Lavoro politico-ideologico (2004) è l’unico racconto della raccolta che non ha un’ambientazione rurale (la raffigurazionedella vita militare è l’altro filone prediletto della narrativa diYan Lianke), sebbene anch’essa abbia un protagonista di origine contadina, Xiao Niu, il cui stato di subalternità, anche psicologica, sembra essere un tutt’uno con questa stessa origine.Qui l’autore intende mettere in scena, componendo una tragicommedia in un unico atto, i travestimenti del potere dell stato – rappresentato in questo caso specifico dall’istituzionemilitare – rivelando la violenza simbolica che esso esercita, inmodo morbido e discreto, nei confronti dei suoi soggetti. Il lavoro “politico-ideologico” del partito, suggerisce infatti Yan Lianke, oggi come oggi non serve più a creare valori coscientie positivi (anche perché da tempo ormai il partito non credepiù ai suoi valori ufficiali, quelli del socialismo), ma si accontenta di manipolare la volontà dell’individuo, occultando lapropria natura coercitiva, così da indurlo a prendere spontaneamente le decisioni che l’istituzione vorrebbe egli prendesse, interiorizzandole. Assistiamo perciò alle virtuosistiche deambulazioni verbali del tutor, che prima rimprovera Xiao Niu perla sua scarsa sfiducia verso l’esercito e il partito, che mai gliavrebbero negato il permesso di andare a visitare la madre morente, riuscendo così a dissimulare l’indifferenza dell’istituzionenei confronti della sua tragedia personale e rilegittimando quest’ultima come tutrice di un’etica che ha a cuore il bene dell’individuo almeno quanto dello stato. Quindi passa a lodarlo,costruendo davanti ai propri occhi un’immagine nobilitata dise stesso, trasfigurata nell’icona di un soldato modello che incarna esemplarmente l’etica altruista del comunismo (e delconfucianesimo, come attesta la citazione del celeberrimo precetto di Fan Zhongyuan), ovviamente al fine di stimolarne lospirito di sacrificio e sollecitarne la rinuncia alle proprie istanzepersonali.Poi cerca di impossessarsi della sua sfera affettiva, inmodo tale da reindirizzare l’attaccamento spontaneamente rivolto alla famiglia verso se stesso, presentandosi da un latocome un surrogato dell’amore materno e paterno, dall’altro dipingendo l’istituzione come una più grande e più gloriosa famiglia. Infine, dopo averlo lavorato a puntino, abbatte le sueresistenze residue minacciando oscuramente una punizione ben peggiore di quella che potrebbe infliggere l’istituzione:l’esclusione da parte del gruppo dei suoi pari nel caso in cui Xiao Niu mettesse in cattiva luce le altre reclute.
LAVORO POLITICO-IDEOLOGICO
Era estate, facevano 39 gradi. Al tutor per il caldo pareva di bollire: gli sembrava che, se gli avessero messo in mano una spranga di ferro, quella si sarebbe cotta come uno spaghetto. Il grano era maturo. In tre giorni, erano arrivati alla compagnia nove telegrammi per otto soldati: o la mamma stava male, o il papà era in fin di vita, o bisognava costruir la casa, o la nonna festeggiava gli ottant’anni, eccetera. Tutti andavano dal tutor per chiedere un permesso. Lui sapeva che in realtà volevano tornare per la mietitura. Ma i piani alti avevano disposto espressamente di non fare alcuna deroga: nessuno, né gli ufficiali né le reclute, poteva chiedere di tornare a casa. Con gli ufficiali era facile da mettere: non potete punto e basta, dovete dare il buon esempio. Ma le reclute del buon esempio se ne fregavano, e continuavano a farsi scrivere, telefonare o mandare telegrammi, testardi come passeri che cercano di volare al di là di una finestra pur sapendo che c’è il vetro. Insomma, si trattava di una bella rogna. Era il test stagionale del lavoro politico-ideologico. Ogni anno, in quel periodo, la compagnia era sommersa da un diluvio di lettere e telegrammi, e per i tutor era come tornare fra i banchi di scuola a fare esami. Il test risultava superato solo se per tutto il mese, in tutta la compagnia, nessuno chiedeva permessi. E però, Xiao Niu era davvero un caso a parte. Quel pomeriggio aveva consegnato al tutor tre telegrammi tutti in una volta. Il primo, della settimana precedente, diceva: mamma ospedale, cerca tornare. Il secondo, vecchio di due giorni, diceva: mamma pericolo, DEVI tornare. Il terzo, arrivato solo oggi, alle condizioni della madre non faceva più nemmeno cenno, e diceva solo: TORNA IMMEDIATAMENTE. Xiao Niu era già andato in strada a fare un’interurbana sul telefono dei vicini di casa, i quali dissero che mamma era già morta, che al villaggio era già stata allestita la tenda funeraria, e come mai non sei ancora andato dai tuoi superiori a farti dare il permesso?
