Ennesime limitazioni agli investimenti statunitensi in aziende cinesi attive su semiconduttori, quantistica e intelligenza artificiale. Pechino la prende male, mentre al summit estivo di Beidaihe si parla di autosufficienza tecnologica
Il cortile sarà pure piccolo, ma le recinzioni sono sempre più alte. Gli Stati uniti avevano garantito di tenere circoscritta l’azione di disaccoppiamento tech. Pardon, “riduzione del rischio”. Ma l’ultima mossa di Joe Biden rende la barriera un po’ meno valicabile. Nel mirino, come sempre, c’è la Cina. Il decreto presidenziale introduce nuove restrizioni agli investimenti statunitensi in aziende di Pechino a tecnologia avanzata i cui prodotti potrebbero essere utilizzati per migliorare capacità militari, di intelligence e sorveglianza. I tre settori interessati sono i soliti, quelli a più alto valore strategico: semiconduttori, quantistica e intelligenza artificiale. L’annuncio non è inatteso e la segretaria del Tesoro Janet Yellen l’aveva in qualche modo anticipato al governo cinese durante la sua recente visita a Pechino, a cui però non piace nemmeno la cornice scelta dalla Casa bianca per inquadrare la decisione. Biden ha dichiarato l’emergenza nazionale nei confronti dei “paesi a rischio” che sviluppano rapidamente “tecnologie sensibili”, che “aumentano significativamente la loro capacità di condurre attività che minacciano la sicurezza nazionale”.
Per la Cina, è la prova che l’interesse di Washington è “strangolarla”, visto che provvedimenti e restrizioni hanno una “vittima” specifica. Al contrario delle restrizioni cinesi all’export di gallio e germanio, due metalli chiave per la produzione di chip, che non sarebbero dirette ad alcun paese particolare. Quantomeno ufficialmente, visto che le norme cinesi lasciano ampio margine di discrezionalità. Le nuove regole non saranno applicate agli investimenti già in essere e la Casa bianca ha concesso un periodo di consultazione di 45 giorni, alla ricerca di input di stakeholder nazionali e paesi alleati. Regno unito e Unione europea hanno già fatto sapere che valuteranno l’opportunità di seguire la linea di Washington, come già hanno dovuto fare i Paesi bassi in materia di microchip.
La reazione è stata ovviamente negativa da parte cinese. “La normale cooperazione commerciale verrà ostacolata”, ha dichiarato l’ambasciata di Pechino a Washington. Il ministero degli Esteri ha presentato “solenni rimostranze”, mentre quello del Commercio si è riservato il diritto di adottare contromisure. Il filo conduttore è l’invito a onorare la promessa di non cercare il disaccoppiamento dalla Cina o il suo contenimento. Sui media cinesi, si insiste sulla presunta mancanza di credibilità di Washington. “Gli Stati uniti accendono il fuoco ma non accettano che la Cina accenda nemmeno una lampada”, si legge in un commento pubblicato su Sina News, che ben illustra il modo in cui Pechino vede o racconta la scelta americana. Si teme un ulteriore calo degli investimenti esteri, ma si sostiene che verranno danneggiate anche le aziende americane. A partire da Intel e Qualcomm, di cui vengono ricordati i recenti viaggi in Cina degli amministratori delegati. Ieri la Semiconductor Industry Association, l’ente commerciale dell’industria Usa dei chip, ha auspicato che “le norme finali consentano di accedere ai principali mercati globali, compresa la Cina”.
In realtà, secondo diversi analisti l’impatto delle nuove restrizioni potrebbe non essere così fragoroso. La direttiva è “più fumo che arrosto” perché “regolamenta gli investimenti solo in un piccolo numero di settori”, ha dichiarato Brock Silvers della private equity Kaiyuan Capital di Hong Kong al South China Morning Post. È presumibile che la Cina utilizzerà la vicenda, insieme all’imminente transito negli Usa del vicepresidente taiwanese Lai Ching-te, come leva negoziale nei tentativi di dialogo in corso, che dovrebbero comprendere a fine mese una visita della segretaria al Commercio Gina Raimondo.
L’altro effetto delle restrizioni, scontato, è un’accelerazione degli sforzi in direzione di una “complicata” autosufficienza tecnologica. L’obiettivo è talmente prioritario da aver dominato il classico ritiro estivo della leadership cinese a Beidaihe. I massimi dirigenti del Partito comunista hanno invitato oltre 50 scienziati attivi sull’intelligenza artificiale e nell’aerospazio. Quando Xi chiede alla Cina di essere pronta a combattere, parla anche di tecnologia.
Di Lorenzo Lamperti
[Pubblicato su il Manifesto]
Classe 1984, giornalista. Direttore editoriale di China Files, cura la produzione dei mini e-book mensili tematici e la rassegna periodica “Go East” sulle relazioni Italia-Cina-Asia orientale. Responsabile del coordinamento editoriale di Associazione Italia-ASEAN. Scrive di Cina e Asia per diverse testate, tra cui La Stampa, Il Manifesto, Affaritaliani, Eastwest. Collabora anche con ISPI. Cura la rassegna “Pillole asiatiche” sulla geopolitica asiatica.