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L’Altra Asia – Un anno di ASEAN in una settimana: i risultati del summit in Laos

In Sud Est Asiatico by Francesco Mattogno

Di cosa si è parlato durante la settimana di incontri ASEAN in Laos? Soprattutto di Myanmar, con qualche progresso, di economia e (a sorpresa) anche delle tensioni con la Cina nel mar Cinese meridionale. L’esercito birmano ha iniziato il censimento della popolazione, un mese di grande diplomazia per il Vietnam, poi la repressione del dissenso in Cambogia, i processi a Singapore, gli attentati in Pakistan e gli altri consigli di lettura. L’Altra Asia è una rubrica sui paesi meno raccontati del continente a cura di Francesco Mattogno (clicca qui per tutte le puntate)

Gli argomenti delle puntata, nel dettaglio:

  • ASEAN – I risultati del summit in Laos (Myanmar, mar Cinese meridionale, Timor-Leste, economia)
  • Myanmar – Censimento, bombardamenti, rapporti con la Cina e aggiornamenti dal campo
  • Vietnam – Gli scontri con la Cina nel mar Cinese meridionale e la diplomazia di To Lam

Venerdì 11 ottobre si è chiusa la settimana di incontri tra i più alti rappresentanti dei paesi membri dell’Associazione delle Nazioni del Sud-Est asiatico (ASEAN), che come ogni anno si sono radunati a casa del presidente di turno dell’associazione (in questo caso a Vientiane, in Laos) per i due summit con cui fare il punto sulle questioni più importanti che riguardano il gruppo. Ai vertici ASEAN di fine anno è poi consuetudine che si affianchino una serie di incontri bilaterali o multilaterali con vari partner internazionali del blocco: quello che ne deriva è una settimana di intensa diplomazia, per quanto non sempre ricca di contenuti concreti.

Da qualche anno a questa parte l’ASEAN, nata per favorire l’integrazione economica tra gli stati regionali, è costretta a non occuparsi più solo di economia, investimenti e commercio. Alle decennali tensioni sul mar Cinese meridionale tra la Cina e vari paesi membri (Filippine, Vietnam, Malaysia, Brunei, Indonesia) si è aggiunta la guerra civile in Myanmar, che dal 2021 è il vero dossier caldo di ogni ministeriale e summit dell’associazione. È stato così anche a Vientiane.

I “progressi” sulla guerra in Myanmar

Nonostante diversi osservatori e analisti temessero che lo scarso peso diplomatico del Laos potesse minare gli sforzi del gruppo per trovare una soluzione alla crisi birmana, la presidenza laotiana è stata invece la più significativa in tal senso, anche se non solo per meriti di Vientiane. Per la prima volta in oltre tre anni un rappresentante non politico della giunta militare birmana (ovvero il segretario permanente del ministero degli Esteri, Aung Kyaw Moe) ha partecipato a un vertice ASEAN, aprendo almeno idealmente alla prospettiva di un dialogo regionale volto a favorire il ritorno della pace in Myanmar.

La presenza di Aung Kyaw Moe a Vientiane va registrata all’interno di un processo in corso già da diversi mesi. A seguito delle enormi perdite territoriali dell’ultimo anno, la giunta birmana, alla ricerca di legittimità internazionale, ha assunto un atteggiamento più aperto e dialogante nei confronti dell’associazione. Nell’aprile del 2021, due mesi dopo il golpe, l’esercito aveva firmato con l’ASEAN un documento (il “Consenso in 5 punti”) nel quale si impegnava a interrompere le violenze e ad avviare un dialogo con tutte le forze di opposizione al regime, salvo poi violare ogni termine dell’accordo. Da tre anni la giunta bombarda regolarmente i civili e si riferisce alle forze di resistenza come “terroristi”: non proprio un segnale di grande propensione a delle trattative di pace.

Come conseguenza del mancato rispetto del Consenso in 5 punti, l’ASEAN ha vietato all’esercito birmano di presenziare a ogni incontro dell’associazione, permettendo al regime di inviare solamente dei “rappresentanti non politici”, cioè segretari e membri dell’amministrazione. Per quasi tre anni Naypyidaw si è rifiutata di farlo, ritenendolo un affronto, prima di cambiare idea lo scorso gennaio alla luce dell’avanzata dei ribelli in gran parte delle periferie del paese. Con la presidenza del Laos – la cui leadership mantiene rapporti ambigui con il regime birmano – è cominciato dunque un graduale reinserimento del Myanmar all’interno dei meccanismi del blocco, e sono arrivati anche i primi (piccoli) risultati diplomatici.

