Filippine mar Cinese meridionale

L’Altra Asia – Le dimissioni di Duterte e il futuro delle Filippine

In Sud Est Asiatico by Francesco Mattogno

Le dimissioni di Sara Duterte da segretaria all’Educazione aprono a nuovi scenari per il futuro delle Filippine, anche nel mar Cinese meridionale. Il matrimonio egualitario in Thailandia, i rapporti tra Malaysia e Cina, il significato della visita di Putin in Vietnam, un’opinione contro la retorica della “frammentazione” del Myanmar e i consigli di lettura. L’Altra Asia è una rubrica sui paesi meno raccontati del continente a cura di Francesco Mattogno (clicca qui per tutte le puntate)

Gli argomenti della puntata di questa settimana, nel dettaglio:

  1. Filippine – Le dimissioni di Sara Duterte da segretaria all’Educazione e le tensioni con la Cina nel mar Cinese meridionale
  2. Thailandia – Approvata la legge sul matrimonio egualitario, Thaksin Shinawatra incriminato per lesa maestà, gli ultimi sviluppi sui casi giudiziari contro il premier Srettha Thavisin e il Move Forward
  3. Malaysia – L’incontro tra il primo ministro Anwar Ibrahim e il premier cinese Li Qiang
  4. Vietnam – Il significato della visita del presidente russo Vladimir Putin
  5. Myanmar – Non parlate di “frammentazione”, la giunta promette elezioni nel 2025, il compleanno di Aung San Suu Kyi (e un po’ di Italia), la carenza di cibo e medicine, i timori nello Stato Shan

Mentre il mondo guardava al mar Cinese meridionale, la scorsa settimana nella politica filippina è successa una cosa importante: Sara Duterte si è dimessa da segretaria all’Educazione, lasciando così il governo del presidente Ferdinand Marcos Jr. Duterte è la vicepresidente del paese, nonché figlia di Rodrigo Duterte, predecessore di Marcos. Le dinastie politiche nelle Filippine (così come in tutto il Sud-Est asiatico) sono una cosa seria, e quelle dei Marcos e dei Duterte sono due delle famiglie più importanti dello stato. La prima radicata nella provincia di Ilocos Norte, a nord, la seconda a Davao, nel sud.

Sara Duterte e Marcos si sono alleati in vista delle elezioni del maggio 2022 all’interno del cosiddetto “Uniteam”, sostenendosi a vicenda alla ricerca rispettivamente della vicepresidenza e della presidenza del paese. Va precisato che al contrario di quanto accade in altri luoghi, come a Taiwan o negli Stati Uniti, nelle Filippine i candidati presidente e vicepresidente non corrono formalmente insieme. Si tengono due elezioni separate e questo comporta, come è successo più volte nel corso della storia, che un vicepresidente possa anche non far parte della coalizione del presidente. A Marcos e Duterte è andata bene, almeno sulla carta: erano alleati e ognuno ha vinto la sua corsa.

L’elezione di entrambi avrebbe dovuto spianare la strada verso un governo unito, solido, ma fin dal principio si è capito che non sarebbe andata così. I primi scricchiolii nel rapporto tra i due sono arrivati già al momento della nomina della squadra di governo. Duterte voleva il delicato posto di segretaria alla Difesa, ma Marcos le ha concesso solo quello di segretaria all’Educazione. Un ruolo meno rilevante sul piano del potere politico e per cui, tra l’altro, la vicepresidente non era minimamente qualificata.

A maggio del 2023 Duterte ha poi lasciato il Lakas-CMD, il partito guidato dal presidente della camera e cugino di Marcos, Martin Romualdez. La decisione è arrivata a seguito del demansionamento di una delle principali alleate di Duterte (l’ex presidente Gloria Macapagal-Arroyo), e ha rappresentato solo il primo atto della faida con Romualdez. Qualche mese dopo, a seguito di un’indagine parlamentare, lo speaker della camera ha bloccato lo stanziamento dei “fondi riservati” da destinare al dipartimento dell’Educazione, contestando a Duterte il fatto di aver speso 125 milioni di pesos (circa 2 milioni di euro) solamente nei primi 11 giorni del suo mandato. Una cifra imponente e ritenuta ingiustificata.

