Da oltre cinque mesi il Nepal sta vivendo una situazione descritta dagli osservatori internazionali come «emergenza umanitaria». Il blocco quasi totale dei posti di confine con l’India in virtù di una dura protesta della comunità madhesi contro il governo di Kathmandu – che ritiene di non essere adeguatamente rappresentata secondo le direttive della nuova Costituzione – ha significato un rincaro esponenziale sui beni di consumo primario e una crisi energetica probabilmente inedita nella storia recente dello stato himalayano. Alcuni mesi fa avevamo dato conto dell’emergenza qui e qui; oggi ci sono notizie parzialmente positive: il traffico di merci sta ricominciando e una soluzione potrebbe essere dietro l’angolo.Pare infatti che domenica uno dei vari partiti che compongono il cosiddetto «fronte madhesi» abbia scelto di sospendere il presidio al posto di confine di Birgunj, al confine meridionale nepalese con l’India, ritenendo ormai di poco uso il blocco dei commerci lungo la tratta – la principale via d’entrata delle merci in Nepal, in condizioni di normalità ne passa il 70 per cento di tutto ciò che varca il confine – che aveva finito per vessare eccessivamente anche la popolazione locale.
Un «gruppo di commercianti» ha deciso di dare fuoco alle tende lasciate sguarnite dai manifestanti, riaprendo la viabilità sul ponte che collega il Nepal all’India. La notizia, data anche in India con un certo grado di ottimismo, rompe uno stallo di mesi che ha visto il confronto interno tra il governo di Kathmandu e una parte della comunità madhesi mischiarsi ad accuse ci «collaborazionismo indiretto» del governo indiano, che secondo i detrattori avrebbe sostenuto la protesta madhesi da entrambe le parti del confine.
Nella giornata di ieri è arrivato anche l’annuncio dello United Democratic Madhesi Front (Udmf), la sigla che raccoglie le varie fazioni politiche della regione pianeggiante del Terai in conflitto col governo centrale di Kathmandu, che ha confermato la sospensione indeterminata delle agitazioni a Birgunj.
Riprende il traffico merci
Sta di fatto che i camion – un centinaio almeno, secondo la stampa nepalese – tra domenica e lunedì hanno ricominciato a trasportare merci verso il Nepal, innescando una reazione a catena che ha mobilitato la logistica al porto di Calcutta, in India, che ha ricominciato a spedire convogli con merci arrivate dai container navali, mentre anche la Indian Oil Corp. – che agisce da monopolista nell’export di derivati del petrolio in Nepal – avrebbe iniziato a reindirizzare le cisterne di benzina verso la dogana di Birgunj.
Barbara Monachesi della onlus Apeiron – di cui avevamo parlato qui – da Kathmandu ha confermato la ripresa del traffico merci a Birgunj, chiarendo però che la situazione nella capitale continua ad essere preoccupante: ci vorranno alcuni giorni prima che i prezzi e la reperibilità di merci tornino alla normalità.
L’occasione di un’uscita onorevole da cinque mesi di stallo
Lo sblocco è arrivato mentre il ministro delle finanze nepalese Bishnu Poudel si trova in India per preparare il campo alla visita di stato del primo ministro nepalese KP Sharma Oli a New Delhi, prevista per il prossimo 19 febbraio. Oli, in passato, cavalcando il malcontento generale per l’azione di supporto indiana alla causa madhesi, aveva chiarito che non si sarebbe mai recato in India fino a che il «blocco unilaterale» non fosse stato rimosso.
Le condizioni quindi appaiono più favorevoli che nel passato recente: con un’apparente frattura nel fronte madhesi che ha portato alla fine del blocco e i colloqui ad alto livello previsti entro breve, se da un lato è vero che il braccio di ferro politico interno in Nepal non è ancora finito, dall’altro si intravede la possibilità di un’uscita onorevole – in politica questo conta – di tutte le parti in causa da cinque mesi di muro contro muro scaricati sulle spalle della popolazione già vessata dal terremoto.
[Scritto per Eastonline; foto credit: thehimalayantimes.com]