Sono passati quasi due anni da quando lo Sri Lanka è andato in default, a maggio del 2022. Il paese è in ripresa ma gran parte della popolazione vive ancora in condizioni drammatiche. Il matrimonio egualitario in Thailandia sta per diventare legge, in Myanmar i ribelli puntano alla capitale, i rapporti tra Singapore e Israele (e l’incidente di Baltimora), uno stop per il governo malaysiano, Putin invitato in Vietnam e i consigli di lettura. L’Altra Asia è una rubrica sui paesi meno raccontati del continente (clicca qui per le altre puntate)
Il 14 novembre del 2023 la corte suprema dello Sri Lanka ha dichiarato la famiglia Rajapaksa colpevole di aver innescato la durissima crisi economica del paese, entrato in default a maggio del 2022. La sentenza, per quanto ampiamente simbolica (i Rajapaksa sono solo stati obbligati a pagare l’equivalente di 450 dollari in spese legali all’accusa), potrebbe aver chiuso definitivamente l’epoca d’oro di una famiglia che per oltre un decennio ha dominato la politica srilankese. Lo suggeriscono i sondaggi. Nell’ultima rilevazione dell’Institute for Health Policy a febbraio il sostegno per il Fronte Popolare dello Sri Lanka (SLPP), cioè il partito dei Rajapaksa, non ha superato il 7%.
Due anni fa, prima del default, i Rajapaksa controllavano le principali istituzioni statali e governative dello Sri Lanka, esprimendo il presidente (Gotabaya Rajapaksa), il primo ministro (Mahinda Rajapaksa), il ministro delle Finanze (Basil Rajapaksa), il ministro dell’Irrigazione (Chamal Rajapaksa) e il ministro della Gioventù e dello Sport (Namal Rajapaksa). Dopo anni di spesa pubblica insostenibile, aggravata dalla crisi pandemica e dall’aumento dei prezzi dei combustibili fossili legato all’invasione russa dell’Ucraina, ad aprile del 2022 Colombo non è riuscita a pagare ai creditori gli interessi sul proprio debito pubblico, prima di andare ufficialmente in bancarotta a maggio.
Proprio tra aprile e maggio, nel tentativo di salvare il presidente Gotabaya, arrivarono le dimissioni di tutti i ministri della famiglia Rajapaksa e del premier Mahinda. Non è bastato. A luglio decine di migliaia di manifestanti, che da mesi scendevano in strada per protestare contro il governo, hanno invaso il palazzo presidenziale e dato fuoco alla residenza del primo ministro, che all’epoca era Ranil Wickremesinghe. Le immagini dell’assalto hanno fatto il giro del mondo (una galleria di Al Jazeera, qui) e il 12 luglio Gotabaya, fuggito nelle Maldive, si è infine dimesso da capo dello Stato.
Due anni fa gli srilankesi protestavano a causa della carenza beni di prima necessità, come cibo, medicinali e carburante, strangolati dall’inflazione e dallo smantellamento di qualunque forma di sostegno sociale. Cosa è cambiato oggi, due anni dopo?
Lo Sri Lanka si sta riprendendo, con fatica. A marzo l’inflazione è scesa allo 0,9% (il picco era stato a settembre 2022, quando aveva raggiunto il 70%), mentre il PIL nel 2023 si è contratto “solo” del 3,8%, contro il -7,8% del 2022. È un dato positivo perché nell’ultimo trimestre dello scorso anno il PIL è cresciuto del 4,5% e secondo le previsioni il 2024 potrebbe chiudersi intorno al +2%. Come ulteriore sintomo della graduale ripresa economica del paese, le riserve di valuta estera, che a maggio del 2022 ammontavano a soli 20 milioni di dollari, sono tornate a superare i 3 miliardi di dollari. Complice anche la ripresa del settore del turismo: nel 2023 hanno visitato il paese 1,5 milioni di persone, che il governo spera diventino 2,5 milioni nel 2024.
