettoso delle opinioni delle persone che fanno testimonio della sincerità della propria fede, io non credo in Dio, non credo nell’anima, non credo in nessuna Chiesa ma in tre principi soltanto: retto pensiero, retta parola, retta azione, semplici a dirsi, difficilissimi a mettere in pratica con coraggio senza cedimenti, senza l’umiliazione del compromesso o gli indegni calcoli del vantaggio e dell’utile.
L’esportazione è regolata da leggi molto severe, che vietano di portare fuori dai confini dello stato oggetti d’arte rari o antichi come manoscritti, stoffe e libri o monumenti nazionali come pezzi di antiquariato. Anche l’importazione in Italia è soggetta, oltre che al dazio, a regole severissime: non si può infatti portare sul nostro suolo quello che è stato illegalmente esportato da un altro paese.
Inoltre, il giorno in cui il collezionista di manoscritti o di opere d’arte antiche scompare, che fine faranno i suoi pezzi? In fondo, il problema di ogni collezionista è solo questo: a chi lasciare il patrimonio di libri, pezzi d’arte, armi o quant’altro così sapientemente e pazientemente scelti, accumulati e conservati nel corso di decenni. Perché, innanzi tutto, bisogna avere un posto adatto per mettere oggetti di tal fatta, e poi bisogna saperli archiviare, catalogare, preservare, amministrare e difendere dai ladri.
Per un privato è difficile farne buon uso e ancora più difficile è decidere la loro destinazione futura: dei libri nessuno sa che farsene e, inoltre, richiedono tanto spazio, solidi pavimenti e speciali cure nel conservarli; i pezzi d’arte o di un qualche valore, invece, sono oggetto delle più furiose liti fra eredi.
C’è anche il rischio che i ladri si intromettano a casa del collezionista, come è successo a Maraini con le sue preziose macchine fotografiche degli anni Trenta. Insomma, se fossi stata al posto della moglie di Tucci avrei fatto proprio come molto probabilmente ha fatto lei, avrei regalato, sebbene a malincuore, le opere collezionate da mio marito a un museo adatto che le sapesse conservare, prima che eredi magari lontanissimi o discepoli troppo zelanti smembrino la collezione e la vendano pezzo a pezzo, a peso d’oro, ai mercanti d’arte.
È nota la passione del Dalai Lama per gli orologi, di cui è un grande esperto e che tuttora ama riparare, e il regalo di Tucci era quindi molto appropriato: e chi sa che non sia stato proprio lui a inculcargli in qualche modo questo suo amore; "il potente cannocchiale d’uso nell’artiglieria con treppiede e gli alberelli di corallo per altari" erano doni altrettanto preziosi, l’uno perché era un vero e proprio prodigio tecnologico per il Tibet, l’altro perché il corallo è considerato prezioso sia lì sia in Nepal, paesi senza il mare e un tempo chiusi alle importazioni.
Il corallo è tuttora prezioso anche per il colore, il topazio è raro, mentre relativamente a basso prezzo sono i rubini, gli smeraldi e l’usatissimo turchese. Ma è ovvio che il valore dei doni di Tucci non è minimamente comparabile al dono della collezione di libri sacri dei tibetani, che il Dalai Lama gli aveva dato perché non cadessero in mano ai cinesi. Però non li ebbe mai più indietro, neanche dopo che il governo in esilio ebbe una sede ufficiale e la protezione del governo indiano.
In ogni caso, in occasione di quella visita in Italia a fine di settembre, Sua Santità li lasciò definitivamente all’IsMEO. Segue secca, precisa e ironica la risposta di Rospigliosi. Dopo aver sottolineato che Tucci confermava il dono dei libri da parte del Dalai Lama e il fatto che a Lhasa fosse stato suo ospite, continua:
Si supponeva che — data questa ospitalità a Lhasa – l’oggi maoista prof. Tucci avrebbe sentito il dovere di cortesia di offrire almeno una tazza di tè, magari senza zucchero, al Dalai Lama, che invece ha evitato di incontrare. Infine dobbiamo precisare che mai abbiamo contestato al professor Tucci il diritto di essere ateo e buddhista: per cui la sua curiosa dichiarazione di… fede, in questa sede è del tutto gratuita.
Rospigliosi chiamò Tucci "maoista" perché abbiamo visto che nel 1957 Tucci riuscì a inviare una missione culturale dell’IsMEO in Cina, tredici anni prima del ristabilimento delle relazioni diplomatiche tra quel paese e l’Italia.
E gli ottimi rapporti dell’IsMEO con la Cina continuavano – e continuano tuttora.
Leggi anche la nostra intervista all’autrice, Enrica Garzilli, e il capitolo sui rapporti tra Giuseppe Tucci e Rabindranath Tagore, in esclusiva su China Files.
[Foto: il Dalai Lama in Europa, 1973. Credit: jboy2244.wordpress.com]*Enrica Garzilli, indologa e asiatista, Lecturer di sanscrito allʼuniversità di Harvard (Usa), direttore editoriale della Harvard Oriental Series – Opera Minora, Research Affiliate allʼUniversità di Delhi (India), Senior Fellow allʼHarvard Center for the Study of World Religions, docente presso le università di Torino e di Perugia. Collabora a riviste e giornali quali Limes, Ispi – Istituto per gli Studi di Politica Internazionale, Il Fatto Quotidiano su temi di politica internazionale e diritti umani. Per Memori/Asiatica Association ha pubblicatoL’Esploratore del Duce – Le avventure di Giuseppe Tucci e la politica italiana in Oriente da Mussolini ad Andreotti (Vol I e II), acquistabile su Amazon.