Le dinastie politico famigliari hanno forse il loro terreno più fertile in Asia. I monarchi sono pochi e per lo più relegati a un ruolo cerimoniale. Sono invece le grandi famiglie politiche a rappresentare le altrettanto grandi dinastie asiatiche contemporanee che han dettato e ancora dettano legge a tempo alterno o permanente
Di dinastie coronate è pieno il pianeta. Resistono persino nella Vecchia Europa dove la “culla della democrazia” deve ancora negoziare appannaggi, benefici e proprietà con le antiche, e ormai ex, case regnanti: dalla Spagna al Belgio, dalla Svezia a un’isola che ancora si chiama “Regno unito”. Sono più rari e in via d’estinzione i casi dove il potere monarchico si fonde col potere politico o dove la corona mantiene comunque un ruolo più che cerimoniale.
ANCHE L’AMERICA del Sud ha le sue dinastie dove famiglia e potere si intrecciano: Fidel Castro ha scelto il fratello Raul e l’Argentina si affidò al generale Peron e alle sue due mogli, pur se in America Latina l’unica dinastia forte è sempre stata quella della casta militare. L’Africa porta il segno di dinastie dove ricorre per decenni lo stesso nome, magari legato a uno dei periodi più importanti del continente: la liberazione dal giogo coloniale. Su questo ha giocato in Kenya Uhuru Kenyatta, figlio di Jomo, che però ora ha dovuto cedere lo scettro.
In Ciad Mahamat Déby ha preso il posto del padre morto un anno e mezzo fa e così, nella Repubblica democratica del Congo, Laurent-Désiré Kabila: ucciso da una guardia del corpo nel 2001, fu sostituito dal figlio trentenne Joseph. I Kabila imponevano la loro dinastia dopo quella monocratica e longeva di Mobutu SeSe Seko, al potere per 32 anni come il suo omologo indonesiano Suharto, presidente e generale golpista poi rovesciato dai suoi stessi generali.
A ben vedere le dinastie politico famigliari hanno forse il loro terreno fertile proprio in Asia. I monarchi sono pochi e per lo più relegati a un ruolo cerimoniale come nel caso del re cambogiano Norodom Sihamoni, figlio di quel Norodom Sihanuk che abdicò al trono: fu noto come il “principe rosso” per le sue simpatie socialiste assai simili a quelle di un altro blasonato “rosso”, il laotiano Souphanouvong che rappresentava l’ala antiamericana durante la guerra del Vietnam mentre il fratellastro (nero) Souvanna Phouma e il principe (bianco) Boun Oum erano l’ala filoamericana e quella neutralista. Poi c’è il re della Thailandia. Un re che conta molto e guai a parlarne male.
MA SONO LE GRANDI famiglie prettamente politiche a rappresentare le altrettanto grandi dinastie asiatiche contemporanee che han dettato e ancora dettano legge a tempo alterno o permanente. Quella dei Kim è forse la più inossidabile e intoccabile: da Kim il-sung passando per Kim jong-il per finire con l’attuale Kim Jong-un, la famiglia della Corea del Nord più che di rosso è tinta del colore della fame e del silenzio imposti ai sudditi del Partito rifugio che è la loro casa madre.
Solo poche settimane fa, una “coppia dinastica” è stata eletta alla guida delle Filippine: la figlia del presidente uscente Rodrigo Duterte – Sara, ora vicepresidente – e “Bongbong” Marcos jr., figlio dei sinistri dittatori Ferdinand senior e Imelda, rovesciati nel 1986.
IN INDIA, la famiglia Gandhi ha dettato legge per decenni. Indira Gandhi (nulla a che fare col Mahatma), è stata l’emblema della continuità di una dinastia che ha dato all’India tre primi ministri due dei quali assassinati. Proseguiva il lavoro del padre, Jawaharlal Nehru, primo premier indiano dopo la fine del Raj britannico. Donna dal carattere di ferro (cui probabilmente si ispirava la britannica Margaret Thatcher), madre della “rivoluzione verde” e dell’atomica indiana, Indira dominava il Partito del Congresso dove gli succedette il figlio Rajiv.
Nel vicino Pakistan un’altra dinastia è quella dei Bhutto: Benazir è forse la più nota ma il padre, di ispirazione laico socialista, fu un grande personaggio. Finì impiccato da un generale golpista. La loro dinastia ancora comanda nella provincia del Sindh e ancora gioca in parlamento con Bilawal, figlio di Benazir. È già stato ministro ed è a capo del Partito del popolo o meglio del Partito di famiglia.
FAMIGLIA importante e dinastica sono i Rajapaksa nello Sri Lanka: potere politico e affari. Ma forse la palma della dinastica declinata in famiglia spetta al Bangladesh, governato ormai da decenni da due signore che proseguono il lavoro di padre e marito: Sheikh Hasina (classe 1947), figlia del primo presidente del Paese, Mujibur Rahman, con 18 anni di servizio come primo ministro, è la più longeva donna premier del pianeta. Ma ha sempre dovuto fare i conti con la rivale Khaleda Zia (1945), conservatrice e moglie di Ziaur Rahman, presidente del Bangladesh ucciso nel 1981. È stata premier anche lei e non molla. Due dinastie politiche che non temono di invecchiare.
Di Emanuele Giordana
[Pubblicato su il manifesto]