Le emergenze che Islamabad sta gestendo non potranno che cambiare per sempre il volto del Pakistan, come aveva affermato il primo ministro attuale durante le devastanti inondazioni
L’arrivo della stagione dei monsoni (generalmente compresa fra la prima settimana di luglio e il mese di settembre) per Islamabad è stato tragico, la dirompente violenza delle piogge e la loro imprevedibilità rispetto agli scorsi anni ha causato una vera e propria catastrofe. Milioni di pakistani sono stati coinvolti e oltre 1700 sono morti.
Il sostegno al paese, colpito da una catastrofe senza precedenti e che, secondo il Primo ministro Shehbaz Sharif, aveva stravolto il paese, annunciandogli un cambiamento epocale, è venuto sia dal principale alleato asiatico della Repubblica islamica (la Cina), sia dai paesi occidentali, oltre che dalla Russia, che ha inviato i primi aiuti nell’ultima decade di settembre e dall’India.
Successivamente all’emergenza vera e propria il disastro ha lasciato un grave strascico epidemico: a causa delle piogge inaspettate e torrenziali e anche a causa di uno straordinario e imprevisto scioglimento dei ghiacciai si sono formate condizioni ambientali paludose e lacustri in località insolite e questo ha causato il proliferare di parassiti che hanno diffuso la grave malattia della febbre dengue. Anche quest’ultima malattia, come le disastrose inondazioni appena avvenute, non è una novità per il Pakistan, ma la straordinaria situazione attuale ha causato un drammatico aumento dei contagi almeno fino a novembre. L’ONU, attraverso l’OMS ha effettivamente definito anche la situazione del grande aumento dei contagi come una vera e propria emergenza. L’incremento del numero di ammalati ha avuto un grave impatto su un sistema sanitario che non dimostra ancora un livello accettabile se non in alcune aree urbane. Nelle sovrappopolate città inoltre, come Lahore e Karachi, le condizioni di estrema povertà non permettono l’accesso alle cure a larghe fasce della popolazione e non è raro notare ammalati gravi agonizzanti a bordo strada coperti da teli cerati.
Al termine del mese di novembre infine un terzo fattore legato allo squilibrio ambientale ha fatto sentire il proprio grave peso sul paese Subcontinentale: l’inquinamento atmosferico. Nella città di Lahore, capoluogo del Punjab, il governo, tramite le preposte organizzazioni, ha dovuto fermare l’attività delle scuole per alcuni giorni, in particolare i venerdì e il sabato, per non esporre gli studenti più giovani all’aria straordinariamente inquinata della metropoli. L’aria delle megalopoli pakistane ha notoriamente raggiunto un livello di inquinamento che non ha raffronto in molte altre situazioni, secondo ad esempio l’agenzia svizzera e tedesca “IQ Air”.
Il governo di Islamabad ha, negli ultimi anni, implementato misure che sono di contingenza, come le citate chiusure di alcuni servizi, ma non è stato perseguito un serio programma di riforme, infatti il testo della National Environment Policy risale ormai a diciassette anni fa e ormai è necessario un adeguamento stringente.
I casi più a rischio per il paese sono gli agglomerati urbani che superano le decine di milioni di abitanti, come Karachi e Lahore, ma anche Faisalabad, Rawalpindi e Gujranwala e senza dubbio gli interventi sistemici per fronteggiare l’inquinamento atmosferico dovranno partire da queste città e dalle numerose zone industriali del paese. Ma l’urgente necessità di riadattamento ambientale del paese deve, purtroppo, tener conto della critica economia in via di sviluppo dello stato subcontinentale. Non è pensabile porre in atto una riforma ambientale che miri a una immediata conversione dei trasporti e degli impianti produttivi a meno di non rischiare di immobilizzare un paese che economicamente vacilla non poco.
L’ostacolo economico deve essere tenuto presente anche nella ricostruzione e nel recupero dei danni causati dalle inondazioni dovute a disgelo e anomalia climatica.
Si dovrà con ogni probabilità riconsiderare i termini della restituzione del debito che Islamabad ha accumulato a causa di crisi economiche sistemiche e contingenti. In particolare il Pakistan ha, con la Repubblica Popolare Cinese, un debito totale che si aggira intorno ai 29 miliardi di dollari statunitensi. Questo debito rappresenta circa il 30% del totale accumulato dal paese e si è ingigantito soprattutto grazie ai prestiti offerti per la costruzione delle infrastrutture di trasporto necessarie al CPEC. La ricostruzione necessiterà di importanti risorse economiche non solo e non tanto per la riattivazione delle condizioni precedenti all’emergenza ma anche per rendere al paese una solidità strutturale che lo porrà in grado di affrontare future emergenze legate alla crisi climatica. La condizione debitoria del Pakistan dovrà quindi trovare una mitigazione che venga gestita congiuntamente dai paesi creditori.
Il rischio e il futuro paese
Le emergenze che Islamabad sta gestendo non potranno che cambiare per sempre il volto del Pakistan, come aveva affermato il primo ministro attuale durante le devastanti inondazioni, sia dal punto di vista della politica interna che delle relazioni internazionali. Il governo attuale, che sembra seguire un cammino di democratizzazione del paese iniziato quantomeno a partire dal 2008 (anno in cui furono tenute le elezioni politiche), avrà l’occasione di approcciare la fase della ricostruzione cercando di progredire in tal senso.
Da un lato si dovranno implementare una serie di riforme necessarie a migliorare la resilienza del paese, del territorio e della popolazione riguardo a una situazione di emergenza climatica che appare ormai caratterizzante e dall’altra, in ambito geopolitico, si dovranno consolidare o inaugurare alleanze che diano un’opzione di stabilità e indipendenza. Al di là della situazione di emergenza, nella quale è necessario un aiuto immediato, i paesi occidentali e, segnatamente anche l’Unione europea, avranno l’occasione di approfondire politiche di alleanza.
Di Francesco Valacchi