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L’Altra Asia – Cosa succede in Asia centrale, con Giulia Sciorati

In Asia Centrale, Sud Est Asiatico by Francesco Mattogno

Il vertice annuale in Kazakistan tra i leader dei paesi membri della SCO è un’ottima occasione per parlare un po’ di Asia centrale, con Giulia Sciorati. Sono ripresi i combattimenti nello Stato Shan, in Myanmar. Le Filippine a due anni dall’ascesa al potere di Marcos, i risultati del voto in Mongolia, gli aggiornamenti dal Vietnam, il nuovo senato (che ancora non c’è) in Thailandia e i consigli di lettura. L’Altra Asia è una rubrica sui paesi meno raccontati del continente a cura di Francesco Mattogno (clicca qui per tutte le puntate)

Gli argomenti della puntata di questa settimana, nel dettaglio:

  1. Asia centrale – Il summit SCO in Kazakistan, l’intervista a Giulia Sciorati
  2. Myanmar – La ripresa dei combattimenti nello Stato Shan, i rapporti con la Cina e gli Stati Uniti, peggiora la crisi umanitaria
  3. Filippine – Due anni di Marcos, il bluff di Sara Duterte, l’assoluzione di de Lima, il mar Cinese meridionale
  4. Mongolia – I risultati delle elezioni del 28 giugno
  5. Vietnam – Il primo ministro in Cina, le accuse di violazioni dei diritti umani
  6. Thailandia – Il nuovo senato e i suoi problemi

Il 3 e 4 luglio è in programma ad Astana, in Kazakistan, il summit annuale della Shanghai Cooperation Organisation (SCO), organizzazione fondata nel 2001 ed erede della Shanghai Five. La SCO comprende 9 stati membri (Cina, Russia, Kazakistan, Uzbekistan, Tagikistan, Kirghizistan, India, Pakistan e Iran) ma riunisce anche vari paesi osservatori e partner di dialogo, arrivando a includere al suo interno circa la metà della popolazione e un terzo del PIL mondiale. Nata con una forte impronta regionale – volta alla sicurezza dei confini in Asia centrale contro “terrorismo, separatismo ed estremismo” dopo il crollo dell’Unione Sovietica -, nel tempo la SCO ha assunto un ruolo attrattivo per i paesi del Sud Globale, ampliando le sue funzioni anche ad altri settori, come la cooperazione economica, scientifica e culturale. Al summit di quest’anno, dopo l’ingresso di Iran (2023), India e Pakistan (2017), è previsto che anche la Bielorussia si unirà all’organizzazione.

Negli anni l’allargamento della SCO ha un po’ preoccupato i paesi dell’Asia centrale, timorosi di perdere il loro ruolo di perno all’interno del gruppo, di cui invece vogliono restare un punto fermo. Con il summit di Astana si concluderà la presidenza annuale del Kazakistan, che cederà la palla alla Cina fino a luglio del 2025. Durante questo anno da leader dell’organizzazione lo stato centro-asiatico ha cercato di rafforzare i legami economici tra i paesi membri, dando anche rilevanza alla protezione ambientale, tanto da ribattezzare il 2023-24 della SCO come “L’anno dell’ecologia”.

Come spesso accade, il vertice tra i leader della SCO è anche occasione per incontri bilaterali e multilaterali. Tra gli altri, in questi giorni sono arrivati in Kazakistan il presidente cinese Xi Jinping (che ha già incontrato il presidente kazako Kassym-Jomart Tokayev: dopo il summit SCO Xi andrà in Tagikistan) e quello russo, Vladimir Putin. Non ci sarà invece il primo ministro indiano Narendra Modi.

Il summit di Astana è anche una buona occasione per riportare i riflettori sull’Asia centrale, regione che rientra a pieno titolo nell’Altra Asia raccontata in questa rubrica. Ne abbiamo parlato con Giulia Sciorati, ricercatrice alla London School of Economics and Political Science ed esperta di Asia centrale.

Perché l’Asia centrale è importante?