Con l’arrivo del 2024 i rapporti si sono definitivamente sfaldati. Duterte non ha mai commentato, se non sminuendoli, gli attacchi di suo fratello Sebastian e di suo padre Rodrigo contro Marcos (accusato persino di essere un «tossicodipendente»). Le parti si sono scontrate su varie altre questioni e infine Duterte, dopo aver dichiarato morto l’Uniteam, il 19 giugno si è dimessa sia da segretaria all’Educazione, sia da vicepresidente della task force per il contrasto al conflitto armato di matrice comunista.

Le sue dimissioni sono state accolte positivamente dalle associazioni degli insegnanti, che da due anni lamentavano la totale impreparazione di Duterte. La vicepresidente è stata anche accusata di non aver mai preso in considerazione le richieste dei lavoratori del settore e di aver silenziato i critici con la pratica del “red-tagging” (di cui abbiamo parlato qui). Nonostante questo, secondo un sondaggio di dicembre del 2023 il 57% dei filippini si è detto soddisfatto del suo lavoro di governo. Duterte è un personaggio popolare, con alle spalle una famiglia forte e decine di alleati, sia in politica che nell’esercito. La sua aperta opposizione a Marcos apre a una serie di scenari che potrebbero cambiare radicalmente il futuro del paese.

Cosa succederà?

Come sottolineato da John Ney su Rappler, Duterte ora punterà tutto sulle elezioni del 2028 (alle quali Marcos non si potrà ricandidare, visto il limite di un mandato). Le dimissioni l’hanno liberata dalle responsabilità di governo e questo la aiuterà a far dimenticare ai filippini la sua pessima gestione del settore dell’Educazione, permettendole inoltre di criticare liberamente le politiche di Marcos, specialmente su mar Cinese meridionale e lotta al comunismo (Duterte è contraria ai colloqui di pace con i ribelli).

Se è vero che uscire allo scoperto così presto rappresenta un rischio, si tratta però di un rischio calcolato, almeno in teoria. Duterte si è dimessa a cento giorni dal termine ultimo per la presentazione delle candidature alle elezioni di metà mandato del 2025, che le serviranno per testare il terreno in vista del 2028.

Ci si aspetta un grande riallineamento dei partiti politici del paese, con possibili numerose defezioni dallo schieramento di Marcos, la cui popolarità è in calo dall’anno scorso. C’è già chi parla di Duterte come leader dell’opposizione, anche se il principale partito di minoranza, il Partito Liberale, ha detto chiaramente che i valori della famiglia regina di Davao non corrispondono a quelli di chi contesta l’operato dell’attuale governo. Per ora, comunque, non c’è stato il grande shock politico che ci si poteva attendere. La rottura tra il presidente e la sua vice era nell’aria da tempo e il chiaro intento politico delle sue dimissioni non ha contribuito a scaldare gli animi dei suoi sostenitori.

Quello dello scorso 19 giugno resta però uno sviluppo molto importante. Intanto per il fronte dell’opposizione, che potrebbe sfruttare la spartizione dei voti tra Marcos e Duterte per ottenere più seggi già nel 2025 e rafforzare la propria posizione in vista del 2028. Poi per quelle che potranno essere le conseguenze in politica estera, in particolare nel mar Cinese meridionale. Duterte condivide la posizione più dialogante con la Cina di suo padre ed è probabile che, se eletta, possa indebolire i legami di Difesa con gli Stati Uniti, che Marcos ha invece portato ai massimi storici.

Da mesi le tensioni nel mar Cinese meridionale sono in costante aumento. Il 17 giugno alcune imbarcazioni della guardia costiera cinese si sono scontrate con dei gommoni della marina filippina in missione di rifornimento verso la Sierra Madre, la nave da guerra incagliata nel 1999 a Second Thomas per legittimare le pretese filippine sull’atollo. Quelle che in un primo momento erano state definite come collisioni «lievi» si sono invece rivelate essere molto più gravi: le Filippine hanno accusato i marinai cinesi di essere saliti su un gommone armati di coltelli e accette e di aver sequestrato le armi che si trovavano a bordo. Un gommone è stato tagliato e un marinaio filippino ha perso un dito, rimasto incastrato tra due imbarcazioni.

