Leftover Woman – Le donne avanzate

In by Gabriele Battaglia

La diseguaglianza di genere è il tema di Leftover Women, il nuovo libro di Leta Hong Fincher. L’autrice si concentra sulla legislazione iniqua e la stigmatizzatizzazione mediatica delle cosiddette "donne avanzate" ovvero di quelle donne che scelgono di rimanere single anche dopo una certa età. Fa parlare le "donne che resistono". La recensione di China Files. «Il mio libro suggerisce che le campagne mediatiche sponsorizzate dal governo a proposito delle donne «leftover», fanno parte di un complesso ritorno alla diseguaglianza di genere nella Cina post socialista. Una tendenza particolarmente evidente negli ultimi anni di riforme di mercato».

Leta Hong Fincher ha pubblicato un libro, Leftover Women, the resurgency of gender inequality in China (Asian Arguments, 16,21 euro) nel quale la società cinese viene analizzata in modo preciso, attraverso numerose interviste e indagini, arrivando alla conclusione che la Cina vive ancora oggi una profonda diseguaglianza tra uomini e donne, essendo una società basata su fondamenta tipicamente maschiliste. Alcune delle travi che reggono questa tendenza, appartengono alla storia e alla tradizione culturale del paese. Ma quello su cui l’autrice insiste è proprio una «rinnovata» diseguaglianza, promossa dallo stesso Stato cinese, alla luce delle riforme che hanno portato la Cina ad aprirsi a capitali esteri.

C’è nel libro rigoroso di Leta Hong Fincher, una critica profonda nei confronti di una società che si ritrova «manovrata» dalla propaganda di Stato, l’ingranaggio perfetto per suggerire alla popolazione dei comportamenti specifici. A questo va aggiunto un atteggiamento riscontrato anche nel recente caso delle cinque attiviste femministe arrestate prima dell’8 marzo scorso. In Cina ogni vicenda sociale, viene fatta rientrare, sempre, all’interno della complessa questione del «mantenimento della stabilità». In questo senso, questioni precise, come quelle relative alla diseguaglianza di genere, sono trattate alla stessa stregua di un attivismo che mira a «complicare» la vita ai guardiani del Paese. Anche la questione di genere, dunque, viene catalogata all’interno della logica che mira al mantenimento della stabilità, alla presunta armonia sociale di una Cina che seppure nel terzo millennio si ritrova intrisa di confucianesimo e preda di alcuni suoi concetti retrogradi e conservatori.

Potremmo evidenziare tre direttrici nel volume: l’analisi del concetto di «leftover»; la diseguaglianza di genere, sancita dalla diseguaglianza economica tra i sessi, «promossa» secondo l’autrice, dalle politiche del governo stesso; e la generale capacità mediatica del governo cinese sulle donne, con lo scopo di mantenere le differenze di genere.

Partendo dal primo punto, la stessa nozione di «leftover» è decisamente complessa. Con il termine si indica solitamente una donna «che avanza»: in età non più «da marito», perché ha privilegiato altri aspetti della vita (over 30, di solito). Il tutto contribuisce a creare un quadro nel quale le donne «leftover» vengono descritte in preda al più bieco carrierismo e soggiogate dall’avidità e dall’opportunismo. Secondo l’autrice del libro, in realtà, le donne «leftover» altro non sono che una costruzione mediatica per spingere ai matrimoni, in un paese che ha un grave disequilibrio tra numero di uomini e donne, anche a causa delle passate politiche di controllo delle nascite (come la legge sull figlio unico, di recente riformata).

In Cina gli uomini sotto i 30 anni di età, sarebbero 20 milioni in più delle donne con le stesse caratteristiche anagrafiche. Uno squilibrio pericoloso per una società percorsa da tante tensioni sociali e nella quale la famiglia viene vista come il riparo da strane idee politiche. E non a caso il nuovo presidente Xi Jinping ha insistito molto sul concetto di «famiglia» che finisce per ancorare il ruolo della donna a quello del passato: custode della casa e responsabile dell’educazione dei figli. Un’immagine retrograda che non coincide con le posizioni di molte donne nella società cinese, ma che costituisce la tendenza con cui si muove il governo riguardo tutto quanto concerne le politiche della famiglia.