Nonostante l’ottimismo legato all’analisi dei dati macroeconomici, le condizioni di vita di buona parte della popolazione restano drammatiche. Il 25% degli srilankesi si trova al di sotto della soglia di povertà (cioè vive con meno di 3,65 dollari al giorno), un valore raddoppiato rispetto al 2022, mentre il 17% si trova in uno stato di grave insicurezza alimentare e ha bisogno di assistenza umanitaria. A essere colpiti dalla malnutrizione sono soprattutto i bambini.
Una delle principali preoccupazioni delle famiglie è il costo dell’energia elettrica, che milioni di persone non riescono più a sostenere. Gli enormi rincari delle bollette energetiche fanno parte delle tante misure di austerità introdotte dal nuovo governo per rimettere in piedi i bilanci pubblici. Dopo la fuga di Gotabaya, il parlamento (a maggioranza SLPP) ha nominato presidente Wickremesinghe, per anni ritenuto uno dei principali rivali dei Rajapaksa ma probabilmente molto più vicino all’establishment di quanto potesse apparire. A marzo del 2023 il nuovo capo dello Stato ha firmato un accordo con il Fondo Monetario Internazionale (IMF) per un piano di salvataggio da circa 3 miliardi di dollari, da ricevere in quattro anni. L’IMF ha approvato l’erogazione della seconda rata da 337 milioni lo scorso 21 marzo.
In cambio Wickremesinghe ha dovuto introdurre una serie di misure restrittive per stabilizzare l’economia srilankese. Il suo governo ha alzato i tassi di interesse per contrastare l’inflazione, rimosso i sussidi sui carburanti e aumentato le tasse, riportando in carreggiata l’economia del paese a carico delle categorie più fragili della popolazione (e senza introdurre vere e proprie riforme strutturali). Lo Sri Lanka ha poi ristrutturato parte del suo debito bilaterale con India, Cina e con i paesi del Club di Parigi, ricevendo una serie di finanziamenti anche dalla Banca Mondiale (250 milioni di dollari) e dall’Asian Development Bank (200 milioni). Le politiche di austerità non hanno giovato alla popolarità di Wickremesinghe, per cui oggi voterebbe solo il 6% degli srilankesi.
Il presidente, a cui gli analisti riconoscono vari meriti sul fronte della gestione economica, è finito nel mirino della comunità internazionale a causa di alcune decisioni controverse. A gennaio, presentandola come una norma volta a contrastare i crimini online, il parlamento ha approvato una legge sulla sicurezza di internet che secondo i critici (come Amnesty International, Human Rights Watch e l’Alto Commissario per i Diritti Umani delle Nazioni Unite, Volker Türk) potrebbe portare a una restrizione della libertà di espressione dei cittadini srilankesi. Wickremesinghe è poi accusato di aver adottato altre misure repressive del dissenso, in particolare della minoranza Tamil, e di aver avviato un’enorme campagna anti-droga al solo scopo di aumentare il proprio livello di approvazione. Si parla di più di 58 mila arresti da dicembre, in molti casi arbitrari e quasi sempre riguardanti piccoli spacciatori (cioè persone marginalizzate e in difficoltà economiche).
Il 2024 è inoltre l’anno delle elezioni presidenziali: non c’è ancora una data ufficiale, ma si dovrebbe votare tra il 17 settembre e il 17 ottobre. Vista la sua impopolarità lo SLPP potrebbe non presentare alcun candidato e appoggiare Wickremesinghe, a capo del Partito Nazionale Unito (UNP). In ogni caso, l’opposizione è strafavorita per la vittoria. Il leader del Fronte di Liberazione Popolare (JVP), Anura Kumara Dissanayake, è dato al 53% delle preferenze, seguito da Sajith Premadasa (34%) del Potere Popolare Unito (SJB). Il JVP è un partito socialista e guida la coalizione di sinistra del Potere Popolare Nazionale (NPP), che ha avuto un ruolo molto importante nelle proteste del 2022. Si ritiene che la coalizione potrebbe ottenere la maggioranza anche alle elezioni parlamentari, che dovrebbero tenersi entro il 2025.