Xiao Niu si era messo a piangere come un vitello. La mamma aveva 59 anni e mezzo, un altro mese e ne avrebbe fatti sessanta. Era morta giovane, troppo giovane. Era stato per un cancro ai polmoni. Glielo avevano trovato a inizio anno, appena sei mesi prima, e in un attimo se n’era andata. Così, quando Xiao Niu andò dal tutor a chiedere il permesso, aveva gli occhi rossi e gonfi. E al tutor quegli occhi bastarono per stabilire che la madre era morta per davvero. Quei tre telegrammi non erano falsi. Lo fossero stati, non avrebbe pianto. Non avrebbe avuto lacrime. Tutt’al più, imitando i soldati più esperti, se ne sarebbe stato tutto il giorno a letto, sì da manifestare un po’ di malumore. Perciò il tutor sedette sul letto, diede un’occhiata ai telegrammi posati sopra al tavolo, guardò un istante Xiao Niu che se ne stava mestamente in piedi dinanzi a lui, e con tono severo lo redarguì: “Ragazzo, ragazzo mio, perché hai aspettato così tanto per venire a chiedere il permesso? Dovevi venire da me subito, quando è arrivato il primo telegramma. A che pro farlo marcire in tasca? È per far vedere che sei bravo? Va bene che ci son disposizioni esplicite; va bene che tutti corrono a chiedere il permesso; ma tu, se la mamma ha preso il cancro, a casa ci dovrai pure tornare, al suo capezzale ci dovrai pure andare, per versarle un bicchier d’acqua, porgerle una medicina, mostrarle un po’ di devozione. E invece tu vieni da me soltanto adesso. Potevi andare a salutare tua madre mentre lei era ancora viva, scambiar con lei qualche parola di commiato, e invece niente: e adesso scordati di parlare con lei. Ma tu dimmi, ragazzo mio, come si fa a esser così sciocchi, così poco devoti come figli?”
Xiao Niu, prima di andar dal tutor, si era asciugato le lacrime nella camerata ed era andato a sciacquarsi il viso nel bagno, pensando che, davanti a quello, sarebbe riuscito a soffocare il suo cordoglio: non era il caso di fare scena muta davanti al tutor, di non riuscire nemmeno a spiegare quei telegrammi, la malattia della madre, l’intenzione di tornare a casa, solo perché il dolore gli spezzava il respiro. Non pensava che il tutor, senza nemmeno chiedere lumi sulla provenienza dei tre telegrammi, lo avrebbe rimproverato dicendo che il permesso lo doveva chiedere assolutamente, che alla madre non avrebbe dovuto mancar di devozione. Ciò gli diede un senso di rimorso e di calore assieme: il tutor, che gli era parso in genere così severo, gli parve ora un fratello maggiore, uno zio, un familiare. Ciò, lo fece di nuovo piangere sconsolato. Il suo però non fu un pianto a dirotto, bensì un lungo singhiozzare, con le spalle sussultanti e il viso blu, come un caco andato a male.
Xiao Niu era una recluta, veniva dalla campagna dello Shandong; aveva fatto diciott’anni soltanto il mese scorso. Era bassettino, un po’ cicciotto, aveva il viso da bambino e gli occhi assai infossati: sicché le lacrime, mentre piangeva, si riversavano prima nel cavo degli zigomi per poi venire giù, quando straripavano, in un unico fiotto, inarrestabile come un lago che rompe la diga. Il tutor non cercò di rabbonirlo. “Piangi”, lo esortò, “piangi forte, ti darà un po’ di conforto.” Poi riprese il suo discorso: “Non venendo per tempo a chiedere il permesso, hai mancato di fiducia verso il tutor, verso il lavoro politico-ideologico e verso la cellula del partito. Possibile che se i superiori dispongono che salvo casi eccezionali i soldati non possono chiedere permessi, tu davvero il permesso non lo chiedi? Avere la mamma con il cancro non è un caso eccezionale?” Il tutor poi si alzò, prese da un ripiano il proprio asciugamano, lo passò nell’acqua fresca della bacinella, lo strizzò e infine glielo porse: “Prendi”, disse, “pulisciti la faccia. Il treno che va verso casa tua parte stasera alle otto e trentadue. I biglietti si trovano facilmente. Prenditela pure comoda, alla stazione ti ci porto io”. Quindi aspettò che Xiao Niu si fosse pulito il viso per riprendersi l’asciugamano, risciacquarlo nella bacinella, e dopo averlo strizzato nuovamente appoggiarlo sul bordo del tavolo davanti al suo interlocutore. Ciò che voleva dire era: piangi, piangi pure, butta fuori il tuo dolore, non lacerarti tenendolo nel cuore. Xiao Niu sbirciò l’asciugamano, ma al quel punto non piangeva più. Non si sentiva più affranto come quando era appena entrato. Il tutor, vedendo il suo dolore affievolirsi, gli riempì un bicchiere d’acqua, glielo piazzò davanti, e gli spinse una seggiola sotto il sedere. “Siedi,” lo invitò, “beviti un sorso.” Xiao Niu si sedette, ma non bevve.
