Quale il ruolo dell’Asia Centrale nel disegno complessivo della Belt and Road?
Che Xi Jinping reputi l’Asia Centrale fondamentale ai fini dello sviluppo della Nuova via della Seta è assodato. Non può essere un caso che la prima volta che si è parlato dell’allora “One Belt One Road” sia stato nel 2013 ad Astana (oggi Nursultan), in Kazakhstan. Una delle prime milestones della Belt è stata poi la “colonizzazione cinese” di Khorgos, una piccola cittadina sempre in Kazakhstan che Pechino ha deciso di trasformare in uno snodo ferroviario per le merci diretti al terminale di Duisburg (e viceversa, ovviamente). In generale, tutti i paesi “stan” di area ex sovietica giocano un ruolo fondamentale negli sbocchi ferroviari del piano di Pechino per raggiungere l’Europa.
E quale il ruolo dell’Uzbekistan quindi?
L’Uzbekistan è un Paese piuttosto popolato: benché sia infinitamente meno esteso del suo vicino Kazakhstan, ha quasi il doppio della popolazione(32 milioni contro 18). Economicamente, il Paese è però molto meno ricco, con un reddito pro-capite che si attesta intorno ai 2.000 dollari l’anno, e una valuta, il som, che fino a pochissimo tempo fa poteva scambiarsi coi dollari praticamente solo sul mercato nero, a causa di un’inflazione galoppante (nei migliori ristoranti di Tashkent è raro spendere più di 10€ per una cena gargantuesca, e tuttora è raro trovare ATM funzionanti).
Cosa può volere quindi Pechino da un Paese così economicamente marginale?
Quello che vuole dalla stragrande maggioranza dei 65 Paesi con cui sta negoziando per la BRI, è creare infrastrutture. Ovvero, potenziali capitoli di spesa su cui far sviluppare l’economia che contando solo sul mercato domestico non può ormai continuare a crescere ai tassi degli ultimi decenni. Senza contare poi che l’allure di città come Samarcanda, Khiva e Bukhara ha un valore simbolico fondamentale per il Partito, ai fini di proseguire la propria narrazione.
Esiste anche un altro fronte in Uzbekistan, che è la contrapposizione con la Russia, da sempre la potenza più influente a quelle latitudini. Come si articola questo contrasto?
La “Nuova Via della Seta”, nel paese che forse più di tutti al mondo iconicamente la rappresenta, è anche una Guerra Fredda (gelida, nei mesi invernali qui) con la Russia per l’influenza sul governo locale. Mosca, che ha ancora ovviamente una fortissima ingerenza culturale e politica in un Paese in cui la maggior parte della popolazione parla russo, piuttosto che uzbeko, sta cercando in tutte le maniere di ostacolare i progetti di sviluppo infrastrutturali cinesi. Pechino, dal canto suo, prova ad usare una narrazione elementare ma a suo modo efficace per spiegare alla popolazione quali sono i benefici tangibili di una maggiore vicinanza del paese alla Cina. Il risultato è una serie di video stucchevoli per un palato occidentale.
Qual è la situazione attuale del paese a livello sociale e come si ricollega alle ambizioni cinesi?
Quello che è considerato il “Padre della Nazione” uzbeka Islam Karimov ha avuto metodi che in qualche misura ricordano quelli cinesi, nella maniera di gestire la popolazione. Il suo nome non a caso fa “Islam”, ed egli si trincerava spesso dietro il Corano per giustificare alcune sue misure draconiane. Il tutto in un Paese in cui più volte gli ambasciatori occidentali hanno segnalato casi di tortura e altri abusi dei diritti umani. Il più famoso di questi casi sfociò nel 2005 nel terribile massacro di Andijan, ferita mai ricucita nella memoria del Paese, nel pieno centro della valle del Fergana, la zona più radicalmente islamica dell’Uzbekistan, e forse l’unica in cui sussiste un problema di terrorismo. Una delle vittime predilette del regime uzbeko sono gli uiguri, una minoranza la cui gestione risulta complicata in tutti i Paesi dell’Asia Centrale, ma che in Uzbekistan godono di ancora meno diritti che negli altri “Stan”. Un filo rosso che conduce fino in Xinjiang, dove gli attivisti segnalano regolarmente abusi dei diritti umani nelle carceri e nelle città da parte del governo di Pechino
L’attuale presidente Mirziyoyev, in carica dal 2016, prosegue con una politica di controllo che non lesina giri di vite su organi di stampa e anche sui social media. Whatsapp, ad esempio, è fortemente filtrato, in un Paese dove già le reti di connessione non sono esattamente coreane, mentre il russo Telegram non ha limitazioni di sorta. Le condizioni al contorno, quindi, per un’impollinazione cinese dello stato “double land-locked” ci sono tutte. Quanto profonda sarà la penetrazione del Dragone in Asia Centrale, dipenderà però molto dalla capacità di risposta del Cremlino.
Guarda il video realizzato da Filippo Lubrano di Asialize sull’Uzbekistan in inglese
Esperta di sostenibilità sociale e ambientale. Si è formata nel mondo della ricerca accademica (prima alla Fondazione Eni e in seguito all’Università Bocconi) ed é arrivata in Cina nel 2007. Negli anni cinesi ha lavorato come consulente e collaborato con diverse testate italiane online quali AgiChina e China Files per le quali ha tenuto il blog La linea rossa e la rubrica Sustanalytics oltre a curare il volume “Cina e sviluppo sostenibile, le sfide sociali e ambientali del XXI secolo, L’Asino d’oro (2015). Dopo una parentesi nel settore privato come Communications & Corporate Affairs Manager in Svizzera, é rientrata in Italia e ora vive a Milano.