La settimana di proteste nella valle del Kashmir ha riportato in superficie il tema dei metodi di repressione del dissenso adottati dalle forze speciali indiane nello stato, in particolare l’utilizzo delle «pellet gun»: armi da fuoco che sparano centinaia di micro-proiettili secondo il governo «non letali», ma che, denunciano i medici, riducono spesso le vittime alla cecità.La stampa indiana sta coprendo diffusamente l’ennesimo «scandalo» delle misure repressive adottate dalle forze di sicurezza speciali indiane, col consenso del governo centrale e di quello locale, nella valle del Kashmir. Alle proteste di massa per l’uccisione di Burhan Wani, comandante 22enne di un gruppo separatista kashmiro, le forze di polizia hanno risposto con misure di «contenimento» armato, già in vigore da anni, ricorrendo alle pellet gun.
Le pellet gun in dotazione alle squadre antisomossa in Kashmir esplodono proiettili contenenti a loro volta centinaia di «microproiettili non letali» che, secondo l’esercito, dovrebbero semplicemente dissuadere i protestanti e disperdere gli assembramenti di manifestanti, specie durante i «lanci di pietre».
Ma, racconta Indian Express, i medici che in questa settimana hanno curato le centinaia di feriti arrivati dagli scontri di strada narrano una storia diversa.
In soli sette giorni sarebbero almeno cento i manifestanti ad aver perso la vista come conseguenza delle ferite da pellet gun. I microproiettili di piombo, sparati in aria, nella fase di caduta hanno un effetto da pioggia letale sulla folla, penetrando i tessuti cutanei e causando danni interni specie in parti sensibili come gli occhi.
Solitamente di forma sferica, nell’ultima settimana i medici hanno rinvenuto un nei corpi dei feriti un nuovo modello di microproiettile di forma irregolare e appuntita, che permette di entrare ancora più a fondo nella carne e, se non trattato in tempi brevi, di aumentare il danno sul lungo termine o addirittura la morte (il piombo è velenoso).
Le pellet gun sono in dotazione alle forze di sicurezza in Kashmir dal 2010, sotto il governo dell’Indian National Congress rappresentato nello stato da Omar Abdullah. Che ora, all’opposizione, denuncia l’eccessivo uso della violenza da parte delle forze dell’ordine di stanza in Kashmir, auspicando una «riflessione» sull’utilizzo delle pellet gun.
A parti inverse, l’attuale chief minister del Jammu e Kashmir, Mehbooba Mufti – Peoples Democratic Party (Pdp) in coalizione col Bharatiya Janata Party – in passato aveva attaccato di petto l’amministrazione dell’Inc per l’uso di pellet gun «che rendono ciechi i nostri giovani kashmiri». Ma oggi, al governo, secondo il portavoce del Pdp Nayeem Akhtar, la posizione è diventata: «Ne disapproviamo l’uso…ma dobbiamo insistere con questo "male necessario" finché non troveremo un’alternativa non letale».
Nel 2015, spiega Economic Times, anche Amnesty International si era mossa per vietare l’uso di pellet gun nello stato, facendo proprie le relazioni stilate dai medici del polo ospedaliero Aiims di New Delhi, tra i più stimati del paese.
È interessante notare, parafrasando Omar Abdullah, come le modalità repressive in vigore in Kashmir siano uniche nel panorama nazionale indiano: «Ci sono state enormi proteste in Haryana, non pacifiche. Ma lì si sono registrate le stesse conseguenze [sulla folla]? Guardiamo alla quantità di danni e proprietà danneggiate…eppure [i manifestanti] non sono stati affrontati in queste modalità. Guardiamo alla protesta dei Patel in Gujarat, tra cortei e incendi, o alle proteste per il caso Nirbahaya a New Delhi, quando i manifestanti provavano a entrare a Raisina Hill [la sede della presidenza indiana; furono respinti con idranti, ndr], nemmeno loro furono affrontati con una simile forza. Occorre chiederci se stiamo rispondendo alle folle violente in Kashmir come lo facciamo nel resto del paese».
[Scritto per Eastonline]