Era l’ora del riposo meridiano. La caserma era silente. I soldati riposavano nelle loro camerate e si udiva solo lo schiamazzo delle cicale sulle paulonie dentro e fuori la caserma. Xiao Niu non piangeva più. Ma la stanza del tutor, nel silenzio, aveva preso un che di soffocante. Le foglie del tè dentro al bicchiere si intumidivano, e cominciavano pian piano a sprofondare. Pareva quasi di sentirne il rumore. Il tutor aveva smesso di parlare, e Xiao Niu, vagamente innervosito, aveva posato le mani sulle ginocchia in attesa di qualcosa. Aveva il permesso di tornare a casa, questo era fuori discussione. Era assodato che poteva farlo oggi stesso. Restava solo da capire, a questo punto, per quanti giorni si sarebbe potuto trattenere. Xiao Niu, per essere una recluta, conosceva piuttosto bene la procedura per chiedere i permessi. Il tutor doveva aspettare che suonasse la sveglia del pomeriggio, e che riaprissero gli uffici del reggimento, per telefonare alla sezione affari interni, fissando con essa un appuntamento per mandarvi l’impiegato con un rapporto sulla richiesta di permesso; il caposezione doveva poi firmare il rapporto, timbrarlo, e rilasciare un salvacondotto militare telefonando alla compagnia per avvisarla. Quindi l’impiegato doveva riportare in compagnia sia il rapporto che il salvacondotto, depositando il primo agli atti dell’archivio e consegnando il secondo al richiedente: solo allora la pratica poteva dirsi terminata. Pratica che, in ogni caso, non poteva essere sbrigata durante l’ora del riposo, per cui Xiao Niu voleva approfittarne per tornare in camerata a farsi la valigia per partire quanto prima.
Ma nell’instante in cui pensò di andarsene, il tutor gli sfiorò il bicchiere con le dita, e gli disse: “Bevi, che si raffredda”. Poi continuò: “Xiao Niu, non farci caso, non te la prendere se un attimo fa le mie parole sono state un po’ pesanti, ero solo un po’ agitato.” Xiao Niu non capì che cosa c’era di pesante, che cosa c’era di sbagliato nelle parole del tutor. Tutte quelle parole di rimprovero, dalla prima all’ultima, erano state per lui carezze morbide su una ferita dolorosa, che lo avevano colmato di conforto e di calore. Ma ora il tutor aveva quella faccia pentita, che sembrava chiedergli scusa, come se avesse appena commesso un’azione oltremodo vergognosa.
Xiao Niu ne fu un po’ perplesso; così alzò la testa per scrutare il tutor, un po’ come faceva a scuola quando scorreva con lo sguardo, dopo averlo terminato, il compito di matematica, per tranquillizzarsi che ogni più e ogni meno fossero stati messi al posto giusto. Il tutor sospirò profondamente, affondò il sedere dentro al letto, si avvitò per tirar su la zanzariera, finalmente si raddrizzò, e disse: “A ben pensarci io non avrei dovuto criticarti, Xiao Niu; semmai ti dovevo lodare. È vero che non sei venuto per tempo a chiedermi il permesso, perdendo così per sempre l’occasione di vedere la mamma ancora viva. Tu però l’hai fatto per tutti noi, per il lavoro della nostra compagnia! Non fossimo stati presissimi dagli addestramenti per la rassegna militare, per la nostra grande Festa dell’Esercito del Primo Agosto, forse non saresti venuto a chiedere il permesso?[1] Lo so che se ti sei comportato così è stato per il bene dell’esercito. Io l’ho sempre pensato, sin da quando ti hanno assegnato nella nostra compagnia, che tu eri diverso dalle altre reclute. Però non lo sapevo, con esattezza, in che cosa eri diverso. Forse era stata quella domenica di due mesi fa, quella brutta domenica di pioggia. Al mattino il sole risplendeva ancora, così tutti avevano steso le coperte, il saccone e le lenzuola fuori della camerata. Ma verso mezzogiorno il tempo si era guastato all’improvviso, aveva preso a diluviare, e tutti si erano scapicollati per riprendersi le proprie cose, tutti tranne te. Tu eri andato prima a raccogliere le cose dei soldati che si trovavano in servizio, e solo dopo eri tornato a riprenderti le tue. Va bene, sarà stata una sciocchezza; ma io, quella sciocchezza, come prima me l’ero dimenticata, così adesso me la sono ricordata. Xiao Niu: io non so se anche tu te ne ricordi…”
Il tutor parlava calmo, guardando fisso non si sa bene se Xiao Niu o il muro che aveva davanti, e non si capiva se lo stesse sul serio interrogando o se la sua fosse soltanto una pausa all’interno di una narrazione, come se, arrivato al momento clou, volesse creare un po’ di suspense, rievocando intanto qualche scena per far sì che il pubblico si concentrasse meglio e convogliasse ogni fibra di attenzione sul suo volto e la sua voce. E Xiao Niu pareva veramente un ragazzino a teatro. Inarcatosi in avanti, alzato in alto il mento, aveva affissato gli occhi sul viso del tutor con un viso che, fin lì illividito dal pianto, si era fatto vagamente roseo. Vagamente, come per un lieve imbarazzo. Xiao Niu arricciò le labbra carnose per rispondere che sì, si ricordava, o forse che no, non si ricordava, ma siccome non aveva ben colto se dopotutto il tutor lo stesse interrogando o meno, alla fine le sue labbra si mossero senza dir nulla e quell’altro poté riprendere il discorso.
