Move Forward Pita Limjaroenrat

L’Altra Asia – Lo scioglimento del Move Forward, in Thailandia

In Asia Meridionale, Sud Est Asiatico by Francesco Mattogno

La corte costituzionale thailandese ha deciso di sciogliere il Move Forward: un po’ di contesto e scenari futuri. Il nuovo governo in Bangladesh, dopo le centinaia di manifestanti uccisi dalla polizia. To Lam è il nuovo segretario del Partito Comunista del Vietnam, una grande vittoria dei ribelli in Myanmar e i consigli di lettura. L’Altra Asia è una rubrica sui paesi meno raccontati del continente a cura di Francesco Mattogno (clicca qui per tutte le puntate)

Gli argomenti della puntata, nel dettaglio:

  • Thailandia – Lo scioglimento del Move Forward: contesto e scenari futuri, lo spettro della rimozione per Srettha Thavisin
  • Bangladesh – Le dimissioni di Hasina e il nuovo governo ad interim
  • Vietnam – To Lam nominato nuovo segretario generale, l’eredità di Nguyen Phu Trong
  • Myanmar – Lashio cade in mano ai ribelli, Min Aung Hlaing nuovo presidente del paese, il ruolo dell’UWSA

Il 7 agosto, dopo mesi di speculazioni, la corte costituzionale thailandese ha deciso di sciogliere il Move Forward, il partito progressista che aveva tecnicamente vinto le elezioni di maggio 2023. La sentenza del tribunale non ha sorpreso nessuno, nemmeno i più ottimisti: si tratta del coronamento di un percorso politico e giudiziario volto a impedire l’ascesa al potere degli arancioni, rappresentanti di quell’ampio sentimento democratico e anti-establishment che negli ultimi anni ha scosso le istituzioni conservatrici del paese. E che con tutta probabilità non morirà assieme al partito.

Il nuovo logo del Move Forward, pubblicato sui social: la parola “partito” è stata cancellata ma volutamente lasciata sullo sfondo.

Secondo la corte costituzionale, la campagna del Move Forward volta a modificare la legge sulla lesa maestà aveva lo scopo di sminuire il ruolo della monarchia per trarne un vantaggio elettorale, creando così una «seria minaccia alla sicurezza nazionale». Per salvaguardare il sistema di monarchia costituzionale, perno della democrazia thailandese dal 1932, il tribunale ha dunque ritenuto necessario sciogliere il Move Forward e bandire per dieci anni dalla vita politica 11 dei principali vertici del partito. Tra loro figurano Pita Limjaroenrat, leader de facto degli arancioni, e Chaithawat Tulathon, capo del partito e leader dell’opposizione alla camera. Entrambi sono stati espulsi dal parlamento e per un decennio non potranno più candidarsi.

Già a gennaio la stessa corte aveva decretato che gli sforzi del Move Forward per emendare la legge sulla lesa maestà rappresentavano un più ampio tentativo «di rovesciare il sistema di governo con il re a capo dello stato». Quella sentenza è servita come base legale per dare il via all’iter giudiziario con cui si è arrivati allo scioglimento del partito (lo avevamo spiegato nel dettaglio, qui). La cosiddetta “legge sulla lesa maestà” è in realtà l’articolo 112 del codice penale thailandese. Si tratta di una delle norme più dure al mondo contro le critiche alla famiglia reale: prevede fino a 15 anni di carcere per ogni capo d’accusa, e negli ultimi anni secondo i critici è stata utilizzata strumentalmente per punire più di 250 attivisti e manifestanti per la democrazia, minorenni compresi. Il Move Forward voleva ridurre le pene previste e impedirne l’utilizzo politico.

Il verdetto della corte costituzionale è definitivo, dunque non ci saranno appelli. Nella conferenza stampa organizzata dopo la sentenza, i principali esponenti del Move Forward, guidati dalla vicepresidente Sirikanya Tansakun, hanno dichiarato che presto tutti i 100 mila tesserati del gruppo si riuniranno in una «nuova casa». Lo scioglimento del Move Forward era ritenuto lo scenario più probabile da tutti, e il partito si è preparato per tempo: di fatto i deputati del Move Forward non squalificati dalla politica (ne sono rimasti 143 su 148) convoglieranno in un partito di riserva, già esistente. Si parla del Thinkakhao Chaovilai, e l’ufficialità del “trasferimento” dovrebbe arrivare il 9 agosto.