«In un certo senso, scrive l’autrice, le donne «leftover» (shengnü) non esistono. Sono una tipologia di donne elaborata dal governo per raggiungere i propri scopi demografici, per promuovere i matrimoni, pianificare le politiche della popolazione e mantenere la stabilità sociale». E la campagna contro le shengnü è stata durissima, fatta da editoriali, trasmissioni televisive (con plot prestabiliti), nelle quali si sottolineava che non c’era alcuna «sintonia» con queste donne, che diventare una «leftover» equivaleva a una sciagura. E nelle sue ricerche e interviste l’autrice arriva al punto: la campagna ha funzionato. Molte delle donne che la giornalista ha intervistato, si sono dette terrorizzate dall’idea di diventare «leftover», un avanzo della società, nonostante una posizione economica e lavorativa di tutto rispetto e questo spiega anche il grande successo delle agenzie di matchmaking cinesi, un mercato immenso.

Ma anche sulle questioni economiche, l’autrice del volume non si è fermata alle apparenze. Secondo lei, infatti, il vero discrimine tra uomini e donne nella società contemporanea, non si riscontra solo analizzando la questione economica generale, bensì insistendo proprio sul «nuovo» concetto – per la Cina – di proprietà. Sono gli uomini, infatti, a porre il proprio nome quando viene comprata, anche in coppia, una casa. L’appartamento, il bene più prezioso per i cinesi, oggi, è proprietà per lo più maschile. E se la crescita cinese si è basata proprio sullo sviluppo del mercato immobiliare, le vere escluse da questo processo di arricchimento, sarebbero proprio le donne. Parliamo di un giro d’affari, quello immobiliare in Cina, che a fine 2013 era di circa 30 triliardi di dollari e che ha finito per creare gran parte di quella schiera di uomini etichettati come i «nuovi ricchi cinesi».

A questa situazione avrebbe contribuito la legislazione cinese (e l’ufficiale All China Women’s Federation, che svolge per le donne, lo stesso ruolo che svolgono per il lavoro i sindacati) che in successive leggi sul matrimonio, ha finito per consentire all’uomo di detenere la proprietà, rendendo la vita difficile alle donne che, in caso di divorzio, avessero voluto dimostrare la propria partecipazione all’acquisto della casa. E secondo le ricerche presenti nel volume, si può concludere che anche grazie alla rinnovata presenza nei luoghi di lavoro delle donne, i patrimoni con cui vengono acquistate le case sono «partecipati» in maggioranza proprio dai risparmi delle mogli.

Nel capitolo conclusivo del volume, Leta Hong Fincher si concentra sulle «donne che resistono», persone che provano a muoversi nei meandri lasciati impercettibilmente liberi da uno Stato che pare in grado di controllare tutto. È il modo per ritornare su un argomento che viene trattato nel libro, quello relativo alle violenze domestiche. Molte ong – che in Cina hanno in ogni caso un riconoscimento governativo, pena il rischio di arresti e repressione – e gruppi indipendenti hanno organizzato negli ultimi tempi più di un’azione (xingdong) per denunciare il numero delle violenze domestiche.

Sono le stesse donne a preferire il termine «azione» a quello di «proteste», dimostrando di sapere bene l’immenso potere che si trovano di fronte. Un monolite che talvolta però, viene scosso nel modo giusto. Un paio di anni fa aveva provocato molto imbarazzo alla Cina la denuncia di aver subito ripetute violenze domestiche dal marito, da parte di una donna americana sposata ad un cineseLi Yang, noto per le sue particolari lezioni oceaniche di inglese (è soprannominato Crazy English ed è una celebrità). Fu un caso molto seguito dalla stampa locale, macchiato da gretto nazionalismo (contro l’«americana») e maschilismo, ma che in definitiva ha finito per dare linfa e speranza di riuscire a denunciare certe situazioni, alle «azioni» di tante donne cinesi.

[Scritto per il manifesto, foto credits: amazon.com]