L’affidabilità dei sondaggi, che tengono poco conto delle zone del paese in cui è particolarmente forte il ruolo delle minoranze etniche, non è assoluta. Ma che Dissanayake sia in grande vantaggio lo pensano tutti. Negli ultimi due anni il leader del JVP, che alle presidenziali del 2019 aveva ottenuto solo il 3% dei voti, è riuscito spesso a mobilitare le masse, raccogliendo consensi grazie alle sue promesse di rivedere le politiche di austerità e combattere la corruzione. Delle ottime possibilità dell’opposizione se ne sono accorti anche all’estero: a febbraio il governo indiano ha invitato una delegazione dell’NPP a visitare il paese, e la coalizione ha già parlato con alcuni rappresentanti dell’IMF in vista di un eventuale futuro al governo.
SRI LANKA/2 – LA POLITICA ESTERA
Un’altra delle critiche che vengono mosse nei confronti del governo di Wickremesinghe riguarda «l’inconsistenza della sua politica estera», scrive il Diplomat. Per esempio, qualche giorno fa ha lasciato perplessi la decisione del presidente di consentire l’attracco di una nave da ricerca tedesca nel porto di Colombo. Solo a gennaio il governo aveva detto che per un anno non avrebbe permesso a nessuna imbarcazione da ricerca straniera di fare tappa nei porti del paese, una decisione che secondo gli osservatori era stata presa a seguito delle pressioni americane e indiane, finalizzate a impedire che navi da ricerca cinesi sostassero nelle acque srilankesi (come era successo a ottobre 2023, tra le proteste di Nuova Delhi).
Secondo fonti del Diplomat il dietrofront avrebbe fatto molto arrabbiare Pechino, proprio a pochi giorni di distanza dalla visita del premier Dinesh Gunawardena in Cina. Durante il suo tour cinese (25-30 marzo) il primo ministro ha incontrato il presidente Xi Jinping, il premier Li Qiang e il presidente dell’Assemblea Nazionale del Popolo, Zhao Leji. Si era parlato soprattutto di Belt and Road Initiative (BRI) e di economia, ma anche di «cooperazione nella ricerca marittima», appunto.
Intanto centinaia di srilankesi combattono con l’esercito russo in Ucraina, per soldi. È un’altra dimostrazione che la crisi è tutt’altro che alle spalle. Al Jazeera racconta alcune delle loro storie. Qui invece un articolo del Diplomat per approfondire quali sono i programmi dei partiti di opposizione in vista delle elezioni presidenziali e parlamentari. Negli ultimi giorni hanno fatto discutere le parole dell’ex presidente Maithripala Sirisena, che ha dichiarato di conoscere chi fosse il mandante degli attentati di Pasqua del 2019, nei quali morirono più di 250 persone. Il 25 marzo Sirisena è stato interrogato dalla polizia.
THAILANDIA – IL MATRIMONIO EGUALITARIO È QUASI LEGGE
Il 27 marzo la camera dei rappresentanti thailandese ha approvato a larghissima maggioranza (400 voti favorevoli, 10 contrari, 2 astenuti) la proposta di legge sul matrimonio egualitario. Si tratta di un passo fondamentale, ma non ancora definitivo, verso il riconoscimento del matrimonio e di tutti i diritti che ne conseguono (come sgravi fiscali, diritti ereditari e sul trattamento ospedaliero) anche alle coppie non eterosessuali. La bozza di legge racchiude in un unico testo le quattro diverse proposte già approvate dalla camera lo scorso dicembre, presentate dai partiti di governo e di opposizione, oltre che dalle associazioni che si occupano dei diritti della comunità LGBTQ+. Sul piano tecnico, la legge presenterà vari cambiamenti a 68 disposizioni sul matrimonio contenute all’interno del codice civile e commerciale thailandese. Per esempio, i termini “uomo” e “donna” verranno sostituiti da “individui”, mentre da “marito e moglie” si passerà a “partner matrimoniali”. Non verrà invece cambiata la dicitura “ madre e padre”: la camera ha rigettato la possibilità di mettere al suo posto il termine generico di “genitori”. Nonostante questo, la legge riconoscerà anche alle coppie non eterosessuali il diritto di adottare dei bambini.
