Alla fine di aprile del 1959 uno studente della contea cinese di Xishui viene avvisato delle condizioni disperate in cui versa il padre adottivo: lo raggiunge al più presto e lo trova a letto, « gli occhi incavati e spenti », la mano scheletrica che abbozza a stento un cenno di saluto. Ormai incapace di deglutire anche solo una zuppa di riso, morirà tre giorni dopo. In un primo momento Yang Jisheng non ha esitazioni: si tratta di una tremenda, inevitabile sventura. La cieca obbedienza che gli è stata inculcata non lascia spazio a dubbi o critiche, e non lo sfiora neppure l’idea che il governo e il Grande Balzo in avanti propagandato in quegli anni possano essere la causa della sua perdita. La fedeltà al partito si incrinerà con la Rivoluzione culturale, e nei primi anni Novanta, ormai consapevole dell’amnesia storica cui il potere condanna i cinesi, Yang Jisheng, ex giornalista dell’agenzia di stampa Xinhua, comincerà a indagare, a interrogare documenti, a raccogliere testimonianze. Scoprirà che la carestia di cui il padre è rimasto vittima ha ucciso in Cina, tra il 1958 e il 1962, 36 milioni di persone, ridotte a cibarsi di paglia di riso, guano di airone, topi ed erbe selvatiche – quando non di cadaveri. Lapidi (Adelphi Edizioni, Milano 2024) è il libro-inchiesta con cui Yang ha portato alla luce l’eccidio provocato dal regime maoista. China Files ve ne propone un estratto per gentile concessione dell’editore
La tragedia che si era abbattuta sulla mia famiglia ne colpì altre decine di milioni in tutto il Paese. Come i lettori avranno modo di constatare nel capitolo 12, le diverse fonti che ho consultato, cinesi e straniere, confermano che in Cina, nel periodo tra il 1958 e il 1962, morirono di fame 36 milioni di persone. Poiché la fame provocò un calo del tasso di natalità, si registrarono anche 40 milioni di nascite in meno.
In molte province, quasi tutte le famiglie subirono almeno una perdita a causa della fame, e in diverse famiglie non sopravvisse nessuno. Interi villaggi si svuotarono. Fu proprio come scrisse Mao Zedong in una sua poesia: « In mille villaggi coperti d’erbacce gli uomini morivano, in diecimila case deserte i demoni cantavano».
Come ci si rappresenta la morte per fame di 36 milioni di persone? È una cifra equivalente a 450 volte il numero delle persone uccise dalla bomba atomica sganciata su Nagasaki il 9 agosto 1945; è pari a 150 volte il numero delle vittime del terremoto di Tangshan del 28 luglio 1976; supera persino il numero dei morti della prima guerra mondiale. Il totale delle vittime della Grande Carestia è di gran lunga più alto anche di quello della seconda guerra mondiale: durante i vari conflitti vi furono infatti tra i 40 e i 50 milioni di morti distribuiti in Europa, Asia e Africa nell’arco di sette o otto anni. In Cina morirono 36 milioni di persone nel corso di tre o quattro anni, e nella maggior parte dei casi i decessi si concentrarono in un solo semestre.
Si tratta di un numero di vittime che non regge lontanamente il paragone con nessun’altra carestia nella storia della Cina. Quella che contò il più alto numero di morti si verificò negli anni 1928-1930 e interessò 22 province: nonostante avesse battuto il record storico, le vittime furono solo 10 milioni. In diciassette anni, tra il 1920 e il 1936, le carestie provocarono un totale di 18,36 milioni di decessi.
Li Wenhai e gli altri autori dei volumi Annali delle carestie nella Cina moderna e Le dieci più grandi carestie degli ultimi anni in Cina ritengono che le cifre sopra riportate siano eccessive. Secondo loro, tra il 1928 e il 1930, ossia il massimo picco, il numero dei morti non raggiungerebbe i 6 milioni.
