La provincia di Kieng Giang, che bordeggia il mare fino al confine cambogiano è – come un po’ tutto il Delta del Mekong – un allevamento di pesci a cielo aperto cui fan da contraltare le risaie. Se a Milano o a Roma chiedete al ristorante spaghetti ai frutti di mare o un risotto ai gamberetti, è molto facile che vengano da qui, dai vivai che – sul fiume, nel mare, persino nelle case – allevano pesci a gamberi di varia specie. E se non è ancora così – perché il vostro ristoratore serve gamberetti indiani surgelati (il maggior esportatore mondiale) – è solo questione di tempo.
Il Vietnam, che è al terzo posto nell’export mondiale del gambero surgelato, da quest’anno darà l’assalto al mercato europeo, il più grande consumatore di questo crostaceo. Potrà infatti sfruttare una tariffa preferenziale grazie all’accordo di libero scambio Ue-Vietnam (Evfta), firmato il 30 giugno 2019. Truong Dinh Hoe, segretario generale dell’Associazione degli esportatori e produttori di pesce del Vietnam, si dice sicuro del grande balzo in avanti del gambero vietnamita. Ma non c’è solo il pesce.
L’area del Delta del Mekong, la cosiddetta «ciotola di riso» del Paese, produce parte del cereale che vale quasi l’1% dell’export di una nazione che ha la bilancia commerciale in attivo: 220 miliardi di dollari contro 204.
Lungo le strade dei miseri paesini della provincia, stuoie ricolme di pepe fan bella mostra accanto al pesce essiccato da cui si ricava il Nuoc Mam, la gradevolissima colatura per cui è famosa la vicina isola di Phu Quoc. I gourmet considerano il pepe locale tra i migliori del mondo. Un chilo al bazar può arrivare a 4 euro al chilo (più o meno il prezzo del mercato internazionale dominato dal pepe indiano). E che dire poi del caffè, in grado di rivaleggiare con le tostature nazionali. Ma se ci limitassimo agli alimenti saremmo davvero fuori strada.
Membro dell’Asean dal 1995 e del Wto dal 2007, il Vietnam è tra i sostenitori della Regional Comprehensive Economic Partnership (Rcep), che integrerà in una cornice unica i Paesi del Sudest asiatico con Cina, Corea, Giappone, Australia, Nuova Zelanda e India (che però rema contro), costituendo un network pari alla metà della popolazione globale e a 1/3 del Pil mondiale.
La sua struttura industriale è costituita al 96% da piccola e media industria in forte ascesa. Specializzata. Le principali esportazioni del Vietnam sono infatti apparecchiature di teleradiodiffusione, telefoni e circuiti integrati che, assieme, totalizzano oltre 60 miliardi, quasi un terzo del’export Seguono tessile e calzature di cuoio.
Il comparto delle importazioni va di pari passo: circuiti integrati e telefoni per oltre 25 miliardi, petrolio raffinato, parti elettriche. Secondo il governo di Hanoi, il trend guidato dai circuiti integrati vale il 7,6% dell’import totale seguito dai cellulari (5%). I suoi mercati esteri principali sono quelli di due nemici storici: Stati Uniti, che comprano per 46 miliardi, e Rpc che compra per 40. Seguono Giappone, Corea del Sud e Germania, il Paese europeo forse meglio piazzato in Asia. Il Vietnam invece compra quasi tutto «in casa»: da Cina, Corea, Giappone e dalle due città Stato di Singapore e Hong Kong.
Se dunque al grande balzo in avanti non partecipano solo i gamberi e se l’economia di questo Paese, vessato da decenni di guerre, sta dimostrando una vivacità formidabile, una voce importante del mercato vietnamita è anche il turismo: nel 2019 il Vietnam ha “importato” circa 18 milioni di arrivi internazionali. Erano poco più di due nel 2000. Se c’è una cosa che il Vietnam non ha imparato dai gamberi, verrebbe da dire, è andare all’indietro.
Di Emanuele Giordana
[Pubblicato su il manifesto]