Al di là degli stereotipi, legati al fatto che la regione sia da sempre una zona di passaggio tra Europa e Asia, e quindi “al centro del mondo”, penso che la cosa da tenere a mente oggi è che sia una regione che sta cambiando velocemente. L’Asia centrale si inserisce all’interno di un vicinato strategico, quello tra Russia e Cina, e il suo cambiamento va a esplicitarsi quindi in un contesto che è molto diverso rispetto a quello di qualsiasi altra regione del mondo.

Quello che sta cambiando è anche il passaggio dall’influenza di Mosca a quella sempre più forte di Pechino nell’area?

È un discorso complicato, forse andrebbe fatto più sul piano sistemico, che regionale. Senza dubbio l’attuale situazione della Russia [impegnata nella guerra in Ucraina] ha ridotto il suo peso politico nell’area. Nel contempo la Cina ha incrementato la sua influenza, non solo a livello di élite, ma anche di società civile, soprattutto nei paesi che confinano con la Repubblica Popolare, cioè Kazakistan, Kirghizistan e Tagikistan. Li trattiamo tutti come un’unica cosa, ma sono 5 paesi molto diversi. Si può dire che oggi la popolazione regionale è molto diffidente nei confronti della Russia, proprio per quello che sta succedendo in Ucraina, anche perché storicamente il Kazakistan ha avuto per l’Unione Sovietica un ruolo molto simile a quello di Kiev, seppur nel contesto dell’estremo oriente sovietico. Su questo la Cina, sempre in modo molto sottile, si è espressa a favore del Kazakistan [sostenendone «l’integrità territoriale»]. È una cosa che non avviene molto spesso.

Va detto che nella regione, per quanto non sono forti come quella russa e cinese, ci sono anche altre influenze esterne. La Corea del Sud, ad esempio, è una potenza che si sta spendendo molto per l’Asia centrale. Va tenuta in considerazione soprattutto l’attrazione che tutto ciò che è sudcoreano ha per la società civile di questi paesi, dove esiste inoltre una fiorente comunità coreana, soprattutto nella zona di Almaty, in Kazakistan.

Quanto è importante la SCO?

Tutti i paesi membri danno molta importanza all’organizzazione, non soltanto gli stati centro-asiatici, ma anche Russia e Cina per motivazioni diverse. Per Mosca la SCO oggi serve a dimostrare che il paese non è completamente isolato a livello internazionale, mentre Pechino dà molto valore alla regione anche per questioni di stabilità. I confini occidentali della Repubblica Popolare non sono in discussione, al contrario di quanto accade in altre zone del paese, e questo è molto importante per la Cina.

Il Turkmenistan entrerà mai nell’organizzazione?

Mi sembra molto improbabile per quella che è la dimensione del regime turkmeno, che rende difficile qualsiasi tipo di cooperazione internazionale. Sicuramente però è rilevante il fatto che il Turkmenistan abbia un ruolo all’interno della SCO, anche se minoritario, in quanto assiste come esterno a tutti i lavori dell’organizzazione. Il che è già un passo avanti per avere un organismo che sia realmente regionale.

Come se la passano internamente i paesi dell’Asia centrale?

Ci sono state negli ultimi anni una serie di proteste interne contro i vari governi regionali, dovute per esempio a brogli parlamentari o all’imposizione di nuove tasse che hanno messo in difficoltà la popolazione. Rispetto a un decennio fa la situazione generale è però molto più tranquilla. Forse il paese da guardare con più attenzione è il Kazakistan, perché l’attuale presidente Tokayev – che è soltanto il secondo presidente dall’indipendenza del paese, dopo Nursultan Nazarbayev – deve confrontarsi con una serie di opposizioni al suo governo. Dopo le proteste del 2022 ha dimostrato di avere qualche difficoltà a mantenere la stabilità interna, e il fatto che abbia richiesto l’intervento del CSTO [l’alleanza militare con la Russia e altri paesi ex sovietici] per sedare le contestazioni non è stato visto di buon occhio dalla popolazione kazaka. Comunque il Kazakistan rimane un paese che possiamo definire stabile e in cui è difficile aspettarsi una rivoluzione, almeno a breve.