Si è iniziato a muovere qualcosa già alla vigilia degli incontri di Vientiane (6-11 ottobre). La settimana precedente al summit l’Indonesia ha ospitato i rappresentanti dei paesi ASEAN, insieme a quelli di Unione Europea, Stati Uniti, Nazioni Unite, India, Giappone e ai rappresentanti dei gruppi di resistenza in Myanmar per parlare della crisi birmana (non erano presenti né la giunta, che avrebbe rifiutato l’invito, né la Cina). I dettagli dell’incontro non sono stati divulgati, ma pochi giorni dopo la prima ministra thailandese, Paetongtarn Shinawatra, si è detta disponibile a ospitare a Bangkok i rappresentanti dei paesi ASEAN allo scopo di presentare nuove proposte di pace per il Myanmar. L’associazione ha accettato, e i colloqui si terranno a dicembre.

Come ha scritto Sebastian Strangio sul Diplomat, l’ASEAN sembra essersi resa conto di dover adottare un approccio più creativo e flessibile alla crisi birmana. Lo ha ammesso anche il presidente filippino Ferdinand Marcos Jr, che ha parlato della necessità di trovare «nuove strategie». L’evolversi della situazione sul campo, con l’avanzata dei ribelli, ha reso obsoleto il Consenso in 5 punti fondato sulla centralità del ruolo dell’esercito, che ormai non controlla più de facto vaste porzioni del territorio birmano. Il rischio quindi è che i vicini del Myanmar esterni all’associazione (Cina, India, Bangladesh) diventino più influenti ed efficaci dell’ASEAN nel trovare una soluzione al conflitto. L’India, ad esempio, ha invitato vari gruppi ribelli a partecipare a una conferenza sul federalismo che si terrà a novembre a Nuova Delhi.

L’ASEAN starebbe quindi iniziando ad accettare la legittimità delle forze di resistenza birmane, dalle milizie etniche armate (EAO) alle People’s Defence Forces (PDF) che fanno riferimento al governo democratico in esilio. Lo si noterebbe anche dal comunicato congiunto sul Myanmar pubblicato in settimana. Il documento è meno duro rispetto a quello del 2023, nel quale i paesi membri dichiaravano esplicitamente che l’esercito birmano fosse il principale attore responsabile degli attacchi ai civili, ed esorta «tutte le forze armate» a ridurre il livello delle violenze.

Se da un lato il linguaggio più morbido è probabilmente volto a “corteggiare” la giunta, allo scopo di non allontanarla dai forum di dialogo, dall’altro potrebbe anche essere finalizzato a responsabilizzare i ribelli, riconoscendogli un ruolo importante nelle logiche del conflitto (e quindi del processo di pace). Eventualità che l’approccio stato-centrico del Consenso in 5 punti non teneva in considerazione. È vero anche che molti gruppi della resistenza sembrano ormai restii al dialogo. Forti delle numerose vittorie sul campo, sempre più EAO ambiscono alla rivoluzione e non vogliono sentir parlare di trattative di pace. O in alternativa chiedono come condizione di partenza la totale resa della giunta, con annessi processi per crimini di guerra e contro l’umanità a carico dei vertici e dei soldati dell’esercito regolare. Una prospettiva che i militari non sono disposti ad accettare.

Mar Cinese meridionale, Timor-Leste e gli altri risultati del summit

Oltre alla questione birmana, altri due dossier hanno ravvivato gli incontri di Vientiane. Il primo riguarda le tensioni sul mar Cinese meridionale, citate dal presidente filippino Marcos durante il summit ASEAN-Cina. Si è trattato di un fatto inusuale: il vertice tra l’associazione e la Repubblica Popolare Cinese è sempre stato, come altri, un forum di discussione economica durante il quale i paesi membri stanno ben attenti a far emergere questioni di difesa o sicurezza. Nel suo discorso, pubblicato dall’Inquirer, Marcos ha invece legato proprio economia e questioni geopolitiche, senza mai nominare direttamente la Cina ma alludendo chiaramente ai numerosi incidenti nel mar Cinese meridionale che hanno coinvolto le guardie costiere dei due paesi (e non solo).

Marcos ha chiesto un’accelerazione nelle trattative per istituire un Codice di Condotta sul mar Cinese meridionale (ovvero un documento in lavorazione da oltre vent’anni tra l’ASEAN e Pechino, attraverso il quale regolamentare le dispute nell’area) e denunciato le «aggressioni e intimidazioni» subite dalle navi filippine, chiedendo inoltre esercitazioni militari congiunte tra gli stati della regione. Il presidente filippino non è rimasto solo: durante il summit anche Vietnam, Thailandia e Singapore si sono dette preoccupate per le tensioni nell’area, poi citate anche dal segretario di Stato americano Antony Blinken a margine dell’East Asia Summit, a cui partecipano vari paesi (tra cui Stati Uniti, Cina e Russia).