Non è un dettaglio da poco, né una tattica nuova. Il Move Forward era a sua volta il Ruam Pattana Chart Thai, un partitino minore in cui erano convogliati i deputati eletti con il Future Forward, predecessore del Move Forward che la corte costituzionale ha dissolto con un pretesto legale nel 2020. Lo scioglimento dei partiti anti-establishment da parte dei tribunali – che rappresentano di fatto uno strumento politico nelle mani delle istituzioni conservatrici (esercito, monarchia e partiti a loro connessi) – è una costante della politica thailandese: anche l’attuale capo della coalizione del governo, il Pheu Thai, non è che la terza reincarnazione dei partiti degli Shinawatra dissolti in precedenza.

Il passaggio dei deputati del Move Forward in un partito già esistente (che cambierà nome in continuità con i due progetti precedenti) è importante perché permetterà agli arancioni di saltare tutti i lunghi e complessi iter burocratici per la registrazione di un nuovo partito. Non è detto che tutti i 143 parlamentari seguiranno la linea dettata dalle leadership (si parla già di possibili “acquisti” da parte dei partiti di governo), ma come dimostra la storia recente sopravvivere alla dissoluzione è possibile. Ci saranno probabilmente delle complicazioni sul breve periodo, legate soprattutto alla necessità di formare una nuova classe dirigente e di ricostituire tutta la rete di branche locali del partito, ma sul lungo termine la base elettorale del Move Forward non svanirà, anzi. Dopo aver vinto le elezioni dello scorso anno il partito ha continuato ad accumulare consensi, restando di gran lunga la forza politica più popolare in Thailandia.

Nel 2020 lo scioglimento del Future Forward, che aveva ottenuto un buon risultato alle elezioni del 2019, eleggendo 81 deputati, aveva causato indignazione e scatenato proteste di massa democratiche e anti-monarchiche. Nonostante la base di consensi del Move Forward sia molto più ampia, quasi tutti gli osservatori sono concordi nel definire improbabili nuove manifestazioni di questo tipo, almeno nel breve periodo. Anche perché già l’anno scorso non si erano registrati grandi movimenti a seguito dell’accordo tra Pheu Thai e conservatori per impedire un governo del Move Forward, primo partito per seggi alla camera.

Intanto ci si chiede chi guiderà il nuovo partito. I nomi sono tendenzialmente due: Sirikanya Tansakun, che nelle ultime settimane è diventata uno dei volti più riconoscibili degli arancioni, e Natthaphong Ruengpanyawut. Dare un ruolo formale a Sirikanya potrebbe essere pericoloso. La vicepresidente del Move Forward è infatti coinvolta in un’altra indagine, in questo caso della Commissione nazionale anti-corruzione (NACC), a carico dei 44 deputati del partito che nel 2021 avevano presentato alla camera una petizione per emendare la legge sulla lesa maestà. Tutti e 44 rischiano la squalifica a vita dalla politica.

Mentre sono già arrivate le proteste di vari stati e organizzazioni internazionali per lo scioglimento del Move Forward, il momento di grande rilevanza della corte costituzionale thailandese non finisce qui. Il 14 agosto il tribunale sarà chiamato a giudicare se il premier Srettha Thavisin ha violato il codice etico nominando un condannato per corruzione a ministro (qui per maggiori dettagli). Se ritenuto colpevole, il primo ministro verrà rimosso e il governo cadrà.

BANGLADESH – UN NUOVO INIZIO

Il 5 agosto Sheikh Hasina si è dimessa da prima ministra del Bangladesh. La decisione dell’ormai ex premier, al potere ininterrottamente dal 2009, è arrivata dopo oltre un mese di scontri tra i manifestanti e la polizia. A giugno i movimenti studenteschi avevano iniziato a protestare contro il sistema delle quote nel settore pubblico, ripristinate dall’alta corte del paese: con la sentenza si tornava a garantire che il 56% degli impieghi nell’amministrazione statale fosse riservato ad alcune categorie speciali, in particolare ai discendenti dei combattenti per l’indipendenza del 1971, a cui veniva assegnato il 30% dei posti. Le manifestazioni, inizialmente pacifiche, si sono presto trasformate in un bagno di sangue.