MYANMAR – RIPRENDONO I COMBATTIMENTI NELLO STATO SHAN

Dopo settimane di progressivo aumento delle tensioni, con reciproche accuse di violazioni dell’accordo di cessate il fuoco, il 25 giugno sono infine ripresi i combattimenti nel nord dello Stato Shan tra le forze ribelli della Three Brotherhood Alliance (3BHA) e l’esercito birmano. Nel giro di qualche giorno il Ta’ang National Liberation Army (TNLA) e i suoi alleati hanno conquistato le città di Kyaukme e Nawnghkio, al confine con la regione di Mandalay, nella quale avrebbero già sfondato, prendendosi parte della città di Mogoke e diverse basi militari. Il regime ha risposto a suo modo: con bombardamenti e attacchi indiscriminati. Dalla ripresa degli scontri si contano già oltre 20 morti e 30 feriti civili, mentre gli sfollati sarebbero più di 3 mila.

Secondo le parole dei suoi stessi portavoce, il TNLA sta combattendo al fianco di vari battaglioni delle People’s Defence Forces (PDF), le milizie connesse al governo democratico in esilio, e del Myanmar National Democratic Alliance Army (MNDAA). L’altro esercito etnico parte della 3BHA, l’Arakan Army (AA), non è direttamente coinvolto negli ultimi scontri perché impegnato a “casa sua”, nello Stato Rakhine, che ormai controlla per gran parte (recentemente l’AA ha conquistato l’aeroporto di Thandwe: è il primo aeroporto a cadere dalle mani dell’esercito dal golpe del 2021).

La ripresa dei combattimenti nel nord del paese è una notizia importante anche dal punto di vista simbolico. L’Operazione 1027, cioè la grande offensiva lanciata dalla 3BHA lo scorso 27 ottobre, ha cambiato l’inerzia della guerra civile. In pochi mesi i ribelli hanno conquistato quasi 20 città nel nord dello Stato Shan, interrompendo gran parte del commercio transfrontaliero con la Cina e colpendo duramente le finanze del regime. All’Operazione 1027 sono seguite altre offensive in tutti gli stati delle minoranze etniche (Rakhine, Chin, Kayah, Kachin, Kayin, Mon), che hanno comportato grandi perdite territoriali, economiche e di prestigio per la giunta, da allora arroccata soprattutto nel centro del paese. Dopo mesi di quiete apparente nel nord Shan, dovuti al cessate il fuoco, adesso la 3BHA potrebbe quindi espandere il proprio controllo anche su un pezzo della regione di Mandalay.

Il cessate il fuoco di gennaio era stato firmato grazie alla mediazione della Cina, che ora dovrà pensare a una nuova strategia (o a un nuovo accordo) per stabilizzare la situazione ai suoi confini. La scorsa settimana Pechino ha accolto Thein Sein, ex generale e presidente del Myanmar dal 2011 al 2016, a pochi giorni da un report di Justice for Myanmar che evidenziava la connessione tra le aziende cinesi e i nuovi sistemi di sorveglianza digitale dispiegati dall’esercito (ne abbiamo parlato qui). Sein ha incontrato il ministro degli Esteri cinese Wang Yi: è probabile che l’ex presidente gli abbia chiesto di fare qualcosa proprio in riferimento ai nuovi scontri nello Stato Shan.

Restando sul fronte della diplomazia, Daniel Kritenbrink, aiutante del segretario di Stato americano per gli affari dell’Asia orientale e del Pacifico, ha incontrato un comandante della marina birmana, Kyaw Lin Zaw, a margine della sua visita ad Hanoi del 21 e 22 giugno. Il meeting segnala due cose: il cambio di approccio degli Stati Uniti, che fin qui avevano evitato i bilaterali con i rappresentanti della giunta delegando la soluzione del conflitto ai paesi ASEAN, e la probabile volontà dell’esercito di tenersi aperti tutti i canali diplomatici in vista di un eventuale futuro accordo di pace. Ne ha parlato Sebastian Strangio del Diplomat, qui.