L’esondazione del Fiume Azzurro nel 1931 fece 140.000 vittime. Il numero delle persone che morirono di fame tra il 1958 e il 1962 fu di gran lunga superiore a quello delle vittime dei più gravi disastri naturali accaduti nella storia della Cina.
Niente urla strazianti e pianti disperati, nessun vestito a lutto, nessuna cerimonia, nessun petardo scoppiato o banconota rituale bruciata per accompagnare i morti alla sepoltura. Non c’erano empatia, dolore, lacrime, sbigottimento o terrore. Decine di milioni di persone scomparvero così, nel silenzio e nell’indifferenza.
In alcune località i cadaveri furono ammucchiati sui carri e trasportati sino alle fosse comuni alle porte dei villaggi; là dove erano mancate le forze per seppellirli si vedevano braccia e gambe spuntare dalla terra. In altri luoghi i corpi giacevano ai bordi delle strade, dove erano crollati mentre cercavano da mangiare. A molti cadaveri, rimasti per lungo tempo dentro casa, i topi rosicchiarono naso e occhi.
Nell’autunno del 1999 mi recai in un villaggio dello Henan, dove la carestia aveva provocato danni devastanti. Yu Wenhai, un anziano contadino locale, mi condusse in un campo di frumento nei pressi di un boschetto fuori dal villaggio. «Là dove crescono gli alberi » mi disse « c’era una fossa comune, c’è stato sotterrato un centinaio di cadaveri ». Se non fosse stato Yu Wenhai, un testimone, a renderlo noto, nessuno avrebbe potuto sapere che sotto alle rigogliose pianticelle di grano e agli alberi svettanti era se-
polta un’orribile tragedia.
La fame che si prova prima di morire è ancora più terribile della morte stessa. Divorate le pannocchie, le erbe selvatiche e la corteccia degli alberi, per colmare la voragine nello stomaco i contadini ricorrevano a fibre del cotone, guano e ratti. Nei luoghi di estrazione della «terra di Guanyin», gli affamati, mentre scavavano il suolo, si riempivano la bocca di argilla a manate. I corpi dei morti, dei forestieri venuti da lontano in cerca di qualcosa per nutrirsi e addirittura dei propri cari divennero cibo per placare la fame.
In quel periodo il cannibalismo non era un fenomeno raro. Gli annali antichi riportano l’espressione « scambiarsi bambini per mangiarli », ma nel corso della Grande Carestia furono registrati numerosi casi di genitori che mangiarono i propri figli. Io stesso ho incontrato persone che si nutrirono di carne umana e le ho sentite descriverne il sapore. Dall’analisi delle fonti attendibili che ho raccolto si può concludere che, in tutto il Paese, i casi di cannibalismo furono migliaia.
Nei capitoli relativi alle province esamino queste tragedie nel dettaglio. Si tratta di una catastrofe senza precedenti nella storia dell’umanità: decine di milioni di persone morte di fame e cannibalismo diffuso in condizioni climatiche normali e in assenza di guerre o epidemie. I libri, i giornali e i documenti ufficiali della Cina di quell’epoca e dei decenni successivi tentarono in tutti i modi di eludere e nascondere questa colossale tragedia.
Anche i quadri di tutti i livelli tennero la bocca chiusa, falsificarono i dati statistici sui decessi e fecero tutto il possibile per ridimensionare il bilancio delle vittime. Per insabbiare la questione per sempre, le autorità ordinarono la distruzione dei rapporti presentati dalle province sulla diminuzione della popolazione di decine di milioni di persone.
Le informazioni furono fatte trapelare dai rifugiati a Hong Kong e dai parenti rimasti in patria dei cinesi emigrati oltremare; su questa base le testate di alcune nazioni occidentali pubblicarono una serie di articoli sulla carestia che si stava diffondendo in Cina. I racconti erano frammentari e del tutto incompleti, ma il governo cinese li respinse, definendoli « attacchi maligni » e « calunnie».