Per settimane Hasina ha ordinato alle forze dell’ordine di reprimere le proteste con tutti i mezzi necessari, compresi quelli «letali», e ad oggi il bilancio è di circa 400 morti, oltre che di decine di migliaia di feriti e di arresti. Solo il 4 agosto, il giorno prima delle dimissioni di Hasina, sarebbero state uccise quasi 100 persone, compresa una decina di agenti di polizia. Di fronte a una tale violenza i manifestanti, guidati da gruppi indipendenti ma sostenuti praticamente da tutte le forze di opposizione, hanno coraggiosamente alzato il livello delle proprie ambizioni, non fermandosi al passo indietro sul sistema delle quote che la corte suprema aveva annunciato a fine luglio. L’obiettivo finale era la caduta del governo della Lega Awami di Hasina, che a gennaio aveva vinto le ultime elezioni, boicottate dall’opposizione (e a cui era andato a votare solo il 42% dei bengalesi).

Sono usciti diversi articoli che ricostruiscono le ultime ore al potere di Hasina e che la descrivono come scollegata dalla realtà, intenzionata a fare di tutto pur di non dimettersi, tanto da lasciare il paese in elicottero solo negli ultimi istanti prima che la sua residenza ufficiale venisse di fatto invasa dai manifestanti. Una delle ragioni della caduta di Hasina va probabilmente ricercata nel rifiuto dell’esercito di obbedire ai suoi comandi, almeno negli ultimi giorni. Dopo la fuga della premier il comandante delle forze armate Waker Uz Zaman ha subito preso le redini del paese, impegnandosi nel formare un governo ad interim e a garantire giustizia per le morti e i crimini connessi alle proteste.

Il Bangladesh ha una lunga storia di colpi di stato dell’esercito e di autoritarismo militare, ma questa volta i generali hanno tenuto fede alle promesse e lasciato che il premio Nobel per la pace Muhammad Yunus, uno dei principali bersagli della sistematica repressione di Hasina a carico dell’opposizione, tornasse nel paese per guidare il governo di transizione, il cui giuramento è in programma l’8 agosto. Yunus è una figura richiesta esplicitamente dai manifestanti, che hanno vinto su tutta la linea (è stata scarcerata anche la leader del Partito Nazionalista del Bangladesh, principale forza di opposizione, Khaleda Zia). Il prezzo da pagare per porre fine a un regime che negli anni si era rivelato sempre più autoritario è stato però altissimo. Di seguito, alcune analisi su quanto accaduto in queste settimane in Bangladesh:

  • Matteo Miavaldi su Domani (qui e qui).
  • Giuliano Battiston su Lettera 22 e Radio Radicale (qui e qui)
  • Michael Kugelman su Foreign Policy, che racconta qui la parabola discendente di Hasina, figlia del padre fondatore del Bangladesh, un tempo paladina della democrazia, finita con l’essere un’autocrate sanguinaria.
  • Nava Thakuria su Asia Sentinel (qui) sulle conseguenze che le dimissioni di Hasina avranno sull’India, che perde un altro buon amico nella regione.

VIETNAM – TO LAM NUOVO SEGRETARIO GENERALE DEL PARTITO

Il 3 agosto il Comitato Centrale del Partito Comunista del Vietnam (CPV) ha nominato all’unanimità il presidente To Lam come segretario generale del partito, certificando un’ascesa divenuta totale dopo la morte del segretario Nguyen Phu Trong dello scorso 19 luglio. Lam, eletto presidente solo a maggio, ha alle spalle una lunga carriera nelle forze di polizia, arrivata al culmine con la sua nomina a ministro della Sicurezza Pubblica, posizione che ha ricoperto dal 2016 al 2024. Da capo delle forze di polizia ha guidato la campagna anti-corruzione di Trong, sfruttando il ruolo per epurare tutti i suoi potenziali avversari politici e spianarsi la strada verso le posizioni di vertice del partito. La morte improvvisa (ma attesa) di Trong ha solamente anticipato i suoi piani per raggiungere la segreteria del CPV, che avrebbe dovuto essere rinnovata nel 2026.

