La problematica di sicurezza e crisi politica si somma all’endemica crisi economica del paese e alle importanti questioni climatiche e di inquinamento che aggravano la situazione generale
L’ex Primo ministro Imran Khan è stato tratto in arresto dalla polizia pakistana il 9 maggio ad Islamabad. L’atto della polizia, ordinato dalla corte di Islamabad che si occupa del caso di corruzione nel quale è implicato, ha causato l’aggravarsi delle rivolte in tutto il paese fino ad uno stato di violenza che la polizia fatica a reprimere e che ha portato a migliaia di arresti e numerosi feriti (oltre a morti) nelle principali città.
Per il partito dell’ex premier i morti fra la folla sarebbero oltre 50 mentre le fonti ufficiali riferiscono comprensibilmente numeri più contenuti. Il clima che sta raggiungendo livelli di allerta preoccupanti specialmente in Punjab e in Belucistan è stato fomentato dai sostenitori del Party Tehrik-e-Insaf (PTI) a partire dalla dismissione di Imran Khan avvenuta un anno fa. Tuttavia sembra che il limite di una guerra civile si stia pericolosamente avvicinando.
La problematica di sicurezza e crisi politica si somma all’endemica crisi economica del paese e alle importanti questioni climatiche e di inquinamento che aggravano la situazione generale. Il Pakistan ha più volte rischiato il default ottenendo un ingente prestito dal FMI al prezzo di importanti misure di tassazione. Le trattative con l’agenzia ONU hanno portato ad un complesso programma di bail out del quale è attesa la parte finale di aiuti che tuttavia non è ancora scontata dato che la commissione del FMI non ha ancora valutato sufficienti gli sforzi del paese. In particolare il Pakistan dovrebbe concentrare i propri sforzi per creare attrattiva di investimenti (non speculativi) in campo finanziario e ristabilire un ambiente sicuro e pertanto appetibile per gli investimenti.
L’emergenza climatica ha duramente colpito il paese nel 2022 in occasione della stagione monsonica, durante la quale copiosissime e torrenziali piogge hanno causato la morte di circa 1700 persone e ingentissimi danni alle infrastrutture. Oltre a ciò le città principali come Karachi e Lahore hanno raggiunto un livello di inquinamento atmosferico proibitivo e i casi di malattia legati ad esso si stanno ormai moltiplicando.
Questo serve a dare un quadro generale che sommato a quello della sicurezza (che vede le rivolte politiche affiancate all’instabilità etnica) disegna il grave clima che il paese del Subcontinente sta affrontando. Le rivolte in corso sono tanto più preoccupanti poiché a seguito della mobilitazione dell’esercito avvenuta il 10 maggio grosse porzioni della popolazione hanno affrontato direttamente i militari o attaccato le infrastrutture pertinenti all’esercito, i cosiddetti cantonment. Data la storia del Pakistan, segnata da tre periodi di dittatura con le figure di quattro autocrati a dominare il panorama politico: Mohammad Ayub Khan, Agha Mohammad Yahya Khan, Mohammad Zia ul-Haq e Pervez Musharraf, uno scontro diretto fra esercito e popolazione potrebbe trascinare il paese in un ulteriore rischio di colpo di stato militare. Il bilanciamento democratico fra le forze partitiche che il paese sembrava essere sul punto di ottenere con l’utilizzo di strumenti costituzionali potrebbe essere rimesso in crisi sei l’instabilità attuale trascinasse il paese in una guerra civile, spettro che ormai non appare lontano.
Di Francesco Valacchi