Il premier cinese Li Qiang, rappresentante di Pechino ai summit di Vientiane, ha sorvolato sulla questione e preferito esaltare il potenziale di una maggiore cooperazione economica tra la Cina e i paesi del blocco. Li ha annunciato inoltre che le trattative per l’aggiornamento dell’accordo di libero scambio tra l’ASEAN e Pechino (ACFTA 3.0) sono ormai in fase conclusiva.

I paesi ASEAN hanno poi concordato di accelerare il processo per l’ingresso di Timor-Leste nell’associazione, alleggerendo alcune procedure e regolamenti che Dili dovrebbe rispettare prima di entrare a pieno titolo nel blocco. Timor, a cui è stato conferito lo status di “osservatore ufficiale” nel 2022, potrebbe così diventare l’undicesimo paese membro nel 2025 o nel 2026. Sarebbe sicuramente un grande passo per un piccolo stato diventato indipendente solo nel 2002, soprattutto sul piano simbolico. Ma c’è chi sostiene che i tempi siano stati un po’ troppo affrettati.

Nel 2023 Timor ha registrato un PIL di 2,2 miliardi di dollari, un valore lontanissimo anche da quello della più piccola economia ASEAN, cioè il Laos (15,2 miliardi di PIL). L’ingresso di Dili consentirebbe ai paesi ASEAN un accesso facilitato al gas e al petrolio timorese, da cui dipende gran parte del budget statale, e alcuni esperti ritengono rischiosa l’apertura di una così piccola economia al libero scambio.

Al di là delle questioni diplomatiche, sul fronte economico e commerciale è stato lanciato un “Piano d’azione sugli investimenti ASEAN 2025-2030” che si pone come obiettivo quello di rendere la regione un’entità unica (non ragionando più per singoli stati) quando si tratta di accogliere gli investimenti dei partner internazionali, in particolare su transizione energetica e digitalizzazione. Il primo ministro laotiano Sonexay Siphandone ha inoltre spinto per un maggiore impiego e regolamentazione dell’intelligenza artificiale, ritenuta fondamentale trainare l’economia digitale dei paesi membri.

L’ASEAN ha poi rafforzato le varie partnership economiche con India, Giappone, Australia e Unione Europea. I rapporti con l’UE (rappresentata dal presidente del Consiglio Europeo, Charles Michel) sono migliorati a seguito della decisione europea di rinviare l’entrata in vigore del regolamento sulla deforestazione, che imporrebbe ai produttori di varie materie prime di dimostrare che queste non provengano da terreni disboscati recentemente, o soggetti a degrado forestale, per poterle commerciare all’interno dell’Unione. Una condizione che metterebbe fuori mercato molti dei produttori di olio di palma indonesiani e malaysiani, tra le proteste di Giacarta e Kuala Lumpur. Se ne riparlerà nel 2026.

Proprio la Malaysia prenderà il posto del Laos come presidente dell’ASEAN nel 2025. Sonexay, come da tradizione, ha formalmente ceduto la presidenza al premier malaysiano Anwar Ibrahim nel corso della cerimonia di chiusura del summit.

MYANMAR – IL CENSIMENTO COME STRUMENTO DI CONTROLLO

Il 1° ottobre sono iniziate le operazioni di censimento in Myanmar, in programma (almeno sulla carta) fino al 15 del mese. La giunta ha intenzione di raccogliere i dati anagrafici dei cittadini che risiedono nei territori ancora sotto il suo controllo (si parla di circa 30 milioni di persone, distribuite su circa il 50% del paese), ufficialmente per poter compilare le liste elettorali in vista delle elezioni-farsa che il generale golpista Min Aung Hlaing ha annunciato per novembre 2025. Secondo i critici è invece plausibile che il regime stia usando il censimento per schedare e intimidire i cittadini, rafforzando controllo e repressione. Le forze di resistenza hanno chiesto il boicottaggio delle operazioni (c’è chi ha dichiarato ai media indipendenti di aver fornito dati falsi) e in alcuni casi sono passate all’azione. Nel Sagaing, per esempio, i ribelli hanno attaccato i soldati che accompagnano i funzionari addetti al censimento.