“Tu te ne sarai già dimenticato, Xiao Niu, ma io no. Io, quella volta, ero dietro di te. Tu prendesti prima le coperte degli altri, e poi riprendesti le tue. Che di conseguenza si inzupparono parecchio. Ma sì, alla fine si tratta di una cosuccia, non occorre neanche rievocarla. Però tu questa cosuccia l’hai fatta, io quella cosuccia l’ho vista e poiché sono il tuo tutor me la devo ricordare. Ciò che dimostra, questa cosuccia, è che tu non sei del tutto uguale agli altri; tu sei cosciente, altruista, metti davanti gli altri e poi te stesso. ‘Il primo a preoccuparsi dei problemi del mondo e l’ultimo a godere delle sue gioie”, diceva Fan Zhongyan.[2] E poi c’è un altro fatto, che di sicuro invece ti ricorderai. Il mese scorso, quando siamo andati a concimare gli orti della compagnia, a un certo punto siamo restati senza letame perché la latrina era rimasta all’asciutto. Allora alcuni soldati si sono gettati nella fossa a spalare per tirar via gli escrementi duri che si erano seccati sul fondo. Quello sì che era un lavoro puzzolente, solo i contadini e Lei Feng sarebbero disposti a farlo.[3] Io però ero lì e ho contato che a saltare nella fossa sono stati in tutto cinque soldati: ebbene, tu eri uno di quelli. Fra gli altri ce n’erano di vecchi e nuovi, ma tutti avevano fatto domanda per entrare nel partito. Certo non possiamo dire che tutti abbiano spalato quel letame per entrare nel partito, e men che mai che le loro motivazioni, nell’entrare nel partito, non fossero integerrime, o che dietro le loro manifestazioni di zelo ci fossero secondi fini. Fatto sta che quella volta l’unico che non ha fatto domanda per entrare nel partito eri tu, e io, proprio per questo, ti ho visto sotto una luce nuova. Ho pensato che tu sei uno che non agisce in vista del proprio tornaconto personale, che sei uno mosso esclusivamente da virtù, hai una nobiltà e una purezza d’animo che ti sgorgano dal cuore, ti scorron nelle vene. Mettiamo anche la questione del permesso: com’è che certi soldati appena gli scrivono da casa che il campo si è allagato corrono qui agitando la lettera per chiedere di andarsene? E quelli che chiedono di andare a casa perché la sorella è caduta dalla bicicletta e le hanno messo qualche punto al braccio? O casi anche più assurdi come quelli che si fanno mandare telegrammi falsi in cui gli si ingiunge di correre a casa perché la nonna è in fin di vita, quando la nonna era già defunta prima che entrassero nell’esercito! O quelli che hanno il padre con l’influenza ma sul telegramma c’è scritto di tornare asso-lu-ta-men-te perché ci sono brutti sintomi?”
Il tutor a quel punto aveva preso ad arrabbiarsi, sicché parlava più velocemente e anche il suo viso calmo si era fatto paglierino per la collera. Egli aprì un cassetto, ne trasse un grappolo di telegrammi e li schiaffò sul tavolo a far compagnia ai tre di Xiao Niu. Quel gesto di spiattellare tanta oscenità sotto la luce del sole parve placare in parte la sua ira. “Bevi Xiao Niu, bevi, che si raffredda”, gli disse con gli occhi incollati sul tavolo inondato di telegrammi. “Questo tè è buono, non è roba che dalle vostre parti coltivate, assaggialo.” E gli mise il bicchiere direttamente nelle mani. Ma Xiao Niu non voleva bere. Non aveva sete. Ma il tutor disse: “Bevi, assaggialo, è maojian, è delle mie parti. Mia moglie – sì, tua cognata, anche se non l’hai ancora conosciuta – oggi si è presa un giorno di ferie ed è venuta alla compagnia, e visto che a voi dello Shandong piacciono i ravioli le ho detto di fartene un po’.” Il tutor, nel dirgli di assaggiare il tè, aveva alzato un po’ la voce, severo come un padre che sgrida il figlio che fa i capricci a tavola. Ma quando aveva parlato di sua moglie, e dei ravioli che lei gli avrebbe fatto, la sua voce si era ammorbidita, come una madre che al figlio capriccioso dice: prima finisci quello che hai nel piatto, poi io ti faccio qualcos’altro. Era una premura che non poteva non toccare le sue corde.