Di Trong, etichettato come “l’ultimo comunista”, si è parlato molto nelle scorse settimane (anche qui su China Files). Era un ideologo, un vero marxista, autore di varie opere di teoria politica ed economica e figura considerata di alta caratura morale, incorruttibile e umile. Lam non gode della stessa reputazione: è visto come un pragmatico, con competenze limitate al ramo della sicurezza, e nel 2021 era anche stato oggetto di uno scandalo per aver mangiato una bistecca ricoperta d’oro al ristorante di “Salt Bae” a Londra. Trong è morto senza aver lasciato dietro di sé un erede ideologico, e fallendo di fatto in quella che era stata la sua principale missione: il rafforzamento del partito.

La sua campagna anti-corruzione (e la sistematica repressione del dissenso interno) ha invece minato la fiducia della popolazione nel CPV e aperto la strada a una serie di personaggi legati alle forze armate e di polizia, come To Lam, contribuendo a mettere da parte tecnocrati e ideologi. Lo stesso Trong ha poi indebolito il sistema di leadership collettiva del partito con due decisioni che, ora è chiaro, avranno probabili ripercussioni sul futuro del paese.

Contraddicendo il sistema dei “quattro pilastri”, che prevede una virtuale condivisione del potere tra quattro figure (il segretario generale del CPV, il presidente della Repubblica, il primo ministro e il presidente dell’Assemblea Nazionale), nel 2018 Trong – già segretario del CPV – ha preso per sé la carica di presidente della Repubblica dopo la morte di Tran Dai Quang, conservando il doppio ruolo fino al 2021. Poi nel 2021 si è fatto eleggere per un terzo mandato da segretario del CPV, eventualità tecnicamente proibita dalla costituzione. Entrambe le mosse hanno segnato un precedente sul quale potrà facilmente inserirsi una figura forte e incontrastata come quella di To Lam, che intanto è già sia presidente della Repubblica che segretario di partito. Se non emergeranno rivali nel prossimo futuro, è possibile che Lam (già da qualcuno etichettato come il “Xi Jinping vietnamita”) possa guidare il Vietnam almeno per i prossimi 13 anni.

Altre notizie in breve. Il Dipartimento di Stato degli Stati Uniti non ha elevato lo status del Vietnam a “economia di mercato”. È una decisione che complica i piani di Hanoi per avere accesso a maggiori investimenti e capitali stranieri. Il 9 agosto iniziano le prime esercitazioni militari congiunte tra Vietnam e Filippine nel mar Cinese meridionale: entrambi i paesi hanno delle contese aperte con la Cina per il controllo di parte dell’area. Il 1° agosto il premier Pham Minh Chinh si è recato in India, dove ha incontrato l’omologo Narendra Modi e firmato vari accordi su difesa, sicurezza e commercio.

MYANMAR – LA PRESA DI LASHIO, MIN AUNG HLAING PRESIDENTE

In Myanmar la guerra non si ferma, mai. L’8 agosto sono in programma nuovi colloqui per un cessate il fuoco tra l’esercito e i ribelli, mediati dalla Cina, ma intanto si combatte e la resistenza avanza. La notizia più importante di queste settimane riguarda Lashio, che a inizio agosto è ufficialmente caduta nelle mani dei ribelli. Si tratta di una delle più grandi vittorie per la resistenza dal golpe del 2021. Lashio è la maggiore città del nord dello Stato Shan, oltre che uno dei 14 comandi militari regionali situati nel paese: è il primo comando a finire sotto il controllo dei ribelli, che ora possono puntare davvero a Mandalay, una delle città più importanti del paese (che si trova a sole cinque ore di auto da Lashio).

Negli ultimi giorni le forze della resistenza hanno conquistato anche Mogoke, Mongmit e Kyaukme, mentre l’Arakan Army continua ad avanzare nello Stato Rakhine e si combatte anche nello Stato Shan meridionale. Il regime, oltre a bombardare e bruciare le case dei civili come forma di ritorsione, sta preparando alcune controffensive (per esempio a Nawnghkio) e si è ripreso definitivamente Loikaw, la capitale dello Stato Kayah. La situazione è come sempre fluida ma, al di là dell’importanza di Lashio, ci sono vari segnali che fanno pensare che la giunta sia davvero in grande difficoltà.