Altre cose in breve. Le autorità hanno arrestato oltre 50 commercianti per aver venduto riso a prezzi superiori rispetto a quelli decisi arbitrariamente dal regime (la giunta non ha però tenuto conto dei costi per i venditori, che alle soglie indicate andrebbero in perdita). Tra gli arrestati c’è anche un uomo giapponese, e Tokyo ha protestato. In due mesi dall’entrata in vigore della legge sulla leva obbligatoria l’esercito ha arruolato 15 mila persone: le prime 5 mila dovrebbero essere entrate in servizio a fine giugno. Il 75% della popolazione del Myanmar si trova in condizioni di povertà: si tratta 42 milioni di persone, 13,3 milioni sono in stato di insicurezza alimentare. Metà del paese invece non ha accesso a internet.

Medici Senza Frontiere ha dovuto interrompere le operazioni nel Rakhine (dove la situazione umanitaria è particolarmente grave) a causa dei pericoli per il personale, mentre anche l’ONU fa fatica a mandare aiuti in Myanmar. Ci sono state gravi inondazioni a Myitkyina, il capoluogo dello Stato Kachin. I monaci  buddhisti stanno boicottando il regime a Mandalay, dopo l’uccisione di uno di loro per mano dei militari. Il leader della giunta, Min Aung Hlaing, ha sostituito per questo il capo del comando centrale dell’esercito Kyi Khaing, scrive l’Irrawaddy.

FILIPPINE – DUE ANNI DI MARCOS, UN FUTURO DI DUTERTE?

Lo scorso 30 giugno ha segnato due anni esatti dall’inizio del mandato da presidente delle Filippine di Ferdinand Marcos Jr. Come sta andando, fin qui? Non troppo bene, scrive Rappler, almeno sul piano interno. Il presidente non ha tenuto fede alle promesse sulla crescita economia e ha commesso vari errori nella gestione del suo governo, lasciando trapelare una certa approssimazione su nomine e obiettivi politici. Secondo i sondaggi, che lo danno in calo, uno dei pochi aspetti positivi riguarda il suo approccio alle controversie con la Cina nel mar Cinese meridionale: il 76% dei filippini approva come Manila sta affrontando Pechino.

Intanto l’ex presidente Rodrigo Duterte e due dei suoi figli, Sebastian (sindaco di Davao) e Paolo, si candideranno per un posto al senato alle elezioni di metà mandato, nel 2025. Dopo le dimissioni da segretaria all’Educazione (di cui abbiano trattato approfonditamente qui), la vicepresidente Sara Duterte sta cercando di sminuire le voci sulla sua possibile candidatura alla presidenza nel 2028: per diversi analisti si tratta di un «bluff», un depistaggio. Restando in politica interna, l’ex senatrice e attuale portavoce del Partito Liberale, Leila de Lima, è stata assolta da tutte le accuse per cospirazione e traffico di droga. Era rimasta in carcere sette anni, prima di essere liberata su cauzione a novembre del 2023. Ora i giudici dicono che non esistono prove di un suo coinvolgimento in atti illeciti: ad accusarla, per molti pretestuosamente, era stato l’ex presidente Rodrigo Duterte.

Mar Cinese meridionale. Secondo fonti del Nikkei, a luglio le Filippine terranno un dialogo 2+2 (ministri degli Esteri + ministri della Difesa) con gli Stati Uniti, dopo quello con il Giappone. Marcos ha deciso di non pubblicizzare più le operazioni di rifornimento alla Sierra Madre, dopo i fatti del 17 giugno, che Manila ha definito «deliberati», ritrattando le prime versioni che parlavano di un «incidente». Il presidente ha anche detto che le Filippine non devono limitarsi a «protestare contro le azioni illegali della Cina», senza specificare ulteriormente. Nel frattempo la guardia costiera cinese non avrebbe aiutato 8 pescatori filippini rimasti alla deriva dopo l’esplosione di uno dei motori della loro imbarcazione. Martedì, a Manila, alcuni funzionari cinesi e filippini si sono incontrati per cercare di allentare le tensioni nella regione (ne abbiamo parlato qui).

