Inizia la collaborazione tra China Files e Istituto Affari Internazionali. “Dall’Atlantico al Pacifico”: ogni due mesi un mini dossier con due diverse analisi sugli ultimi sviluppi delle relazioni tra Stati Uniti, Cina e il resto dell’Asia – Introduzione (Francesca Ghiretti) – “Personnel is policy”: segnali Usa all’Asia dalle nomine di Biden (Lorenzo Mariani)
Rassicurazione. È quello che vorrebbero da Joe Biden i partner asiatici degli Stati Uniti. Ma chi pensa al ritorno al Pivot to Asia di obamiana memoria deve tenere a mente che nel frattempo l’Asia è cambiata: la Cina è cresciuta ancora e le potenze medie regionali si sono mosse per poter provare a fare a meno di un partner americano diventato improvvisamente imprevedibile. Riaffermare il ruolo di guida morale di Washington in Asia e costruire una “grande alleanza” per contenere Pechino non sarà impresa semplice.
Partiamo dal Giappone. Subito dopo l’insediamento del 20 gennaio, sono arrivate in rapida successione le telefonate di Jake Sullivan, Lloyd Austin, Antony Blinken con gli omologhi nipponici e di Biden con il primo ministro Suga Yoshihide. In tutti i colloqui è stato ribadito che la difesa di Tokyo sulle Senkaku, le isole contese con la Cina sulle quali la tensione si è innalzata negli scorsi mesi, rientra sotto l’ombrello del trattato di sicurezza bilaterale. È stato inoltre raggiunto un accordo annuale sulla divisione delle spese per il mantenimento delle truppe americane sul suolo giapponese, mentre Tokyo sembra avvicinarsi sempre di più a diventare il “sesto occhio” dei Five Eyes, come dimostra la condivisione di materiale di intelligence sulla repressione degli uiguri nel Xinjiang.
Biden vuole aiutare alla soluzione della disputa tra Giappone e Corea del sud, tema emerso nel colloquio col presidente sudcoreano Moon Jae-in e in quello tra Blinken e la ministra degli Esteri Kang Kyung-wha (che ha da poco lasciato il posto al convinto atlantista Chung Eui-yong). Resta da risolvere la questione dei costi della difesa. Si va verso un aumento del 13 per cento dei contributi versati da Seul per la permanenza di circa 28 mila e 500 soldati statunitensi in Corea del sud. Cifre ben più contenute di quelle pretese da Trump, che chiedeva una crescita del 400%.
Biden vuole rivedere completamente la strategia sulla Corea del nord. L’intenzione, anche qui, è quella di muoversi “in maniera coordinata con Corea del sud e Giappone”, ha spiegato il portavoce del dipartimento di Stato Ned Price. La linea sarà più cauta. Segnali in tal senso arrivano dalla nomina a vice sottosegretario di Stato per Asia e Pacifico di Jung Pak, ex agente Cia nota per la sua opposizione ai vertici di Singapore e di Hanoi fra Trump e Kim Jong-un, per non parlare dell’incontro nella zona demilitarizzata. Durante l’ottavo congresso del Partito dei lavoratori, Kim ha lanciato un avvertimento a Biden definendo gli Stati Uniti “il più grande nemico” e insistendo sulla necessità di portare avanti il programma nucleare.
Chi invece già con Trump si è molto avvicinato agli Stati Uniti è l’India di Narendra Modi. Non solo per gli scontri militari lungo il confine conteso con la Cina, ai quali sono tra l’altro seguiti una guerra commerciale che prosegue con intensità. La presenza di Pechino nella tradizionale sfera d’influenza indiana è aumentata. Il Nepal si è spostato verso il Dragone anche sulle rivendicazioni territoriali, ma il subbuglio politico recente (con lo scioglimento anticipato del parlamento e il prossimo ritorno alle urne) lo sta facendo tornare contendibile. Il Bhutan resta più vicino all’India, mentre l’ombra cinese sull’oceano Indiano ha fatto sì che il rinnovo dell’accordo difensivo (un tempo mal sopportato) tra Usa e Maldive fosse salutato con inedito favore. Le origini di Kamala Harris, così come l’immediato richiamo di Biden al Quad, fanno pensare che l’idillio tra Washington e Nuova Delhi possa proseguire, ma ci sono ancora dei nodi da sciogliere. Per esempio sui diritti umani, sul quale si è registrata già qualche punzecchiatura a proposito delle proteste di massa dei contadini contro la riforma agraria.
Spostandosi a Sud-est, Biden proverà a rilanciare le relazioni con l’Asean, trascurato da Trump durante il suo mandato. La Casa Bianca cercherà di restaurare la storica alleanza con le Filippine, dopo che l’altalenante rapporto con Rodrigo Duterte ha messo a repentaglio il Visiting forces agreement, l’accordo che garantisce la presenza delle truppe americane nel Paese e l’attuazione del trattato di mutua difesa.
Chi ha mostrato grande decisione nell’opporsi all’assertività cinese sulle dispute marittime è il Vietnam, economia asiatica che è cresciuta maggiormente nel 2020 e principale beneficiario della guerra commerciale tra Usa e Cina. Washington punta su Hanoi: lo dimostra anche la scelta di non imporre sanzioni nonostante le accuse di manipolazione valutaria. La Cambogia appare invece più vicina a Pechino, come testimonia la visita del primo ministro Hun Sen nelle primissime fasi della pandemia. Eppure, anche qui arriva qualche segnale con la sospensione del Golden Dragon, l’esercitazione militare congiunta con Pechino che avrebbe dovuto svolgersi a marzo.
Ma per Biden il primo test nell’area arriva dal Myanmar. Il neo presidente ha approvato sanzioni ai leader del Tatmadaw, bloccando l’accesso a circa 1.3 miliardi di dollari di fondi del governo birmano negli Usa. Il tema dei diritti umani potrebbe creare più di qualche frizione anche con altri paesi, a partire dalla Thailandia, in una regione dove le proteste si stanno allargando così come la repressione dei governi.
In collaborazione con IAI – Istituto Affari Internazionali
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Classe 1984, giornalista. Direttore editoriale di China Files, cura la produzione dei mini e-book mensili tematici e la rassegna periodica “Go East” sulle relazioni Italia-Cina-Asia orientale. Responsabile del coordinamento editoriale di Associazione Italia-ASEAN. Scrive di Cina e Asia per diverse testate, tra cui La Stampa, Il Manifesto, Affaritaliani, Eastwest. Collabora anche con ISPI. Cura la rassegna “Pillole asiatiche” sulla geopolitica asiatica.