Intanto sul campo si ripete da mesi sempre lo stesso copione. L’esercito perde territori, tenta di riconquistarli (in rari casi ci riesce) e se fallisce comincia a bombardare le aree civili, distruggendo case ed edifici pubblici. Secondo l’organizzazione indipendente Nyan Lynn Thit Analytica, negli ultimi quattro mesi ci sono stati 820 bombardamenti, una media di sette al giorno: gli attacchi del regime hanno ucciso almeno 455 persone, provocando più di 800 feriti. Oltre a essere un crimine di guerra, si tratta di una tattica quasi sempre inefficace, visto che la resistenza continua ad avanzare. Negli ultimi giorni l’Arakan Army (AA) ha conquistato l’avamposto strategico di Maetaung (Rakhine), mentre il Kachin Independent Army (KIA) e le PDF locali hanno liberato Pinlebu, importante porta d’accesso allo Stato Chin e ad altre aree del Sagaing. A inizio ottobre inoltre il KIA e altre milizie avevano già preso Chipbwi, centro minerario di rilievo per l’estrazione di terre rare.

In breve. Continuano ad aggiornarsi i dati relativi ai danni causati dal tifone Yagi: sono state più di un milione le persone colpite e oltre 600 i morti, dovuti anche alla pessima gestione dei soccorsi e degli aiuti da parte del regime. Che per la guerra ha sempre risorse: a fine settembre la Cina ha consegnato 6 aerei militari al Myanmar. Dal canto suo la giunta ha recapitato a Pechino più di 300 cittadini cinesi accusati di essere connessi ai centri per le truffe online che proliferano in diverse parti del paese (e in tutto il Sud-Est asiatico). Il Myanmar National Democratic Alliance Army (MNDAA), esercito ribelle parte della Three Brotherhood Alliance e accusato di essere troppo esposto all’influenza cinese, ha vietato ai suoi membri di partecipare alle trattative di pace internazionali. Il 7 ottobre è morto Zaw Myint Maung, vicepresidente della Lega Nazionale per la Democrazia, in carcere dal colpo di stato del 2021: era malato di leucemia. Il regime sta inasprendo i controlli a carico di chi ha un permesso per uscire dal paese per motivi lavorativi, perché teme che una volta all’estero queste persone non torneranno indietro.

VIETNAM – TENSIONI MARITTIME E DIPLOMAZIA

Il 6 ottobre un peschereccio vietnamita è affondato dopo essere stato speronato da un’imbarcazione non identificata (l’equipaggio è stato poi soccorso da un’altra nave vietnamita di passaggio). Si è trattato del secondo incidente in pochi giorni per le barche vietnamite nel mar Cinese meridionale. Il 29 settembre un altro peschereccio era stato attaccato da due navi cinesi a largo delle isole Paracels: 40 agenti cinesi avevano assaltato la nave e picchiato l’equipaggio con spranghe metalliche (alcuni di loro hanno riportato varie fratture), per poi andarsene con 6 tonnellate di pescato. Il ministero degli Esteri cinese ha detto che l’imbarcazione vietnamita stava pescando senza il permesso delle autorità di Pechino, che controlla le Paracels dal 1974, dopo averle conquistate sconfiggendo la marina dell’allora repubblica sudvietnamita. Hanoi ha presentato protesta formale tramite i suoi canali diplomatici con la Repubblica Popolare.

Nel frattempo il segretario generale del Partito Comunista del Vietnam (CPV) e presidente del paese, To Lam, ha proseguito il suo tour diplomatico. Dopo essere stato negli Stati Uniti e a Cuba a fine settembre, nelle ultime settimane Lam ha visitato Mongolia, Irlanda e Francia. Se quella in Irlanda è stata una visita interlocutoria, i viaggi in Mongolia e Francia hanno portato all’elevazione delle relazioni bilaterali tra i paesi, passate rispettivamente al rango di partenariato strategico e di partenariato strategico globale. La Francia, ex colonizzatore del Vietnam, è l’ottavo paese a raggiungere il massimo grado dei rapporti diplomatici con Hanoi, e il primo stato europeo a farlo.

Intanto, sempre sul fronte della diplomazia, dal 12 al 14 il premier cinese Li Qiang ha visitato il Vietnam, dove ha incontrato l’omologo vietnamita Pham Minh Chinh e lo stesso Lam. Il viaggio, arrivato dopo le recenti tensioni sul mar Cinese meridionale, è servito a riportare le relazioni diplomatiche alla normale cordialità e a siglare una decina di accordi economici e commerciali.