Era la prima volta che metteva piede nell’alloggio del tutor, ed era la prima volta che quello gli parlava faccia a faccia. Così si portò il bicchiere alle labbra e se le bagnò, col risultato che due foglie gli rimasero nella bocca. Il sapore era amarognolo. Quel tè lo aveva già bevuto a casa, ma lui non sapeva dirla la differenza fra un tè buono, uno meno buono, e uno cattivo. Perciò masticò le foglie come da bambino masticava le radici di gramigna dolciastra che trovava scavando dentro ai campi, guardando intanto il tutor mentre raccoglieva i telegrammi e li riponeva nel cassetto, lasciando lì sul tavolo, ai piedi di un calendarietto, solo i suoi. In quell’istante squillò la sveglia pomeridiana. Fu un boato che sembrò, nell’afa soffocante, come se stesse passando all’improvviso una mandria di bisonti galoppanti. Il tutor aprì la finestra, ordinò alle sentinelle appostate all’esterno di convocare l’impiegato non appena questi fosse rientrato, e dopo che quelli ebbero fatto signorsì la richiuse. “Xiao Niu”, lo guardò, “tu se devi andare vai. Se il rapporto lo facciamo appena torna l’impiegato il tempo per chiedere il permesso non ci manca. Hai perso la mamma, nessuno te lo negherà. Al limite tu intanto vai a casa e poi il permesso lo integriamo, tanto per la divisione e il reggimento è uguale. Tu, però, non devi sempre mettere al primo posto l’interesse della compagnia. L’interesse collettivo è importante, ma lo è anche quello personale. L’interesse collettivo, a dire il vero, è costituito da una miriade di comuni interessi personali. Ogni volta che un’organizzazione lede l’interesse del singolo, lede anche l’interesse collettivo. Sì, io la vedo diversamente dagli altri istruttori politici, almeno in parte. La mia opinione è che per mantenere intatto l’interesse collettivo, dobbiamo in primo luogo mantenere intatti gli interessi personali dei soldati; quelli corretti e ragionevoli voglio dire. Tu se devi andare vai. Fregatene del lavoro della compagnia. Fregatene che alla rassegna del Primo Agosto ci toglieranno un punto perché avremo un uomo in meno. E non pensare che se ci levano un punto riceveremo un’onorificenza in meno. Fosse pure che stavolta ci classifichiamo ultimi, fosse anche che il mio lavoro politico-ideologico viene bocciato, tu quel permesso lo devi chiedere per forza. Sai del comandante, no? L’anno scorso suo padre è morto, è stato proprio durante l’avvicendamento delle vecchie e nuove leve; io, peraltro, ero impegnato in un corso alla scuola di teoria politica e così lui non proprio è potuto tornare a casa. Insomma, alla fine di tutto quell’ambaradan ci hanno premiati come compagnia modello: tutto è filato liscio alla perfezione, eppure in seguito il comandante ha continuato a dire che non aveva visto il padre per l’ultima volta, che non gli aveva dato degna sepoltura e via coi torrenti di lacrime. Xiao Niu”, si accalorò, “io lo so che tu sei diverso, lo so che tu badi troppo alle sorti degli altri, che pensi troppo all’interesse collettivo. È per questo che ti chiedo di toglierti questo peso dal cuore, e di tornartene a casa sereno. È vero che i morti non resuscitano, ma almeno tornando consolerai tuo padre, i tuoi fratelli, le tue cognate, dimostrando che il nostro esercito non è solo ferrea disciplina, ma è anche, come da buona tradizione, la culla di un grande umanitarismo.”
Detto questo si alzò per versarsi un po’ da bere, e si accorse che nel bicchiere di Xiao Niu erano rimaste ormai solo le foglie. Il tutor, tutto preso nel suo discorso, non aveva notato quando Xiao Niu aveva bevuto il suo tè, finendo addirittura per vuotarlo. E non lo aveva notato neanche Xiao Niu, tutto preso com’era stato, da parte sua, ad ascoltare. I due erano entrati in una sorta di comunione mistica, un maestro e un allievo dimentichi del suono della campanella, un cantastorie e il suo devoto ascoltatore immemori del frastuono del teatro. Il tutor si avvicinò per riempire a Xiao Niu il suo bicchiere e ne vide il viso lustro di un tenue rossore, velato dalla gioia e dal turbamento della lode come da un rosso nastro matrimoniale appeso a una finestra inondata dalla luce: un viso trasparente eppure schivo, attento e però svagato. Perciò fu solo quando il tutor fece per staccargli il bicchiere dalle mani immobili che Xiao Niu se ne tornò di colpo in sé: “No, signor tutor, grazie faccio io!” “Sta’ seduto”, rispose quello. “No, no”, insisté Xiao Niu, “faccio io: come posso farmi servire da voi?” Così il tutor stavolta davvero si arrabbiò. In piedi davanti a lui, con il thermos che si inchinava nella mano sinistra, lo apostrofò: “Ragazzo, ragazzo mio… ma tu cosa credi che sia il tutor, eh? Perché non ti potrei versare da bere? Perché non puoi bere l’acqua che ti verso? Xiao Niu, mi fai venire i nervi! Come se il tutor fosse un signore feudale, uno sfruttatore! Tu lo sai cos’è, invece, il tutor? Il tutor è uno che, quando tutti hanno lasciato le loro famiglie, e si sono ritrovati, da ogni angolo della Cina, a far la stessa strada, e a ricreare una nuova famiglia un po’ più grande, beh, quando tutti pensano al babbo e alla mamma il tutor è il babbo e la mamma di tutti, quando pensano ai fratelli e alle sorelle lui è un fratello o una sorella maggiore. Che male c’è”, proseguì, “se bevi l’acqua che ti verso? Nemmeno l’acqua mi consenti di versarti… ma i ravioli che mia moglie ha fatto, per te e per tutti gli altri, quelli li vuoi mangiare sì o o no?”
