È il quotidiano ufficiale del partito comunista, il Global Times, a lanciare l’allarme: il governo di Pechino deve mantenere la sua credibilità in un momento delicato. Sarebbero almeno tre i casi che porterebbero la leadership a vacillare di fronte a proteste che potrebbero divampare e diventare ben più ampie.I fatti sono i seguenti: «Almeno tre eventi – secondo il Global Times – nell’ultimo mese hanno scatenato proteste pubbliche. Il primo è stato quando un 21enne, studente universitario Wei Zexi ha utilizzato il motore di ricerca del gigante tecnologico di Baidu per cercare il posto migliore dove guarire il suo cancro, ed è finito per essere derubato da una clinica in combutta con un ospedale militare, in quanto avevano pagato Baidu per apparire più alto nei risultati di ricerca. Wei è morto il mese scorso».
L’altro fatto è riferito alle vicende di un 29enne residente a Pechino «Lei Yang è morto misteriosamente il 7 maggio mentre veniva portato a una stazione di polizia. Questo ha sollevato sospetti sulla brutalità della polizia e ha finito per destare preoccupazione a livello nazionale sulla sicurezza dei cittadini».
E infine proteste sono scoppiate nelle provincie del Jiangsu e lo Hubei, dove i genitori di studenti delle scuole superiori stanno chiedendo «la fine di politiche discriminatorie che tagliano le quote di iscrizione universitaria dei propri figli per aumentare le possibilità degli studenti delle regioni occidentali di finire nelle migliori istituzioni».
«In tutti questi tre casi, il governo è coinvolto, e costituisce il motivo per cui la popolazione è snervata», ha detto He Hui, professore presso la Scuola Internazionale di Giornalismo e Comunicazione della Università di lingue straniere di Pechino, al quotidiano ufficiale.
Secondo He, i dipartimenti chiamati in causa hanno reagito lentamente, la loro risposta e i messaggi non avevano autorità, e sono stati vaghi su chi dovrebbe essere responsabile. «Questi eventi consecutivi hanno fatto mettere in dubbio la credibilità del governo, che porta a insoddisfazione sociale», ha osservato.
La questione degli studenti e dei genitori dei ragazzi del Jiangsu ha destato l’attenzione anche dei media internazionali.
In un lungo articolo il Wall Street Journal ha provato a raccontare di cosa si tratta: «Il Jiangsu, una delle province più istruite e benestanti del paese e sede di molte importanti università, avrebbe dovuto rinunciare a 38.000 posizioni finora assegnate agli studenti della provincia da riempire. Il sistema di esame in corso offre agli studenti delle aree urbane un vantaggio significativo nel modo in cui i punteggi degli esami vengono calcolati e sono distribuiti i posti nelle università. Molti funzionari hanno sostenuto per anni che il sistema esistente discrimina le meno prospere province della Cina, perché quelle regioni si sono concentrate sul lavoro a breve termine e l’industria a discapito dell’istruzione».
E così «l’annuncio dei cambiamenti ha stordito molti genitori e studenti del Jiangsu (così come docenti e tutor della regione), i quali – come i loro omologhi di altre regioni – spendono enorme energia ogni anno nella preparazione per ciò che è essenzialmente l’unica strada per i giovani cinesi di essere ammessi nel college e alle università nazionali».
Alcuni genitori hanno così cominciato a protestare presso le scuole locali e sui social media – in brevissimo tempo – è esplosa la rabbia. E i giorni successivi a queste prime proteste, la rabbia è passata alla vita vera, quando centinaia sono scesi in piazza e hanno manifestato fuori dagli uffici governativi.
«Video pubblicati online mostrano che la stragrande maggioranza delle proteste erano rumorose, ma tranquille, a differenza di un certo numero di precedenti episodi altrove in Cina. Entro un breve periodo di tempo i manifestanti si sono riuniti, i funzionari di livello provinciale sono apparsi davanti alla folla a Nanchino e hanno promesso di ascoltare le lamentele circa la nuova politica.
Poche ore dopo, di fronte all’opposizione pubblica, i funzionari del Jiangsu hanno promesso pubblicamente che non ci sarebbe stato alcun cambiamento al numero di posti disponibili per gli studenti della provincia, almeno per il momento».
In superficie, spiega il reporter del Wall Street Journal, «gli eventi nel Jiangsu sembrano confermare la narrazione classica di un pubblico irrequieto e diffidente capace di contrapporsi alle autorità cinesi, e i funzionari costretti a fare marcia indietro», indicando così «un modello per il futuro cambiamento politico in Cina».
Ma in realtà non è così, anche perché questa di Nanchino era più una protesta per mantenere lo status quo, anziché cambiare qualcosa, davvero.
[Scritto per Eastonline]