Manila ha parlato di «atto di pirateria», prima di ridimensionare l’incidente allo scopo di tranquillizzare l’opinione pubblica, preoccupata dal possibile scoppio di una guerra nella regione. In 4 anni può cambiare tutto: non è per nulla scontato che nel 2028 Duterte sarà una candidata credibile alla presidenza, o che le tensioni tra Cina e Filippine non possano essersi già trasformate in qualcos’altro. Nel frattempo, il test elettorale del 2025 potrà dire qualcosa in più su quali saranno le conseguenze della rottura tra il presidente la sua vice.

THAILANDIA – ECCO IL MATRIMONIO EGUALITARIO

A poco meno di tre mesi dal passaggio del disegno di legge sul matrimonio egualitario alla camera, il 18 giugno senato thailandese ha completato l’iter legislativo e approvato definitivamente il testo che darà a tutti il diritto di sposarsi, riservato fin qui solo alle coppie formate da un uomo e una donna. La legge è passata con 130 voti favorevoli, 4 contrari e 18 astensioni durante una sessione speciale della camera alta, che si è riunita appositamente per portare a termine il processo prima dell’insediamento del nuovo senato, previsto nelle prossime settimane. Comunque, prima che la legge sul matrimonio egualitario entri in vigore sono necessari altri due passaggi, ritenuti perlopiù una formalità. La corte costituzionale dovrà infatti valutare la legalità della proposta di legge e, una volta accertata, il testo dovrà essere approvato dal re Maha Vajiralongkorn. A quel punto la legge verrà pubblicata in gazzetta ufficiale e diventerà applicabile dopo 120 giorni. Ci si aspetta quindi che entro la fine del 2024 il matrimonio egualitario in Thailandia sarà realtà.

La legge prevede il riconoscimento del matrimonio e di tutti i diritti che ne conseguono (come sgravi fiscali, diritti ereditari e sul trattamento ospedaliero) anche alle coppie non eterosessuali, a cui sarà inoltre permessa l’adozione. Nel testo, che modifica 68 disposizioni contenute all’interno del codice civile e commerciale thailandese, i termini “uomo” e “donna” verranno sostituiti da “individui”, mentre da “marito e moglie” si passerà a “partner matrimoniali”. Non verrà invece cambiata la dicitura “madre e padre”, che continueranno a essere impiegati al posto del termine neutro “genitori”.

Si tratta di una grande vittoria per gli attivisti della comunità LGBTQIA+, che per anni hanno fatto campagna per il riconoscimento di pari diritti matrimoniali. Le frange più conservatrici del paese hanno dovuto cedere di fronte all’evidenza: secondo i sondaggi, più dell’80% dei thailandesi oggi è favorevole al matrimonio egualitario, tanto che la proposta era finita nei programmi elettorali dei partiti di qualunque colore politico. La Thailandia diventa così il secondo luogo in Asia in cui anche le coppie non eterosessuali potranno sposarsi, dopo Taiwan. Tecnicamente rientra nella lista anche il Nepal, dove però non esiste una regolamentazione vera e propria: l’ultima decisione sul riconoscimento dei matrimoni spetta alle autorità locali.

Le altre notizie. Come dicevamo la scorsa settimana, il 18 giugno era una data importante. L’ex premier Thaksin Shinawatra è stato ufficialmente incriminato per lesa maestà e gli è stata subito riconosciuta la libertà su cauzione (cosa che lo differenzia da tante altre persone che si trovano in carcere preventivo, anche se accusate dello stesso reato). La prossima udienza sul suo caso si terrà il 19 agosto, mentre quelle riguardanti la possibile rimozione dell’attuale primo ministro Srettha Thavisin e l’eventuale scioglimento del Move Forward sono in programma rispettivamente il 10 e il 3 luglio (ma non dovrebbero arrivare a sentenza già in quei giorni). La legge elettorale del senato è stata invece giudicata costituzionale, quindi le elezioni stanno procedendo come previsto. L’ultima fase del voto, a cui hanno accesso 3 mila candidati (per 200 posti), si terrà il 26 giugno.

È stata approvata alla camera la prima lettura della bozza di legge che, se promulgata, servirà ad agevolare le procedure riguardanti l’utilizzo dei referendum (eliminando per esempio la necessità di raggiungere il quorum per far convalidare un voto referendario). Se ne parlerà nei prossimi mesi, perché varie forze politiche hanno intenzione di chiedere alla popolazione se è d’accordo a modificare varie disposizioni della costituzione del 2017, redatta dai militari.

