I marchi cinesi si stanno facendo largo nell’industria automobilistica, con una formula (per ora) vincente: puntare sull’elettrico. Il boom delle esportazioni sta spaventando anche Tesla e paesi produttori storici come Germania e Giappone
Prima del 2022 nessun cinese aveva mai corso in Formula 1, cioè nella classe regina degli sport automobilistici. Il primo a farlo è diventato Zhou Guanyu (周冠宇): 23 anni, nato a Shanghai ma con una vita sportiva (per forza di cose) tutta europea, e anche molto italiana. Corre per l’Alfa Romeo, un marchio italiano – però con team svizzero, Sauber – in un campionato che da tempo è mondiale ma che ha solide radici europee. Dove negli ultimi anni ha dominato una casa tedesca, Mercedes, poi scalzata da una monoposto austriaca con motore giapponese, la Red Bull.
Insomma, la Formula 1 è da sempre il riflesso sportivo e pomposo dell’industria dell’auto, l’eccellenza di un settore che produce team e piloti come risultato della cultura e dell’interesse nazionale verso le quattro ruote. E se prima del 2022 o degli anni ’10 del 2000 associare la Cina alle potenze del mondo automobilistico risultava stonato, oggi le evidenze del mercato (lo stesso a cui guarda la Formula 1 “ingaggiando” Zhou) raccontano un’altra storia.
I numeri dell’industria automobilistica cinese
Lo scorso anno in Cina sono state vendute 23,5 milioni di automobili. Non è un dato sorprendente (per quanto in rialzo del 9,5% rispetto al 2021), visto che dal 2009 quello della Repubblica popolare è il mercato automobilistico più grande al mondo, di gran lunga davanti a quelli di Stati Uniti e India (che ha superato il Giappone). Ci sono però due grandi novità.
La prima è rappresentata dal contributo sempre maggiore portato dai veicoli ibridi ed elettrici (NEV) sul totale: sono 6,8 milioni quelli venduti nel 2022 (con 5,3 milioni di auto elettriche “pure”), un aumento di oltre il 93% anno su anno.
La seconda è invece frutto del dato sulle esportazioni. Dalla Cina sono infatti state esportate circa 2,5 milioni di autovetture, un valore che preso da solo posizionerebbe Pechino al terzo posto dietro a Giappone e Germania, ma che sommato ai 580.000 veicoli “commerciali” venduti (furgoni, autobus, camion) rende già da quest’anno la Repubblica popolare il secondo paese al mondo per export, superata solo dalle aziende giapponesi.
Anche in questo caso sono l’ibrido e l’elettrico a fare la differenza (680.000 veicoli sull’export totale). Dopo decenni in cui le industrie di Pechino hanno venduto fuori dai propri confini soprattutto auto di marchi stranieri prodotti in Cina o al limite acquisiti da aziende estere (come Volvo, ad esempio), ora sono proprio le case cinesi come BYD, Xpeng e Nio ad aver iniziato a espandersi in altri mercati, in particolare in Medio Oriente e America Latina. E la caratteristica che accomuna tutti i maggiori esportatori cinesi è proprio l’aver puntato con decisione sui veicoli NEV.
Tesla, l’Europa e la “minaccia cinese”
Oggi il 4% delle auto che circola in Cina sono NEV (13 milioni di vetture). Se è vero che le Tesla prodotte nelle fabbriche del paese rappresentano ancora quasi il 50% dell’export elettrico, BYD sta rapidamente recuperando terreno e nel 2022 ha battuto per la prima volta la società di Elon Musk per auto vendute nel corso dell’anno (1,86 milioni, considerando però anche l’ibrido).
Per lo stesso Musk i veri avversari di Tesla non stanno né negli Stati Uniti, né in Giappone o in Germania. “[I cinesi] lavorano più duramente e in modo più intelligente, quindi supponiamo che un’azienda seconda a Tesla possa emergere in Cina”, ha dichiarato alla stampa il numero uno anche di Twitter.
Per cercare di recuperare il terreno perso nel 2022 a favore dei marchi dell’elettrico di Pechino, Tesla ha annunciato una serie di sconti per il mercato cinese, che per ora stanno funzionando. Xpeng e Aito (il marchio automobilistico di Huawei) hanno risposto abbassando a loro volta i prezzi. Nel frattempo, chi ha davvero paura della “minaccia cinese” – come la descrive Forbes – sono le case europee. Il CEO di Stellantis, Carlos Tavares, ha detto che “per combattere” il settore automobilistico della Repubblica popolare servirebbe avere “strutture di costo comparabili”, altrimenti l’Europa dovrebbe “chiudere almeno in parte i propri confini ai rivali cinesi”.
Il futuro dell’automobile cinese (e non solo) è elettrico
All’interno della catena produttiva, i nuovi stabilimenti automobilistici in Cina utilizzano un numero di robot tra i più alti al mondo. Secondo le stime di Forvia, uno dei maggiori fornitori del settore a livello globale, in media le case cinesi possono costruire un veicolo elettrico per 10.000 dollari in meno rispetto alle controparti europee e questo – nonostante qualche inciampo – rispettando i più alti standard di sicurezza europei.
Con l’avvento dell’elettrico il motore non è più un elemento di differenziazione tra le varie case, una condizione che ha permesso alle aziende di Pechino di costruirsi una filiera da zero. La conseguenza è che al momento il mercato mondiale delle batterie per auto è dipendente per larghissima parte dalla Cina (CATL è il principale produttore globale), e ci sono marchi che si fanno tutto in casa. BYD ne è l’esempio lampante: nata come società produttrice di batterie, BYD oggi monta quelle stesse batterie all’interno delle proprie automobili. L’azienda ha poi intenzione di espandersi e creare una propria logistica delle spedizioni, e ha già avviato contatti in Africa e in Cile per accaparrarsi contratti sull’estrazione di litio per le batterie. Lo stesso ha fatto recentemente CATL in Bolivia, tra le resistenze anti-minerarie della popolazione locale.
Le possibilità tecnologiche, sommate al basso costo della manodopera e a una serie di incentivi governativi (alcuni sussidi all’acquisto di auto elettriche sono durati anni e sono scaduti solo il 1° gennaio 2023) hanno permesso al settore di non avere rivali di prezzo nel mondo.
A partire dal 2035 l’Unione Europea non permetterà più la vendita di auto a combustibili fossili all’interno dei suoi confini. L’elettrico, ancora mercato per pochi, rappresenta al momento l’unica certezza (con i biocarburanti sullo sfondo) per il futuro del settore automobilistico. La Repubblica popolare ci ha puntato da tempo: tra 20 anni la Formula 1 potrebbe aver visto passare ben più di un pilota cinese.
A cura di Francesco Mattogno