Terza puntata della collaborazione tra China Files e Istituto Affari Internazionali. “Dall’Atlantico al Pacifico”: ogni due mesi un mini dossier con diverse analisi sugli ultimi sviluppi delle relazioni tra Stati Uniti, Cina e il resto dell’Asia – (1a uscita, febbraio 2021) – (2a uscita, maggio 2021)
Gli altri contenuti del dossier: Tutti vogliono investire in Asia (Michelle Cabula e Francesca Ghiretti) – Le nuove sfide sulla sicurezza asiatica (Lorenzo Lamperti)
Il 4 luglio si sono celebrati i 75 anni di relazioni diplomatiche tra Stati Uniti e Filippine, il più antico alleato di Washington in Asia. Le Filippine sono state colonia statunitense dal 1905 fino al 1946 quando venne loro riconosciuta l’indipendenza. Filippine e Stati Uniti sono tutt’ora legati da un trattato di mutua difesa, firmato nel 1951, che stabilisce che l’una interverrà in soccorso dell’altra in caso di attacco ad opera di forze straniere. Da allora Washington ha mantenuto numerose basi e stanziato contingenti militari nei territori dell’alleato. Storicamente le Filippine sono state un elemento chiave nelle strategie statunitensi riguardanti la regione dell’Asia-Pacifico. Tuttavia, una volta conclusasi la Guerra Fredda, la presenza militare statunitense in territorio filippino fu considerata superflua e Manila pretese il ritiro delle truppe. Presto questa decisione venne ritrattata quando negli anni 90 la Cina diede ad un processo di land reclamation nel Mar Cinese Meridionale che ha portato nel tempo alla costruzione di numerose isole artificiali e alla presa di controllo di atolli contesi con altre nazioni vicinanti, tra cui le Filippine. Le mire espansionistiche di Beijing, portarono dunque le Filippine a tornare sui propri passi e a cercare nuovamente il supporto militare degli Stati Uniti siglando prima il Visiting Forces Agreement (1999) e in seguito l’Enanched Defence Cooperation Agreement (2014) – che permette agli Stati Uniti di costruire strutture militari all’interno di basi filippine garantendo una più pronta risposta in caso di attacchi nell’area.
L’elezione di Rodrigo Duterte nel 2016 ha modificato l’equilibrio tra i due stati. Infatti, l’attuale presidente delle Filippine Duterte sin dal suo insediamento ha spinto per una politica che renda Manila sempre meno dipendente dagli Stati Uniti cercando di mantenere le Filippine una nazione “neutra”, al di fuori degli scontri tra Cina e US nel Mar Cinese Meridionale. La posizione strategica delle Filippine ha portato la nazione a cercare un equilibrio tra lo storico alleato Statunitense e la ritrovata potenza regionale, la Cina. Mantenere una politica estera neutrale è utile alle Filippine per ottenere aiuti per lo sviluppo da Beijing e nel frattempo usufruire del supporto militare statunitense per resistere a un’eventuale e indesiderata interferenza cinese negli affari interni del paese. Duterte ha inoltre messo da parte le dispute marittime con la Cina nel Mar Cinese Meridionale, intraprendendo una strategia di appeasement di Beijing sia per ragioni economiche – la Cina ha promesso ha Manila miliardi in investimenti – sia per evitare di inasprire i rapporti con il potente vicino.
Ancora una volta però le azioni Cinesi nel Mar Cinese Meridionale potrebbero spingere Manila a riavvicinarsi agli Stati Uniti. Lo scorso marzo, le Filippine hanno denunciato la presenza di navi Cinesi nel Whitsun Reef – area contesa nel Mar Cinese Meridionale – esprimendo il loro timore che questa potesse essere una mossa da parte del governo di Xi per prendere il controllo dell’atollo conteso – come già successo in anni passati con altre baie nella zona che sono ad oggi usate come punti d’appoggio per operazioni militari dalla Cina. Ancora una volta quindi l’espansionismo cinese rischia di alterare lo status quo della regione e spingere Duterte, incline a dipingere la Cina come un’amichevole partner per le Filippine, nuovamente nelle braccia degli Stati Uniti di Joe Biden. Manila non può sostenere un confronto militare con la Cina ma può avvalersi degli accordi di mutua difesa con Washington per arginare l’espansione cinese. Strategia che sembra sempre più probabile considerando che il 25 giugno gli Stati Uniti hanno aperto alla possibilità di venditere armamenti militari del valore di miliardi di dollari alle Filippine.
Un nemico comune potrebbe dunque riportare i rapporti tra Stati Uniti e Filippine a una situazione di collaborazione più simili a quella dei primi duemila. Tuttavia, lo stile marcatamente autoritario di Duterte e la sua spietata guerra al narcotraffico potrebbero non sposarsi con la linea politica di Biden fortemente incentrata sul rispetto dei diritti umani. Critiche da parte di Biden sul trattamento dei cittadini filippini potrebbero inasprire i rapporti tra le due nazioni, in particolare perché Duterte sembra poco incline ad accettare critiche su questo fronte: nel 2016, quando Barak Obama criticò la spietatezza del guerra di Duterte al narcotraffico, Manila rispose raffreddando i rapporti con Washington e avvicinandosi ulteriormente a Cina e Russia. Supportare un paese che mette in secondo piano i diritti dei propri cittadini potrebbe quindi essere accettato dall’amministrazione statunitense se servisse a contrastare la Cina nel Mar Cinese Meridionale.
Inoltre, la linea “morbida” che Duterte continua a tenere nei confronti della Cina – vietando anche ai propri ministri di esprimersi sulla presenza cinese nel Mar Cinese Mediterraneo – difficilmente sarà gradita all’amministrazione Biden, che potrebbe rendere il proprio supporto militare condizionale a una presa di posizione più netta contro le azioni di Pechino. Probabilmente l’inasprimento delle tensioni tra Cina e Stati Uniti nell’area renderà difficile a Manila mantenere la politica estera neutrale formulata negli ultimi anni. Ciò nonostante, ora più che mai, le Filippine sono essenziali nella strategia di Biden per contenere la sempre crescente influenza Cinese nell’Indo-Pacifico: Manila rimane un punto d’appoggio fondamentale per cercare di mantener elevata la pressione militare su Beijing. Le decisioni politiche di Duterte nei prossimi mesi saranno decisive per il futuro delle relazioni tra Stati Uniti e Filippine.
Di Paola Morselli