MALAYSIA – IL DIALOGO CON LA CINA

Dal 18 al 20 giugno il premier cinese Li Qiang ha visitato la Malaysia per il 50° anniversario dall’avvio delle relazioni diplomatiche tra Pechino e Kuala Lumpur. Il viaggio di Li nel paese ha permesso al primo ministro malaysiano Anwar Ibrahim di cercare (e trovare) il supporto della Cina all’ingresso del paese nei BRICS: la Malaysia sarebbe così il secondo paese del Sud-Est asiatico, dopo la Thailandia, ad avviare l’iter per entrare nell’organizzazione. Al termine del bilaterale tra le parti, i due premier (che per mezz’ora hanno parlato in privato, senza altri funzionari al seguito) hanno firmato 14 Memorandum of Understanding per rafforzare la cooperazione in varie aree come commercio, investimenti, economia digitale e transizione energetica. Tra le altre cose, Anwar e Li hanno parlato anche di mar Cinese meridionale: il premier malaysiano ha ribadito che intende difendere la sovranità del paese nell’area, ma ha detto di essere aperto al dialogo con la Cina. E intanto, forse per legittimare la sua richiesta di accesso ai BRICS, ha anche criticato la diffusione del dollaro all’interno dei sistemi di scambio internazionali.

A proposito dei rapporti tra Malaysia e Repubblica Popolare Cinese, un’intervista molto interessante di China Media Project sullo stato del giornalismo nel paese ASEAN. Si parla tanto anche dei media in lingua cinese, che sono una parte molto importante del panorama dell’informazione malaysiana.

VIETNAM – NOSTALGIA CANAGLIA, DIPLOMAZIA E POCO ALTRO

Sulla visita in Vietnam (19-20 giugno) del presidente russo Vladimir Putin si è scritto moltissimo, e lo ha fatto anche il direttore editoriale di China Files, Lorenzo Lamperti, qui. In meno di un anno il Vietnam ha ospitato i tre leader più importanti al mondo (a settembre 2023 il presidente americano Joe Biden, a dicembre quello cinese Xi Jinping) in una dimostrazione di equilibrismo diplomatico volto a confermare l’indipendenza della propria politica estera. Putin aveva bisogno di questo viaggio per mostrare di avere amici anche nel Sud-Est asiatico (oltre alla giunta militare birmana), e Hanoi aveva bisogno di Putin per bilanciare l’influenza di Cina e Stati Uniti nel più classico degli atti di “bamboo diplomacy”.

Non vanno poi sottovalutati altri due aspetti. Il primo, sottolinea Hoang Thi Ha su Fulcrum, riguarda la necessità della leadership del Partito Comunista del Vietnam (CPV) di ricercare un po’ di supporto interno facendo leva sulla folta schiera di filo-russi presenti nel paese. Ha la definisce “memory diplomacy”: tanti vietnamiti ancora oggi sostengono la Russia alla luce degli storici rapporti tra l’Unione Sovietica e il Vietnam comunista. Il secondo invece ha a che fare con la stabilità energetica di Hanoi.

L’economia vietnamita è in crescita, ma soffre da tempo di carenze infrastrutturali sul piano energetico, che portano a improvvisi blackout e a una generale insicurezza per il settore manifatturiero (frenando dunque gli investimenti, specialmente nel ramo tecnologico). Tra gli 11 accordi firmati con Putin spiccano proprio quelli legati all’energia, che vanno dal nucleare alle esplorazioni congiunte per la ricerca di giacimenti di gas e petrolio. La Russia al Vietnam serve a questo e a poco altro, al di là della diplomazia. Nel 2023 il commercio bilaterale tra Hanoi e Mosca non ha superato i 3,6 miliardi di dollari: un valore inferiore anche agli scambi tra il Vietnam e il Belgio, per esempio, e irrilevante rispetto al commercio con Washington (111 miliardi). A partire dal 2022, dopo l’invasione dell’Ucraina, la Russia ha perso inoltre il suo ruolo da grande esportatrice di armi, e anche un cliente storico come Hanoi ha ormai iniziato a cercare alternative.