MONGOLIA – I RISULTATI DEL VOTO

Il 28 giugno in Mongolia si è votato per le elezioni parlamentari, che hanno visto uscire vincitore ancora una volta il Partito del Popolo Mongolo (MPP), l’ex partito unico comunista che ha guidato il paese dal 1921 alla democratizzazione del 1990. L’MPP governa ininterrottamente dal 2016, ma questa volta ha ottenuto una maggioranza molto più risicata che in passato, complice anche l’aumento del numero dei parlamentari. Nel 2023, a seguito di varie riforme costituzionali, la Mongolia ha portato il parlamento da 76 a 126 seggi, riducendo inoltre il numero dei distretti (da 29 a 13) e ponendo la condizione che almeno il 30% dei candidati di ogni partito fosse di genere femminile. A queste elezioni l’MPP ha vinto con il 54% delle preferenze, ottenendo 68 seggi (dal 2020 al 2024 ha controllato invece 61 seggi su 76). Il secondo partito più votato è stato il suo storico antagonista, il Partito Democratico (DP), che ha eletto 42 deputati.

Secondo vari analisti, la composizione del nuovo parlamento comporterà una maggior necessità da parte dell’MPP di dialogare con l’opposizione, anche se probabilmente questo non porterà a cambiamenti significativi sul piano delle politiche economiche. Mentre tutti i partiti di opposizione spingono per una più vasta privatizzazione del mercato, il partito di governo è a favore della forte presenza statale nell’economia, che conta molto sull’export di materie prime (carbone e rame su tutte).

L’eccessiva dipendenza della Mongolia dai combustibili fossili – che rendono la capitale Ulan Bator una delle città più inquinate al mondo – rappresenta, insieme alla corruzione diffusa, uno dei grandi problemi del paese, che tra l’altro esporta in Cina l’80% dei suoi prodotti. Il PIL mongolo è cresciuto del 7% nel 2023, ma per il 2024 le previsioni della Banca Mondiale sono al ribasso. Nonostante ci siano stati vari problemi logistici legati alla conformazione dei nuovi distretti, le recenti riforme hanno comunque avuto vari effetti positivi: il nuovo parlamento allargato ha una composizione più omogenea ed è aumentata la rappresentanza femminile, passata dal 17% al 25%.

Di Mongolia ha parlato recentemente il giornalista di Chora Media e fondatore di China Files Simone Pieranni nel podcast Altri Orienti, curato insieme a Matteo Miavaldi, e nel suo canale Youtube.

VIETNAM – IL PRIMO MINISTRO IN CINA, TRAFFICO DI ESSERI UMANI

Il primo ministro vietnamita Pham Minh Chinh è stato in Cina dal 24 al 27 giugno per partecipare al World Economic Forum di Dalian, senza dimenticarsi di passare per Pechino. Nella capitale cinese Chinh ha incontrato il presidente della Repubblica Popolare Xi Jinping e Wang Huning, presidente della Conferenza consultiva politica del popolo cinese e membro del comitato permanente del politburo del Partito Comunista Cinese. Si è parlato di cooperazione economica e di «gestire correttamente le questioni marittime», in riferimento alle controversie sul mar Cinese meridionale (che il Vietnam affronta in modo abbastanza diverso dalle Filippine). La visita di Chinh arriva poco dopo il viaggio del presidente russo Vladimir Putin in Vietnam, seguito dal funzionario americano Daniel Kritenbrink, e quasi in contemporanea alla trasferta del ministro della Pianificazione e degli Investimenti Nguyen Chi Dun a Washington. La “bamboo diplomacy” al suo massimo splendore.

Altre cose in breve. Secondo un report di Project88, gruppo di attivisti che qualche mese fa ha scoperto la “Direttiva 24”, il governo vietnamita avrebbe volontariamente insabbiato vari procedimenti penali che coinvolgono dei funzionari statali implicati in casi di traffico di esseri umani. L’attivista vietnamita Y Quynh Bdap, arrestato in Thailandia l’11 giugno, potrebbe essere estradato in Vietnam tra le proteste dei gruppi per la tutela dei diritti umani. Il 1° luglio è entrata in vigore la legge che impone di consegnare allo stato i propri dati biometrici al momento della registrazione per il nuovo documento d’identità (ne abbiamo parlato qui). Il PIL vietnamita è cresciuto del 6,93% nel secondo trimestre del 2024. Chi è To Lam, il nuovo presidente del Vietnam, tra lotte per il potere e timori di maggiore autoritarismo: un articolo di East Asia Forum e uno di Al Jazeera.

