L’amore letterario. Terzo convegno italo-cinese dell’Iic a Pechino

In by Simone

Gli ultimi incontri del terzo convegno letterario italo-cinese organizzato dall’Istituto italiano di cultura a Pechino ruotano ancora attorno all’amore: l’estetica dell’amore e l’amore ai nostri tempi. E infine il premio Qiao per la migliore traduzione italiano-cinese 2010.
Come si fa a scindere tra amore e innamoramento, tra pulsioni e solido sentimento? Questa domanda rimane senza risposta, ma la tensione quella è pienamente descritta in tutti i lavori letterari, a prescindere dalle epoche in cui sono stati scritti e dalla cultura di provenienza.

Due tavole rotonde molto diverse che hanno in comune l’alta affluenza di un pubblico giovane. Sono infatti principalmente studenti universitari cinesi che vanno a incontrare i nostri autori e i loro. E gli pongono domande sulla loro opera e sulla loro vita personale. Difficile in ogni caso definire l’amore e l’eros, sia quello classico del Sogno della camera rossa, sia quello moderno dell’Italia degli anni Ottanta.

Sul primo si confrontano Liu Zhenyun, scrittore e sceneggiatore e Domenico Starnone, romanziere ed educatore italiano, con la partecipazione del sinologo Laurent Ballouhay.

“Non si può parlar d’amore” sostiene infatti Liu Zhenyun rispondendo all’analisi del sinologo francese che pone l’accento sull’importanza dell’esperienza amorosa nel romanzo Il sogno della camera rossa, classico cinese della metà del Settecento. Sin dall’incipit della discussione, la visione contrastante emerge in modo chiaro: è la presenza della donna, della femminilità incarnata nei numerosi protagonisti dell’opera e l’associazione del concetto di amore o innamoramento a quello della donna.

Sono infatti le donne accanto al desiderio che rendono l’amore rappresentato nella vastità e complessità della sua visione. In Italia, sostiene Starnone, “l’associazione della donna al peccato originale” ha reso complessa una sua descrizione matura e multiforme. Nella cultura rinascimentale, solo Boccaccio è riuscito a dare una presenza fisica alla donna oggetto d’amore e l’ha fatto attraverso novelle erotiche. Perché “chi vive imbevuto di cattolicesimo non si libera mai dal senso di colpa” sottolinea ancora Starnone.

Nella seconda tavola rotonda, invece, si parla di amore giovanile. Intervengono Federico Moccia, il cui primo libro, Tre metri sopra al cielo, è stato tradotto quest’anno dalla China Citic Press di Taipei e Feng Tang, il cui primo lavoro esplora anch’esso un primo innamoramento adolescenziale: Ho diciott’anni, datemi una ragazza.

Nessuna domanda sull’amore per questi ultimi due autori che si soffermano a parlare del linguaggio che hanno scelto per parlare ai giovani. “Uso un linguaggio volgare, da vulgus – sottolinea Moccia – perché voglio parlare al popolo”. E racconta che nessuna casa editrice voleva pubblicare quel romanzo che oggi è campione di incassi, e che alla fine decise di farlo a sue spese. Feng Tang invece miscela sapientemente tre stili: quello che ascolta quando cammina per i vicoli di Pechino, ricco di epiteti coloriti e male parole, quello che si studia sui testi classici e uno più recente che ingloba strutture sintattiche americane e nuove parole d’importazione. “Perché i ragazzi stanno molto per strada, studiano i classici e ascoltano canzoni straniere. Assorbono questi linguaggi quotidianamente e li fanno loro”.

Ma non è questo che interessa ai giovani presenti in sala. Loro vogliono parlare di com’era l’Italia degli anni Ottanta o del perché Feng indossa un braccialetto di giada. A loro interessa come si fa a guadagnarsi la vita facendo lo scrittore (e su questo entrambi concordano nonostante abbiano una storia personale completamente diversa: bisogna affiancargli un altro mestiere se si vuole conservare la libertà di scrivere ciò che si vuole) e come si trova il coraggio di fare scelte importanti come lasciare una persona che si è amata o cambiare lavoro.

Si parla anche dell’ultimo lavoro dello scrittore cinese, Bu er (“Unicità”), appena pubblicato a Hong Kong e difficile da reperire nella Cina continentale (ma i giovani, si sa, sanno industriarsi). È un racconto atipico del buddhismo zen con i monaci che si trovano a dover bruciare una statua del Buddha per riscaldarsi o a impastare con la propria urina l’argilla destinata alle immagini sacre. È una versione della storia per cui molti credenti si sono offesi, ci racconta l’autore, ma non per questo è meno vera. Anzi, sono proprio queste le situazioni a cui la religione deve far fronte: la cruda realtà del freddo o della carenza d’acqua. D’altronde Feng Tang ha studiato medicina e per nove anni ha praticato il mestiere del ginecologo (risatine tra il pubblico) prima di finire a scrivere quelli che lui stesso definisce romanzi erotici. E’ profondamente legato alla concretezza della vita.

A chiusura del terzo convegno letterario si annuncia il vincitore del premio Qiao per la migliore traduzione dall’italiano al cinese del 2010. Lo vince Wen Zheng con la traduzione de La solitudine dei numeri primi. Dice la frase più bella: “il bravo traduttore è come un bravo ladro: ruba senza lasciare alcuna traccia.”  Wen Zheng presto sarà in Italia, a prendere la direzione, per parte cinese, dell’Istituto Confucio di Roma.

[Foto CAg]