Colto in fallo Xiao Niu si lasciò andare nuovamente sulla sedia.
Il tutor gli riempì il bicchiere come se stesse mescendogli del vino. Due gocce d’acqua bollente, però, gli sfuggirono dal thermos e finirono su un ginocchio di Xiao Niu. “Ah! Scotta?” chiese il tutor preoccupato. “Ho fatto bollire l’acqua prima di pranzo…”
Xiao Niu si passò rapido la mano sul ginocchio, disse che no, no, non era niente, ma quell’altro, dopo aver saggiato con le dita il beccuccio del thermos, si diede a sfregargli il ginocchio con l’asciugamano. Infine ripose il thermos e si rimise a sedere. Xiao Niu, mentre il tutor gli sfregava il ginocchio, si era sentito avvampare; avrebbe voluto fermarlo ma aveva paura che si arrabbiasse di nuovo, così aveva finito per trattenere le mani per aria, come un bambino che allarga le braccia per lasciare che la mamma lo vesta. Lui, però, non era un bambino, né il tutor era sua madre. Sua madre aveva già lasciato questo mondo il giorno prima. Xiao Niu non sapeva, se, con quel gesto, il tutor avesse più evocato il ricordo di sua madre o piuttosto gli avesse fatto percepire il calore dell’amore materno. Era stato un gesto spontaneo e naturale, semplice come spazzar via briciole dalle ginocchia. Questo gesto, però, lo fece di nuovo scoppiare a piangere. Un’ondata di calore gli traboccò dal cuore e le lacrime gli gonfiarono gli occhi, cosicché il tutor per la terza volta immerse l’asciugamano nella bacinella e glielo mise in mano.
“Fatti forte ragazzo mio”, disse. “Sei troppo tenero. Come puoi tornare a casa se ogni cinque minuti scoppi in lacrime? Come potrai tornare alla compagnia?” Quindi allungò il braccio, guardò l’orologio, contò in silenzio, e alla fine proclamò: “Il tempo c’è. Se l’impiegato fra un po’ non è qui tu va’ comunque a farti la valigia”. Gli disse anche di portare i suoi saluti al padre e ai fratelli, e di fare un inchino in onore di sua madre a nome suo, del comandante, e dell’intera compagnia. Gli disse di gestire lui stesso il periodo del permesso. “Cerca di tornare appena son finiti i funerali, ma se fai fatica a liberarti o vuoi startene a casa qualche giorno, fa’ pure. Prenditela comoda, per una volta fregatene della compagnia. Non pensare sempre alla compagnia, come se fosse una famiglia. La compagnia è una cosa, la famiglia un’altra. Un soldato deve sì coltivare il proprio attaccamento per la compagnia, ma non in momenti come questo, non quando uno perde i genitori. È senza dubbio da ammirare un soldato che fa della compagnia la propria famiglia, ma anche un soldato che ha nel cuore i genitori e i suoi fratelli merita comprensione e rispetto. Basta piangere, ragazzo”, lo esortò. “Sì, basta piangere. Che poi non sei più un ragazzo, ormai: sei un soldato dell’esercito di liberazione. Devi imparare a esser forte, ad avere sangue freddo, a tenere i nervi saldi: il dolore si domina con la fermezza, la gioia va affrontata con l’equilibrio. Perciò ascolta, ho un compito per te: quando arrivi a casa, non importa quanto saranno addolorati tuo padre, i tuoi fratelli e le tue cognate; tu non tradire alcun dolore. Il tuo compito è primo partecipare ai funerali della mamma, secondo – ed è ciò che davvero conta – alleviare la loro pena, e aiutarli a ristabilire il loro amore e la loro fiducia per la vita e la sua bellezza. Io non te lo do il permesso, non ti autorizzo a tornare a casa, se tu ci vai per acuire il dolore di più padre. Tieni a mente solo tre cose chiare come il sole: primo, tu ormai non sei un bambino, ma un militare, e un militare deve essere forte; secondo, ora che la mamma è morta, devi mostrare doppia devozione per tuo padre, dare a lui tutto l’amore che prima davi ad entrambi, per rendere felici gli ultimi anni della sua vita; terzo, tu adesso torni dalla tua famiglia e gli porti il regalo più bello, che non è il denaro, non sono i doni, bensì il conforto. Per esempio… beh, io non so se quello che ho da dirti è giusto, se è appropriato… o se magari può ferirti i sentimenti…”
Il tutor fece allora deliberatamente una lunga pausa, in cui posò gli occhi sul viso di Xiao Niu allo scopo inequivocabile di sollecitare il parere su ciò che poteva o non poteva dire. Xiao Niu ne ricambiò lo sguardo. Finora aveva sempre tenuto il viso incollato al suo, guardandolo a tratti come un allievo che ascolta l’insegnante, a tratti come un figlio che ascolta il padre, o a tratti, ancora, sembrava uno che ascolta una storia incollato alla radiolina.
