C’era una volta un leader di nome Dai Payalawu. Per catturare un cervo dorato, scalò novemila novecentonovantanove montagne e attraversò novemila novecentonovantanove fiumi, giungendo così a un bellissimo lago dorato. Il cervo dorato saltò nel lago e subito sull’acqua spuntarono dei meravigliosi fiori di loto, le rive si fecero verdeggianti e centinaia di uccelli iniziarono a cantare. Payalawu si innamorò profondamente di questa misteriosa terra di felicità chiamata Mengbalanaxi, oggi conosciuta come Xishuangbanna.
Sip Song Panna
Situata a sud dello Yunnan, ai confini con Myanmar e Laos, la regione del Xishuangbanna è il luogo perfetto per farsi un’idea della straordinaria mescolanza di popoli di cui è costituita la Cina.
Il nome Xishuangbanna (西双版纳), traslitterazione della denominazione originale thailandese Sip Song Panna che significa ‘’I dodici distretti in cui si coltiva il riso”, possiede una magica risonanza. Immersa in una valle tropicale ricca di specie floreali e faunistiche, abitata da un crogiolo di minoranze e tribù collinari, è facile immaginare come il nostro amico Payalawu si sia innamorato di questa terra. Le strade alberate di palme, le distese di banani, la cucina “spicy and sour” e i coloratissimi sarong richiamano infatti le tipiche caratteristiche dei paesi del Sud-est asiatico.
Circa un terzo della popolazione è di etnia Dai (傣族), un terzo appartiene alla maggioranza Han mentre il restante è composto da gruppi etnici meno conosciuti come Aini, Jinuo, Bulang, Lahu e Wa.
Una delle principali fonti di reddito in diverse zone del Xishuangbanna è la coltivazione e la lavorazione del tè Pu’er, una varietà di tè post fermentato piuttosto costoso e molto popolare in Cina. Altri prodotti locali includono riso, canna da zucchero, caffè, canapa, caucciù, canfora e un’ampia varietà di frutta. Le fitte foreste producono grandi quantità di teak, legno di sandalo e piante medicinali e ospitano diversi animali selvatici. Un tempo territorio autonomo del regno Dai, il Xishuangbanna è stato annesso alla Repubblica Popolare Cinese nel 1953.
Il popolo Dai
Ci sono oltre un milione di Dai (傣族) in Cina, di cui la stragrande maggioranza è concentrata nella regione del Xishuangbanna. Il nome Dai 傣 è la versione cinese del termine Thai, coniato durante la fondazione della Repubblica Popolare Cinese nel 1949. Sebbene la categoria ufficiale Dai includa più popoli Thai che vivono in altre regioni della provincia dello Yunnan e in altri paesi del sud-est asiatico, i Dai del Xishuangbanna fanno parte del popolo Tai Lue.
Le origini di questo popolo sono ancora oggi argomento di dibattito. Secondo alcuni studiosi, gli antenati dei moderni Dai, Thai e Lao circa 2000 anni fa vivevano a sud del fiume Yangtze(长江)sull’altopiano montuoso di quella che ora è la provincia cinese dello Yunnan. Secondo una teoria più radicale invece, i Thai discenderebbero da una civiltà oceanica del Pacifico occidentale.
Per secoli, i Dai hanno vissuto in villaggi sparsi governati da principati chiamati Muang. Intorno al X e XI secolo, stabilirono potenti regni locali come Mong Mao e Kocambi a Dehong, nel XII secolo l’Oinaga nel Xishuangbanna e il Lanna nel nord della Thailandia tra il XIII e il XVIII secolo. Durante la dinastia Yuan, quando i mongoli riuscirono a conquistare fino all’estremo sud dell’odierno Myanmar, i Dai vennero governati per la prima volta dai cinesi. Gli eserciti della successiva dinastia Ming scacciarono i mongoli e iniziarono a invadere le terre dei Dai, producendo una serie di conflitti tra i Dai e gli Han che si protrassero fino al 1874 quando un musulmano di nome Du Wenxiu unì i Dai, Bai, Yi e Naxi in una ribellione contro la dinastia Qing, repressa brutalmente nel 1892.
Durante la Rivoluzione Culturale molti Dai della provincia dello Yunnan sfuggirono alle persecuzioni fuggendo attraverso il confine verso i villaggi Dai in Thailandia, Laos, Myanmar e Vietnam. I templi buddisti Dai furono profanati, distrutti o trasformati in granai. Oggi i templi presenti nel Xishuangbanna sono di costruzione recente, molti di essi forniscono formazione religiosa per giovani monaci.