Uno di questi è la richiesta fatta alla Russia di intervenire direttamente in Myanmar per aiutare il regime a «combattere il terrorismo», mentre il capo della giunta Min Aung Hlaing ha accusato indefiniti «paesi stranieri» per le ultime sconfitte dell’esercito sul campo di battaglia. Lo stesso generale ha prolungato lo stato d’emergenza per altri sei mesi (è la sesta volta che viene rinnovato) e ammesso che le elezioni, in teoria previste per il 2025, non potranno tenersi in tutto il paese, visto che metà del Myanmar è sotto il controllo del ribelli. A fine luglio, intanto, Min Aung Hlaing si è autonominato presidente del paese, una decisione presa dopo il ricovero dell’ex capo di stato Myint Swe per «problemi neurologici». La mossa del leader della giunta è una forzatura costituzionale, ma parlare di costituzione (redatta dai militari nel 2008) e di legalità in Myanmar, oggi, non può che risultare ridicolo.

In breve. Da giugno più di 200 mila persone sono state colpite dalle inondazioni causate dalle piogge monsoniche in tutto il paese. Alcuni residenti di Lashio hanno detto a Democratic Voice of Burma che i ribelli del Myanmar National Democratic Alliance Army (MNDAA) avrebbero colpito indiscriminatamente dei civili in un ospedale, uccidendone almeno 100, nel tentativo di stanare dei soldati. Alcune alte figure politiche e militari affiliate al regime (come l’ex presidente Thein Sein) sono state messe sotto sorveglianza, scrive l’Irrawaddy: la notizia confermerebbe le paranoie di Min Aung Hlaing, che teme di essere sostituito.

Si parla sempre più di frequente del ruolo dello United Wa State Army (UWSA), l’esercito etnico più grande del paese. Spesso additato come una forza cinica e brutale – citando quasi sempre a sproposito il ruolo dell’organizzazione nel traffico di droga -, l’UWSA è in realtà un ente dal forte peso diplomatico, in grado di dialogare con ribelli, esercito e Repubblica Popolare Cinese. I Wa controllano due regioni nello Stato Shan (una al confine con lo Yunnan, una con la Thailandia) e negli ultimi mesi, forti della loro neutralità, hanno ottenuto il consenso bilaterale per dispiegare le truppe in varie città, compresa Lashio, senza sparare un colpo. Ora chiedono il ripristino dei colloqui nazionali di pace, falliti già durante il governo di Aung San Suu Kyi.

LINK DALL’ALTRA ASIA

Filippine e Cina hanno deciso di ridurre le tensioni nel mar Cinese meridionale, ma Manila sta continuando a rafforzare i propri legami di difesa con Giappone e Stati Uniti.

La Malaysia sta rafforzando il controllo su internet e i social. Dei problemi del paese, anche in termini di libertà civili, avevamo parlato qui.

Thomas Djiwandono, nipote del presidente eletto Prabowo Subianto in Indonesia, è stato nominato viceministro delle Finanze. E intanto proprio Prabowo – che fino al 20 ottobre ricoprirà solo il ruolo di ministro della Difesa – è andato in Francia, Serbia, Turchia e Russia (dove ha incontrato cordialmente Putin) per rafforzare i legami energetici e di difesa con i quattro paesi.

Il 5 agosto è iniziata la costruzione del canale Funan Techo, in Cambogia. Ne avevamo parlato qui.

Il presidente di Timor-Leste, José Ramos-Horta, ha visitato Cina e Vietnam tra fine luglio e inizio agosto.

Il comunicato finale della ministeriale degli Esteri ASEAN, senza grandi risultati, qui.

In Pakistan è passato un anno dall’incarcerazione di Imran Khan: qui un recap del Nikkei. Intanto il leader del PTI si dice aperto al dialogo coi militari.

Le Maldive si stanno riavvicinando all’India, per interesse economico.

La commissione elettorale dell’Uzbekistan ha annunciato che le prossime elezioni si terranno il 27 ottobre.

A cura di Francesco Mattogno