Adesso, Xiao Niu sembrava un giovane che ascolta gli ammaestramenti di un anziano, un fratello minore in procinto di partire che ascolta le raccomandazioni del fratello maggiore. Il viso era ormai quieto e risoluto, lustro e pieno come un caco non ancora maturo, ma sul punto di maturare. Lo sguardo era fermo, il viso scintillante, le mani, pocanzi ingranchite sulle ginocchia, serrate a pugno, come se chissà quale risoluzione fosse stata presa, come se stesse per partire per un’impresa. Il tutor perciò capì, da quello sguardo, che poteva dire tutto quello che voleva. Xiao Niu, addirittura, gli fece un cenno per incoraggiarlo a esternare. Così il tutor spinse in fondo al tavolo il suo bicchiere e alzando la voce gli comunicò: “Xiao Niu, sinceramente io non ho paura che tu ti arrabbi, o che tu soffra; temo solo che tuo padre non riesca a riprendersi dal dolore. Tua madre se n’è andata a cinquantanove anni, un mese prima che ne facesse sessanta: davvero se n’è andata troppo presto. Fa sempre un po’ di pena uno che muore quando non ha ancora sessant’anni, quando non riesce ad arrivare alla vecchiaia. Però, quando uno ha fatto sessant’anni, tutto diventa più facile da accettare, come se a sessant’anni uno fosse vecchio, a cinquantanove no. Perciò in Cina c’è la tradizione che, quando uno muore dopo i sessant’anni, il funerale viene celebrato come se fosse un matrimonio. Nelle campagne della Cina del Nord, per esempio, come da voi nello Shandong, le dipartite dopo i sessant’anni una volta erano chiamate ‘fauste’. D’accordo, è vero che tua mamma non è arrivata a sessant’anni, però tutto sommato le mancava solo un mese. Ma noi spostiamo il computo dal calendario lunare a quello solare; ormai anche in campagna molti festeggiano così. Tua madre secondo questo computo ha fatto precisamente sessant’anni. Ho controllato sulla tua scheda personale: secondo il calendario solare tua madre oggi avrebbe sessant’anni e qualche giorno. Il che vuol dire che sessant’anni li ha già compiuti, e la sua dipartita può essere considerata ‘fausta’. Perciò io credo che se tu ragioni in questi termini, se tu vai al funerale e in questi termini persuadi i tuoi, sicuramente riuscirai a consolarli, adempiendo al terzo punto che ti ho detto.”
Con quelle parole il tutor parve aver finito. Occhieggiò un po’ Xiao Niu e vide che ormai era molto meno scosso e addolorato: non aveva più il viso rosso e i pugni tesi come prima. Era tranquillo, finalmente; con una mano teneva il bicchiere mezzo pieno appoggiato alle ginocchia, mentre l’altra si distendeva in un pugno arioso e rilassato. Quella tranquillità in parte lo commosse; era stato quel suo disquisire un po’ paterno e un po’ fraterno, evidentemente, a farlo uscire dalla prostrazione, per condurlo mano a mano in quello stato di naturale quietudine. Il tutor allora si risistemò sul letto per assumere la stessa posa rilassata di Xiao Niu, poi, con voce bassa e morbida, gli si rivolse per avanzare una richiesta: “Xiao Niu, ascolta, ho avuto un’idea. Mi è venuta sul momento, all’improvviso, senza meditazione. Adesso nella compagnia sono in tanti quelli che se ne vogliono tornare a casa, ma quelli con la tua coscienza sono pochi. Tu pur avendo la mamma gravemente malate all’ospedale ci hai tenuti nascosti i tuoi telegrammi al solo scopo di evitare rogne per la nostra organizzazione. Così mi è balenato in mente una specie di piano: stasera, prima che tu parta, alla cena della compagnia aggiungiamo qualche portata in tuo onore, e poi, quando tutto il reggimento si è riunito, io riferisco brevemente davanti a tutti le tue azioni e tu, quando ho finito, ci racconti qual è la tua visione, così da dare una lezioncina a tutti coloro che si fanno mandare telegrammi falsi per ottenere il permesso. Xiao Niu, non serve che dici altro, basta solo che spieghi per filo e per segno la verità, e cioè che non sei venuto a chiedere il permesso, né al primo né al secondo telegramma, perché avevi a cuore la compagnia. La forza del buon esempio non ha confini. È più potente un esempio vivente come il tuo che un’intera giornata di lavoro politico-ideologico come il mio. Poi quando hai finito ci mettiamo tutti a tavola e dopo cena tutti quelli che si sono fatti spedire telegrammi falsi ti accompagnano alla stazione.”
