Nei giorni seguenti al massacro di Gulshan, come sempre, lo shock ha lasciato spazio a commentini e allusioni più o meno esplicite a un senso di insoddisfazione nel non vedere prese di posizione chiare da parte dei «musulmani» (quali?) contro il terrore dell’Isis. Lo si ripete sempre, commettendo sempre gli stessi due errori: non si conosce la struttura dell’Islam e, soprattutto, non si fa il minimo sforzo per cercarle queste prese di posizione.Per prima cosa, sarebbe da chiarire a chi ci si rivolge quando si chiedono parole nette «dai musulmani!». Musulmani chi? Chi va in moschea? Chi non ci va ma è credente? Wahabiti o Sufi? Algerini, indonesiani, malaysiani, bangladeshi, pakistani, sudditi del sultanato del Brunei, uighuri, indiani, italiani, britannici? Associazioni (laiche?) di musulmani residenti in europa? O di musulmani europei? Scrittori, sportivi, medici, insegnanti, pizzaioli, infermieri, mediatori culturali, venditori di rose, giornalisti, scienziati, imam, mufti, mullah, taliban, presidenti o primi ministri, deputati, assessori, parlamentari?
Richieste di questo genere rappresentano seri problemi di «conoscenza dell’altro», sia a livello formale – cioè come l’altro, inteso il musulmano, vive la propria religione all’interno dei meccanismi «istituzionali» dell’Islam – sia a livello basilare di selezione delle news. Esempio madre, per quanto riguarda l’Italia: tutti i media, dopo venerdì scorso, hanno evidenziato le parole di condanna di papa Francesco, ma nessuno mi pare abbia pensato di affrontare la questione indagando all’interno della comunità islamica non dico internazionale, ma almeno quella bangladeshi.
Sarebbe bastato un giro su Google o, più veloce, un’occhiata alle pagine online del Daily Star o del Dhaka Tribune, quotidiani di Dhaka che molti colleghi hanno imparato giustamente a conoscere nelle ore immediatamente successive all’attentato dell’Holey Artisan Bakery: gli aggiornamenti di prima mano arrivavano dai loro reporter sul campo.
Il 18 giugno, ad esempio, in un articolo pubblicato dal Daily Star si poteva leggere: «In un appello per la pace, l’armonia e la tolleranza, più di diecimila esperti di dottrina musulmana in tutto il paese sono pronti a diffondere nella giornata di oggi una serie di fatwa contro i militanti, la prima del suo genere nel contesto di attentati mirati da parte di sospetti militanti».
Poche ore dopo, sullo stesso quotidiano si poteva leggere: «I militanti non "uccideranno più persone con la speranza di raggiungere il paradiso" una volta che avranno capito che questo è un sentiero che porta all’inferno, non al paradiso, ha dichiarato Fariduddin Masoud, presidente della Bangladesh Jamiyatul Ulama. "Questi fanatici non solo sono nemici dell’Islam e dei musulmani, ma lo sono dell’intera umanità" ha detto [Fariduddin]».
Cos’è una fatwa? Come dice giustamente la pagina di Wikipedia in italiano, in occidente il termine è ampiamente travisato, spesso interpretato come una sentenza di morte emanata da un’autorità religiosa musulmana (la più celebre, quella dell’Ayatollah Khomeini contro lo scrittore indiano Salman Rushdie alla fine degli anni Novanta).
In realtà trattasi di un’opinione autorevole, ma non vincolante, all’interno del diritto islamico emanata da un’autorità religiosa rispetto a qualsiasi aspetto della vita, motivata facendo riferimento a interpretazioni del Corano, o della Sunna, o a consensi precedenti raggiunti da altri dotti della religione musulmana.
La fatwa contro gli estremisti islamici che stiamo esaminando, in sostanza, esprime il parere autorevole di un’autorità religiosa riconosciuta dalla propria comunità di fedeli. Il maulana Fariduddin, in particolare, in virtù di questo riconoscimento, da sei anni guida le preghiere di Eid al fitr (il giorno di chiusura del ) a Sholakia, nella campagna del Bangladesh, dove per l’occasione a scadenza annuale si radunano oltre 400mila fedeli da tutto il paese.
Ricapitoliamo: da quasi un mese un gruppo cospicuo (centomila!) di maulana bangladeshi si è esposto pubblicamente contro l’estremismo islamico, squalificandolo dalla pratica dell’Islam basandosi su passi precisi del Corano (che contiene di tutto, come la Bibbia, e per questo – lo ripeteremo allo sfinimento – oltre a essere letto a casaccio andrebbe anche interpretato) e degli Hadith.
La presa di posizione, largamente ignorata dai media occidentali, in Bangladesh ha avuto conseguenze molto concrete: nella mattinata di ieri, all’annuale celebrazione di Eid al fitr a Sholakia, otto militanti sulla ventina hanno attaccato la folla radunata in preghiera lanciando esplosivi rudimentali e ingaggiando uno scontro a fuoco con la polizia. Il bilancio, che poteva essere ben più drammatico, si è fermato a quattro morti: due poliziotti, una donna e uno dei terroristi. La polizia ha arrestato alcuni dei responsabili dell’attacco.
Il maulana Fariduddin, in serata, ha dichiarato: «Ho sentito che alcuni di loro, arrestati a Sholakia, hanno deto che io ero il loro obiettivo. […] Noi continueremo il movimento contro la militanza e nessuno potrà fermarci».
[Scritto per Eastonline]