Altre cose in breve. La nuova leadership del CPV è composta da molti meno tecnocrati rispetto a prima e non è chiaro quali conseguenze questo avrà sul futuro del paese. Un articolo di Deutsche Welle sull’incremento delle tensioni tra Vietnam e Cina sul mar Cinese meridionale. Dopo Putin, intanto, il 20 e 21 giugno il Vietnam ha accolto Daniel Kritenbrink, assistente del segretario di Stato americano per l’Asia orientale e il Pacifico.

MYANMAR – CONTRO LA “FRAMMENTAZIONE”

Nelle ultime settimane sono usciti diversi articoli sui media internazionali per parlare della possibile “frammentazione” del Myanmar (che abbiamo citato qui). Secondo l’analista birmano Zung Ring, che ne ha scritto sull’Irrawaddy, questo tipo di narrazione non fa altro che aiutare il regime militare birmano nella sua pretesa di legittimità. Nel corso della sua storia l’esercito ha infatti sempre giustificato i propri colpi di stato utilizzando come pretesto il fatto che fossero necessari per evitare la disgregazione del paese. Ring ricorda inoltre che nessun gruppo etnico ribelle, ad oggi, sta avanzando pretese di secessione. Se questo è vero, non si può però dare per scontato che tutte le forze etniche interne al paese condividano la stessa idea di federalismo, decentralizzazione e autonomia. I futuri colloqui di pace saranno probabilmente lunghi e complicati.

Intanto il regime ha detto che, se la situazione sarà abbastanza stabile da permetterlo, le elezioni (né libere, né eque) si terranno nel 2025. Il 19 giugno Aung San Suu Kyi ha compiuto 79 anni: diversi manifestanti che hanno celebrato pacificamente il suo compleanno sono stati arrestati. Abbiategrasso, comune della provincia di Milano, ha conferito la cittadinanza onoraria alla leader della Lega Nazionale per la Democrazia (NLD). L’ha ritirata uno dei figli di Suu Kyi, Kim Aris: qui una sua intervista ad Asia News, qui quella all’Irrawaddy. Poi la giunta dice che Suu Kyi, in carcere da 3 anni, «è in buona salute». Aumentano i timori riguardo la ripresa degli scontri nel nord dello Stato Shan. La carenza di cibo e medicine è un problema in molte zone del paese: nel Rakhine, per esempio, si prevede di raccogliere il 50% in meno di riso rispetto alla normalità. Dal colpo di stato del 2021 la giunta ha ucciso almeno 800 bambini a seguito di bombardamenti e altri attacchi sui civili. La Cina continua a intrattenere rapporti con il regime.

LINK DALL’ALTRA ASIA

Nelle ultime settimane sono emersi vari malumori all’interno del governo di Joko Widodo, in Indonesia, e c’è chi parla di un possibile rimpasto per rendere più stabili gli ultimi mesi del mandato di Jokowi, che a ottobre lascerà il posto a Prabowo Subianto.

Più della metà dei cittadini di Singapore è favorevole al matrimonio egualitario. A seguito dello scontro con un’altra imbarcazione, una nave cisterna singaporiana ha sversato oltre 4 mila tonnellate di petrolio in mare.

La deforestazione in Cambogia è un problema.

L’Alto commissario per i diritti umani delle Nazioni Unite, Volker Türk, ha visitato il Laos.

Il primo ministro neozelandese Cristopher Luxon ha spiegato al Nikkei la nuova strategia di politica estera di Wellington. Dopo essere stata a lungo molto più soft nei confronti della Cina, negli ultimi anni la Nuova Zelanda si è allineata agli alleati occidentali dando maggiore importanza alle questioni di difesa e sicurezza nell’Asia-Pacifico.

Più di 1.300 persone sono morte in Arabia Saudita durante il pellegrinaggio sacro dell’Hajj, a causa del caldo.

Venerdì 28 giugno è giorno di elezioni in Iran e Mongolia. In Iran, dopo l’improvvista morte di Ebrahim Raisi, si vota per il nuovo presidente. In Mongolia si elegge il nuovo parlamento, che verrà allargato: si passerà da 76 a 126 seggi.

A cura di Francesco Mattogno