Detto ciò il tutor prese il thermos per riempirgli nuovamente il bicchiere, ma intanto un filo d’esitazione corse allungandosi come una fontanella sul viso di Xiao Niu. “Non devi farlo per forza”, gli disse l’altro mentre gli dava le spalle per riporre il thermos. “Non occorre che parli se non ti va, io lo so che il motivo delle tue azioni non era né di far sapere a tutta la compagnia quanto profonda è la tua coscienza né di dare a tutti il buon esempio.” Xiao Niu allora puntò il sedere sulla sedia e, col bicchiere pieno in mano, fece ruotare il busto verso di lui: “Signor tutor”, disse, “non ci voglio più tornare a casa, non lo chiedo più il permesso!”
Al che l’altro, chino a posare il thermos, rimase bloccato in quella posizione e, voltando la testa con un’espressione fra lo sgomento, il perplesso, e il deluso, esclamò: “Cosa?” “Niente,” rispose Xiao Niu, “penso solo che sia meglio non tornare.” Il tutor posò il termos a terra, si raddrizzò girandosi del tutto, e sbottò: “Ma così non va! Ragazzo mio, come puoi non andare a casa neanche per la morte di tua madre? Come puoi esser degno di tua madre? Come puoi esser degno di tuo padre? E dei tuoi fratelli, le tue cognate, della tua stessa coscienza?” Quella raffica di domande, severe e sferzanti, sembrarono non solo esigere che Xiao Niu cambiasse di nuovo idea dopo che l’aveva appena cambiata, ma pure che facesse autocritica. Lui però testardo balzò in piedi, mollò sul tavolo il bicchiere – né rovesciò perfino l’acqua, ma non si preoccupò di asciugare – e si volse per spiegare concitato: “Signor tutor, non mi deve criticare: poco fa ho fatto i conti, mia madre è morta ieri, il telegramma è arrivato oggi, anche se stasera prendo il treno arrivo comunque a casa domani a notte fonda, se tutto va bene… poi sceso dal treno devo correre a prendere l’ultima corriera per il paese e se la perdo mi tocca aspettare fino alla mattina dopo. Pensate, signor tutor, con questo caldo… Il corpo di mia madre per tradizione può stare in casa solo tre giorni, e cioè ieri, oggi e domani… Mia madre sarà sepolta domani in mattinata, mentre io in ogni caso non riuscirò a esser là prima del tramonto, ditemi come faccio ad arrivare in tempo… E visto che non riesco ad arrivare per il funerale, visto che non riesco ad accompagnarla per la sepoltura, tanto vale che me ne torni a casa un po’ più avanti.”
Il tutor, in piedi davanti al letto e con il thermos a fianco sul pavimento, fissò Xiao Niu come se fosse un bambino improvvisamente diventato adulto: non osava credere che avesse preso una simile risoluzione, né osava credere che fosse stato in grado di snocciolare davanti a lui tutta quella sequela di complicatissimi calcoli aritmetici e rapporti causa-effetto. Pareva un professore che, pur avendo preso atto che le risposte erano tutte corrette, stentava ancora a credere che a risolvere quelle difficili operazioni fosse stato il ragazzino che aveva davanti, e dunque fissava quel viso da bambino come se fosse un estraneo, finché non aveva riconosciuto che era stato proprio lui, senza aiuto, a scrivere le soluzioni corrette sul quaderno. Perciò gli si avvicinò piano, e scandendo lento e premuroso gli disse: “Xiao Niu, il mio consiglio resta quello di andartene a casa stasera stessa senza pensare al lavoro della compagnia. Se però decidi che stasera proprio non vuoi partire, va’ almeno a fare un’interurbana a casa per dire a tuo padre che tornerai fra qualche giorno non appena avremo finito il lavoro della compagnia. E di’ a lui e ai tuoi fratelli di essere aperti e di non seppellirsi nel dolore adesso che la mamma non c’è.”
Xiao Niu allora corse a rotta di collo all’ufficio postale per telefonare ai vicini di casa, e, dato che quelli non rispondevano, si contentò di mandare un telegramma urgente che i suoi avrebbero potuto ricevere prima di notte. Ciò che scrisse fu: Papà, fratelli, cognate, secondo calendario solare mamma compiuto 60 anni, domani fate funerale come matrimonio. Torno finito lavoro, perdonate. Poi come lo ebbe completato lo rilesse con attenzione per due volte, gli sembrò conciso e d’immediata comprensione, sicché lo consegnò all’impiegato e dopo aver pagato se ne tornò leggero e fischiettante alla caserma. Quindi raggiunse immantinente la compagnia per l’addestramento.
[1] La festa dell’esercito è celebrata in Cina il primo agosto per commemorare la data in cui secondo la storiografia del Partito Comunista sarebbe stato fondato l’Esercito di Liberazione, il primo agosto 1927.
[2] La frase, la cui paternità è attribuita al pensatore neoconfuciano Fan Zhongyan (989-1052), riassume il dovere etico fondamentale del gentiluomo confuciano.
[3] Lei Feng (1940-1962), soldato dell’Esercito di Liberazione apparentemente morto in circostanze accidentali, è il modello esemplare più noto dell’epoca maoista, simbolo per eccellenza di totale altruismo e assoluta dedizione alla patria e al partito.
Testo e traduzione a cura di Marco Fumian.
[Tratto dalla collona Asiasphere, Roma, 2017]