Le oscillazioni nel rapporto tra Cina e Russia, i timori di Giappone e Corea del sud, la questione Taiwan, le preoccupazioni di Filippine e Vietnam: come sta l’Asia orientale due anni dopo il 24 febbraio 2022
Camminando nel parco della pace di Nagasaki, viene da chiedersi se davvero l’Asia orientale rischi di diventare “la prossima Ucraina”, come ripetuto più volte dal primo ministro giapponese Fumio Kishida. Da due anni, in Asia tutti provano a esorcizzare il grande spavento personale. Il Giappone è stato l’unico a esplicitarlo, ma Taiwan e Filippine temono che la Cina diventi più aggressiva sul fronte militare. India e Vietnam rischiano di non poter più approfittare delle asimmetrie del rapporto sinorusso. La Corea del sud si sente sempre più esposta a Kim Jong-un. Per la Cina, invece, lo spavento è stato triplice: l’ipotesi di una caduta di Vladimir Putin, le ripercussioni sui rapporti internazionali (a partire da quelli con l’occidente) per quella intempestiva etichetta di “amicizia senza limiti” con la Russia, il timore di una crisi indotta nel suo vicinato dalle manovre degli Usa e della stessa Mosca.
In questi due anni è successo e cambiato molto, tranne la posizione ufficiale della Cina sulla guerra in Ucraina. Rispetto dell’integrità territoriale ma anche delle legittime preoccupazioni di sicurezza di tutti i paesi sono i due principi chiave. Il sostanziale stallo sul campo e la stanchezza diffusa in occidente hanno facilitato il compito di equilibrismo. Pechino è rassicurata dall’apparente stabilità interna della Russia dopo il caso Prigozin, ma anche dalla sostanziale inefficacia delle sanzioni occidentali. Complice la nuova crisi in Medio oriente, l’impalcatura diplomatica cinese del negoziato e del cessate il fuoco pare diventata più presentabile anche al di fuori del circolo Brics (peraltro allargato con 5 nuovi ingressi proprio su spinta cinese) e del cosiddetto Sud globale.
Il sostegno politico a Mosca è rimasto saldo: Xi Jinping ha visitato Putin a marzo, ricevendolo poi a ottobre. Spariti però tutti i riferimenti all’etichetta “amicizia senza limiti”, implicitamente rinnegata da parte cinese. Sul fronte economico, la Russia è diventato il primo fornitore di petrolio greggio della Cina, superando l’Arabia saudita. Ma Pechino non sembra avere fretta sul Power of Siberia 2, il super gasdotto che dovrebbe aiutare Mosca a fare a meno delle importazioni europee.
La sensazione è che il rapporto abbia raggiunto un picco oltre il quale non è semplice andare. Anzi, da febbraio le banche cinesi, anche nei loro ruoli di intermediari e banche riceventi, hanno intensificato il controllo sui trasferimenti di denaro dalla Russia alla Cina, creando nuovi ostacoli alle società cinesi in affari con Mosca. Segnale che Xi non intende partecipare a “guerre sante” al fianco di Putin.
Anzi, in Cina c’è chi guarda con qualche preoccupazione alle manovre orientali di Mosca. “La Cina dovrebbe stare all’erta per le potenziali mosse della Russia volte a creare problemi alle sue porte”, ha detto di recente Fang Ning, ex direttore di uno dei principali think tank sostenuti dallo Stato. Il pensiero va alla penisola coreana e all’incontro tra Putin e Kim Jong-un dello scorso settembre e all’annunciata prossima visita a Pyongyang del presidente russo. Ormai pare acclarata la fornitura di armi e missili nordcoreani a Mosca, così come consulenza e trasferimento tecnologico russo utile a Kim a mettere in orbita il suo primo satellite spia. Kim ha peraltro anche emendato la costituzione per indicare la Corea del sud “nemico principale e immutabile”.
A Seul e a Tokyo, dove i due leader Yoon Suk-yeol e Fumio Kishida hanno diversi problemi interni tra elezioni legislative e scandali su borse Dior regalate e finanziamenti illeciti, già guardano con timore a un possibile ritorno di Donald Trump. Il rilancio dell’alleanza trilaterale con gli Usa dell’ultimo anno potrebbe traballare, così come il sostegno di Washington alle Filippine, protagoniste di diversi incidenti navali con Pechino sul mar Cinese meridionale. Il punto interrogativo più grande resta sempre Taiwan, dove ci si aspetta un nuovo innalzamento delle tensioni a cavallo dell’insediamento a maggio del neo presidente Lai Ching-te, il più inviso a Xi e convintamente filo ucraino. Eppure, una recente inchiesta di The Insider ha svelato che proprio Taipei è il principale fornitore (indiretto) di alta tecnologia della Russia.
Una tendenza onnipresente in Asia orientale da quel 24 febbraio 2022 è quella del riarmo. “Ma non sarebbe meglio usare i soldi per aiutare gli sfollati del terremoto di Capodanno?”, dice un anziano giapponese. Pochi metri dietro di lui, le rovine della cattedrale di Urakami.
Di Lorenzo Lamperti
[Pubblicato su il Manifesto]
Classe 1984, giornalista. Direttore editoriale di China Files, cura la produzione dei mini e-book mensili tematici e la rassegna periodica “Go East” sulle relazioni Italia-Cina-Asia orientale. Responsabile del coordinamento editoriale di Associazione Italia-ASEAN. Scrive di Cina e Asia per diverse testate, tra cui La Stampa, Il Manifesto, Affaritaliani, Eastwest. Collabora anche con ISPI. Cura la rassegna “Pillole asiatiche” sulla geopolitica asiatica.