THAILANDIA – IL NUOVO SENATO… ARRIVERÀ

Il 27 giugno si è concluso il lungo e controverso processo di elezione del nuovo senato thailandese, di cui forse non si conoscerà la composizione ancora per qualche giorno (l’arrivo di oltre 600 reclami alla commissione elettorale ha fatto rimandare l’annuncio dei risultati, previsto inizialmente per il 3 luglio). I futuri senatori hanno dovuto passare varie selezioni a livello locale, provinciale e nazionale, ma a far discutere sono state soprattutto le modalità di voto.

Il nuovo senato non è stato eletto dai cittadini, ma dagli stessi candidati che avevano il compito di votarsi tra loro. Questo, oltre a preannunciare scontate manovre d’influenza da parte dei partiti politici e compravendite di voti (ci sono già varie denunce), ha portato gli aspiranti senatori a votare per i candidati considerati più “deboli”, così da avere maggiori possibilità di essere eletti, sconfiggendo le figure più popolari e creando di fatto una selezione “al ribasso”. E infatti molti volti noti, tra cui l’ex premier Somchai Wongasawat, sono stati fatti fuori a sorpresa.

Secondo le prime stime il Bhumjaithai, terza forza politica alla camera, sarebbe riuscito a far eleggere ben 123 senatori (su 200 totali) affiliati al partito. Si tratta di una grande vittoria per i conservatori e di una brutta notizia per il Pheu Thai, che diventa così più ricattabile da un suo “alleato” di governo. Il nuovo senato non potrà più votare per nominare il primo ministro, ma conserverà una serie di poteri, come la revisione dei disegni di legge e la nomina dei membri della commissione elettorale e della corte costituzionale.

Intanto i casi alla corte costituzionale contro il primo ministro Srettha Thavisin (che rischia di essere rimosso: qui per maggiori dettagli) e il Move Forward (che rischia lo scioglimento: qui per maggiori dettagli) non dovrebbero protrarsi oltre settembre, ha detto il presidente del tribunale, Nakarin Mektrairat. L’ex premier Thaksin Shinawatra, ancora in libertà condizionale, si sta forse prendendo troppe libertà politiche. La popolarità di Srettha sta colando a picco. Il 30 giugno un attentato nel sud del paese ha ucciso una donna e fatto almeno 18 feriti.

LINK DALL’ALTRA ASIA

In Indonesia un attacco hacker ha bucato le difese del Centro Dati Nazionale causando l’interruzione di molti servizi governativi, soprattutto legati all’immigrazione. Gli hacker hanno chiesto un riscatto da 8 milioni di dollari, che il governo ha detto di non voler pagare. Oltre alla bassa sicurezza del sistema ha fatto discutere anche l’ammissione da parte delle autorità che solo il 2% dei dati fosse dotato di un backup di emergenza.

Il governo cambogiano ha lanciato una sua piattaforma social, CoolApp Messenger. Le autorità promettono sicurezza e privacy ma tutti temono sia uno spyware, scrive il Cambodia Daily.

Il premier delle Isole Salomone Jeremiah Manele, eletto a maggio, ha scelto l’Australia come suo primo viaggio all’estero.

Il Pakistan sta pianificando di lanciare nuove operazioni di antiterrorismo. E intanto un’agenzia dell’ONU dice che la detenzione dell’ex premier Imran Khan vìola il diritto internazionale.

Il 5 luglio in Iran si vota per il secondo turno delle elezioni presidenziali: sono andati al ballottaggio il riformista Masoud Pezeshkian e l’ultraconservatore Saeed Jalili.

Lo Sri Lanka ha concluso un accordo di ristrutturazione del debito (ne abbiamo parlato qui). Un approfondimento sul paese a due anni dal default, qui.

“Esplorando le valli nascoste e i percorsi naturalistici del Bhutan”. È il titolo di un bellissimo articolo pubblicato sul Nikkei a cura di Zinara Rathnayake, consigliato per saperne di più su questo paese dell’Asia meridionale che misura la sua crescita in “Felicità interna lorda”.

A cura di Francesco Mattogno