In breve. Il Vietnam vorrebbe allentare le restrizioni per l’ubriachezza alla guida, riducendo le multe per chi si fa trovare al volante in stato di ebbrezza. La legge di “tolleranza zero” introdotta nel 2020 ha infatti funzionato troppo bene e i profitti dei produttori nazionali di bevande alcoliche ne hanno risentito. L’economia comunque va bene, con un +7,4% del PIL nel terzo trimestre del 2024. A trainare la crescita sono la produzione manifatturiera (anche delle industrie tecnologiche: è pronto un piano per espandere il settore dei semiconduttori) e i progetti infrastrutturali. Mentre il Vietnam cresce, però, prosegue la repressione degli attivisti, e si fa più pervasivo il controllo dei contenuti online.

LINK DALL’ALTRA ASIA

L’arresto in Cambogia di Mech Dara – giornalista di fama mondiale e tra i primi a parlare dei centri delle truffe online proliferati nel paese, con la connivenza di politici locali e nazionali – ha indignato la comunità internazionale (qui e qui un paio di articoli a riguardo). La repressione dei media, dell’opposizione e degli attivisti rimane una costante anche per il “nuovo corso” del premier Hun Manet. Pochi giorni dopo l’arresto di Dara, le autorità malaysiane hanno estradato una cittadina cambogiana. La donna, residente in Malaysia, è stata rispedita in Cambogia a seguito di alcuni post sui social nei quali aveva definito Hun Sen, ex primo ministro e padre di Hun Manet, un essere «spregevole». A preoccupare in questo caso è stata soprattutto la complicità di Kuala Lumpur: un segnale inquietante per il futuro della democrazia nella regione.

Il 20 ottobre Prabowo Subianto si insedierà come presidente dell’Indonesia: una vecchia puntata dell’Altra Asia per ricordare con chi avranno a che fare gli indonesiani. Intanto gli attacchi israeliani alla missione ONU in Libano, molto discussi e criticati anche in Italia (per la presenza italiana sul territorio), hanno ferito due soldati indonesiani.

I thailandesi stanno dando una chance alla premier Paetongtarn Shinawatra, la cui popolarità è cresciuta a seguito delle sue prime manovre (populiste) per risollevare l’economia del paese. Dopo Yagi non si sono fermate le piogge torrenziali in Thailandia, che ha dovuto fare i conti con nuove alluvioni. Bangkok siederà al Consiglio per i Diritti Umani delle Nazioni Unite nel periodo 2025-2027: una decisione controversa, vista la durissima repressione dell’attivismo anti-monarchico nel paese.

Il presidente sudcoreano Yoon Suk-yeol ha visitato le Filippine (e Singapore), elevando le relazioni tra Seul e Manila al rango di partenariato strategico globale. I due paesi, alleati degli Stati Uniti, collaboreranno a più stretto contatto su questioni di difesa e sicurezza. Intanto l’ex presidente Rodrigo Duterte ha annunciato che si candiderà (di nuovo) a sindaco di Davao, la roccaforte di famiglia nel sud del paese. E il Dipartimento di Giustizia filippino ha detto di avere intenzione di avviare delle indagini preliminari in merito alle uccisioni extragiudiziali dovute alla “guerra alla droga” ordinata dallo stesso Duterte.

L’ex ministro dei Trasporti di Singapore Subramaniam Ishwaran è stato condannato a un anno di carcere per aver ricevuto “regali di valore”. È un po’ di più di quanto ci si aspettasse, e non ha fatto appello (qui per maggiori dettagli sulla vicenda). Attenzione anche a un altro caso di cui si parlerà nelle prossime settimane: Pritam Singh, leader del Partito dei Lavoratori, cioè la principale forza di opposizione, andrà a processo per un caso di falsa testimonianza in parlamento.

È aumentata la frequenza degli attentati in Pakistan: c’entra il summit della Shanghai Cooperation Organisation (SCO), che si terrà il 15 e 16 ottobre a Islamabad. I ribelli beluci stanno colpendo soprattutto i progetti cinesi (un attentato ha ucciso due cittadini della Repubblica Popolare che lavoravano a Karachi), ma nell’attacco più recente sono rimasti uccisi più di 20 minatori nel sud-ovest del paese. Il tutto si inserisce in un clima già teso a causa delle enormi proteste organizzate in varie città pakistane dai sostenitori del PTI, il partito dell’ex premier Imran Khan, in carcere da agosto 2023.

Asia centrale. In Uzbekistan c’è chi critica l’influenza della Russia sul paese, ed è una novità. Il referendum per la costruzione di un nuovo impianto nucleare in Kazakistan è passato con oltre il 70% di voti a favore: il Nikkei e il Diplomat spiegano perché si trattava di un quesito importante.

A cura di Francesco Mattogno