Diversamente dalla maggioranza dei buddhisti cinesi, seguaci della corrente Mahayana, i Dai professano il buddhismo Hinayana, pur conservando alcune delle antiche pratiche sciamane. Le tipiche case Dai sono fatte principalmente di legno. La struttura portante è solitamente composta da dozzine di travi con le assi del pavimento poste a due metri dal suolo. La casa è suddivisa in piano superiore e piano terra. Non ci sono muri al piano di sotto, dove vengono allevati galline e maiali che consentono di proteggere i pavimenti dall’umidità del terreno.
La gente vive al piano di sopra. Le finestre sembrano non essere necessarie e le fessure nelle pareti di legno sono abbastanza larghe da far entrare luce e aria. Sul lato anteriore della casa c’è il balcone dove le persone lavano e stendono il bucato e si godono il fresco della notte. La parte interna è composta da una stanza centrale e una camera da letto divisi da una staccionata. Con la forte urbanizzazione di frontiera del periodo post-Maoista, soprattutto nella capitale Jinghong e nei villaggi limitrofi, queste palafitte stanno via via scomparendo.
Durante le dinastie Tang e Song i Dai venivano spesso indicati come i popoli dai “denti neri” o dai “denti dorati” per via della loro tradizione di annerirsi i denti masticando la noce di betel o di incapsularsi i denti in oro, pratiche entrambe che secondo gli usi locali li rendevano, e li rendono ancora oggi, più attraenti.
Le donne Dai sono semplici ed eleganti, indossano un fazzoletto legato intorno alla testa, una camicia corta bianca o a colori vivaci (dipende dal gruppo Dai di appartenenza) e un sarong stampato. Molti uomini invece si tatuano il corpo con figure di animali. I Dai hanno la loro lingua scritta e parlata. La lingua scritta è un incrocio fra il laotiano e il birmano, mentre quella parlata ha molti punti in comune con il laotiano e alcuni dialetti della Thailandia settentrionale.
Acqua e porte chiuse: le festività Dai
I Dai hanno una cultura ricca e colorata. Le festività più importanti, strettamente legate ad attività religiose, includono il Festival della chiusura delle porte a luglio (关门节), il Festival dell’apertura delle porte ad ottobre (开门节) e il Festival dell’Acqua (泼水节) che segna l’inizio del nuovo anno lunare Dai. Il Festival dell’Acqua, conclusosi da qualche giorno, è una delle feste tradizionali più solenni del popolo Dai. Simile al Songkran dei vicini Thai, il festival inizia ogni anno il 13 aprile e si conclude il 15 di aprile, quando tutti hanno ricevuto allegramente almeno una secchiata d’acqua.
Nei primi due giorni, famiglie e amici si riuniscono per cantare e ballare. Di notte si recano sulle rive del fiume Lancang dove lasciano galleggiare delle lanterne di carta contenenti messaggi e auguri di buon auspicio. Il terzo giorno è il gran finale, dedicato agli “spruzzi d’acqua”, un rituale simbolico per “sciacquare via” il passato e dare il benvenuto al nuovo anno. Con addosso i loro vestiti migliori i Dai si recano al tempio del villaggio dove, dopo aver trasportato la statua del Buddha dal tempio al cortile, danno inizio alla cerimonia del “bagno del Buddha”, lavando la statua con degli spruzzi d’acqua. Nel frattempo, fuori dai templi, la gente si riversa sulle strade e si diverte a inzuppare ogni passante con secchi d’acqua, pompe, pistole ad acqua e palloncini pieni d’acqua.
Il Festival delle porte chiuse (关门节) segna l’inizio della stagione agricola, che va da luglio a ottobre, periodo in cui matrimoni o altre festività sono vietati. La stagione agricola si conclude con il Festival delle porte aperte (开门节) quando le donne si sciolgono i capelli per celebrare il raccolto. Il calendario Dai è insolito, rispetto al calendario lunare cinese Han, in quanto il primo incorpora elementi sia del calendario solare che di quello lunare. Preso in prestito dalla tradizione taoista cinese Han, i Dai usano il metodo dei Tronchi Celesti e dei Rami Terrestri (干支) per registrare giorni e anni nel loro ibrido calendario.
Di Angela Piscitelli
*Angela Piscitelli nasce a Isernia nel 1988. L’amore viscerale verso l’esotico la porta per la prima volta in Asia nel 2012. La decisione di esplorare in tutte le sue dimensioni il continente asiatico si realizza nel 2014, quando, terminati gli studi in Lingue e Civiltà Orientali a Roma, si stabilisce a Shanghai dove consegue un Master in Giornalismo e Comunicazione. La sperimentazione fotografica trova ampia espressione durante i suoi viaggi, dove prende piede la passione per il ritratto e la fotografia di strada, l’unica capace di riprendere i soggetti in situazioni reali e spontanee nella vita di tutti i giorni.