Abbiamo incontrato Zhào Jīng, più noto come Michael Anti, in un piccolo bar nella zona di Beixinqiao a Pechino, tra il tempio del Lama e la via dei fantasmi, quella con i ristoranti aperti 24 ore su 24. Le lanterne dondolano fragorosamente per il vento, in una insolita giornata azzurra e chiara di Pechino. Trovarsi in mezzo agli hutong, abbattuti, demoliti, in altre zone della città per fare posto a nuovi grattacieli o zone pedonali dedicate allo shopping, suggerisce una prima riflessione: «i cinesi si muovono e protestano solo su questioni reali. Mi distruggi la casa? Allora protesto. I cinesi non hanno intenzione di protestare contro la censura, fino a che non viene leso quello che percepiscono come un diritto. Allora scatta la protesta. Si sono lamentanti perfino quelli che giocano ai videogame on line. I nerds, i looser, quelli che se ne fottono di tutto, figurarsi della politica. Si sono incazzati: per forza succede, se ti metti a censurare anche il gioco on line».
Michal Anti è stato uno dei blogger cinesi più famosi, faccia astuta, interessi infiniti, esperienza di reporter anche dall’Iraq e per il New York Times dalla Cina e una voglia di cinguettare enorme: oltre 5mila i suoi tweets (oltre 16 mila i followers). Dopo aver fatto il free lance – «facevo il programmatore, poi ho visto quanto erano stupidi i giornalisti cinesi e ho pensato: posso farlo meglio» – oggi si occupa per lo più di produrre ricerche per libri e studi, ma non ha smesso di interessarsi a tutto quanto si muove nella galassia dell’attivismo cinese, sia on line sia off line. Assurse alle cronache locali e non solo nel 2005 quando la Microsoft gli rasò il blog. Niente male per un cinese, specie viste le ragioni della casa di Redmond: meglio non avere problemi con le autorità di Pechino, dissero. Anti infatti stava raccogliendo molti contatti sul suo sito di informazione («rimasi shockato dal fatto di essere bloccato da un sito Usa!», dice oggi). In particolare aveva appoggiato lo sciopero di alcuni giornalisti di una testata di Pechino: il suo blog per molto tempo significò giornalismo indipendente in Cina. Ripensando a quell’epoca il riferimento alla recente vicenda di Google è fin troppo semplice e Anti rappresenta un ottimo testimone del suo tempo: «supporto Google e penso che per la prima volta siamo in una guerra in cui la gente si è messa dalla parte dei valori come la libertà di stampa, anziché dalla parte del proprio paese contro Google. Io ho scritto qualcosa tipo, Google vai più lontano che puoi dalla Cina, ma portami con te».
Ha supportato anche la protesta degli artisti che recentemente hanno manifestato vicino a Tiananmen: «la Cina non ha tradizioni di performance del genere perché viviamo in una società censurata fin dai tempi della conquista del partito comunista. La censura è il nostro sangue. E’ la prima volta dal 1989, incredibile. La loro è una protesta politica, per forza erano arrabbiati, demoliscono i loro studi, ma la loro azione può essere considerata anche una forma d’arte. La loro protesta inoltre è stata comunicata da loro prima di ogni media, con twitter e le foto dell’azione on line. E’ stato un momento storico e un successo. Prima di allora solo pensare di andare a fare una manifestazione era un tabù. Li sostengo anche se può essere rischioso, ma ne vale la pena».
E allora si ritorna ad Internet che, secondo molti, rappresenterebbe l’opinione pubblica cinese. A questo riguardo Anti ha una sua posizione piuttosto chiara, distinguendosi da altri attivisti cinesi: «non siamo una società democratica, è duro quindi sostenere che esista una opinione pubblica. Durante il nazismo in Germania non si può dire ci fosse una opinione pubblica, alla gente fu fatto il lavaggio del cervello. Noi abbiamo una lunga tradizione di società elitaria, quindi anche poche persone come giornalisti, esponenti della classe media, possono cambiare il paese, ponendosi come opinion leader. Per me i giornalisti indipendenti, i blogger, questi sono élite. La gente comune non ha interesse in questi argomenti, non parla di politica, non cambierà niente. Solo con la democrazia, con il voto queste voci possono incidere. Senza, come adesso, incidono solo le voci delle élite, la maggioranza non modifica nulla. E in Cina è sempre stato così».
Chiacchierando però, tra un messaggio e l’altro («sono un blackberry addicted», scherza) Anti dimostra un ottimismo sfrontato sul futuro degli spazi di libertà, proprio grazie ad internet: «ha un’influenza indiretta sulla società. Non dico che cambierà il nostro sistema politico, ma cambierà la gente. Tutta la generazione nata su internet cambierà parecchie cose, forse non nel governo dove i metodi di reclutamento sono diversi. L’80% del personale dei media comincia ad essere nato su internet: l’informazione sarà diversa. Succede già adesso. Aspettiamo dieci anni. La gente muore, nuovi nascono e nuove generazioni si affermano».
Aspettando la morte dei vecchiumi, si attendono le nuove generazioni, magari quelle riprogrammate, come Michael Anti: «ho scoperto la verità sul mio paese nel 1999 e ho realizzato che sapevo solo falsità. Ho dovuto riprogrammarmi, cercando anche di recuperare credibilità nel genere umano, non solo nel mio paese. Studiavo scienze, sono diventato cristiano». Tempo di salutarci e tornare a casa. Circa mezz’ora in tutto e Michael Anti ha già twittato due volte. La sua next thing, del resto, vorrebbe essere qualcosa che spieghi quanto è più felice il twitter cinese di quello in inglese, grazie alle caratteristiche della lingua locale. C’è da giurarci che ci riuscirà: «ho un passato da programmatore e se voglio fare una cosa, devo solo cominciare a lavorarci su».
[Pubblicato su Il Manifesto il 20 marzo 2010]
[Foto China-Files]