Ora la palla passa al senato, che ha 60 giorni per approvare o respingere la proposta di legge. Secondo quasi tutti gli osservatori si tratta di una formalità: tendenzialmente la camera alta non mette mai in discussione una decisione della camera bassa presa a così larga maggioranza, e non esiste un fronte significativo di opposizione alla legge tra i 250 senatori. La prima discussione in senato della proposta è prevista per il 2 aprile. In caso di approvazione, prima di diventare legge servirà l’assenso del re (anche questo ritenuto una formalità), a seguito del quale dovranno passare altri mesi prima che la norma entri in vigore. Se tutto andrà come previsto, il matrimonio egualitario sarà legge in Thailandia entro la fine del 2024. A quel punto Bangkok si unirebbe a Nepal e Taiwan, gli altri due luoghi in Asia dove è legale il matrimonio tra coppie non eterosessuali.
A proposito di senato thailandese. Il mandato dei 250 senatori, nominati dalla giunta militare nel 2017, scade il prossimo 11 maggio. Poi si dovranno tenere delle elezioni indirette per nominare la nuova camera alta, che sarà composta da 200 senatori. A votare saranno i candidati stessi, in un meccanismo piuttosto contorto e discusso. Si temono manipolazioni e compravendita di voti.
Altre notizie brevi dalla Thailandia. Il 22 marzo nel sud del paese (da decenni instabile per la presenza di gruppi separatisti musulmani) ci sono stati circa 40 attacchi coordinati, con esplosioni e incendi: è morta una donna originaria del Myanmar. L’ex premier Thaksin Shinawatra ha potuto visitare il quartier generale del Pheu Thai, anche se si trova in libertà vigilata. Il Move Forward (cioè “Andiamo avanti”, in thai “Kao Klai”) ha smentito la possibilità che, in caso di scioglimento, i suoi membri entreranno in un partito chiamato “Kao Mai”, ovvero “Nuovo passo/step” o “Passo avanti”. In italiano non suona granché.
MYANMAR – «L’OBIETTIVO È NAYPYITAW»
In anticipo rispetto alle previsioni, secondo le quali si sarebbe aspettato la metà di aprile, il 29 marzo l’esercito birmano ha già cominciato le operazioni di coscrizione obbligatoria della prima ondata di reclute nelle regioni di Naypyitaw, Yangon e Magway. Il 27 marzo il regime ha tenuto la sua annuale parata per celebrare il 79° Giorno delle Forze Armate, in un’atmosfera molto più dimessa del solito, con un minor numero di truppe e pochissimi armamenti e veicoli militari. Anche da questo si denotano le difficoltà dell’esercito, fiaccato dalla resistenza in diverse zone del paese. In particolare, come da mesi a questa parte, l’Arakan Army (AA) continua ad avanzare nello Stato del Rakhine, mentre prosegue senza sosta l’offensiva del Kachin Independent Army (KIA) e di altri gruppi nello Stato Kachin. Intanto nello Stato Kayin (Karen) il Karen National Liberation Army (KNLA), braccio armato della Karen National Union (KNU), ha conquistato la città di Papun. «L’obiettivo [finale] è l’invasione di Naypyitaw», cioè la capitale, ha detto un ufficiale della KNU al Nikkei. L’esercito birmano sta poi cercando di riprendersi parte del territorio perso nello Stato Shan, violando il cessate il fuoco firmato con la Three Brotherhood Alliance grazie alla mediazione della Cina: ci sono stati dei combattimenti vicino Lashio, riporta l’Irrawaddy.
Un articolo di Emanuele Giordana sulle “scam cities” birmane. Qui il Nikkei parla del mercato di anfetamine e altre droghe sintetiche, che dal Myanmar si diffondono in tutto il continente. Agnese Ranaldi di China Files parla dei raggiri sessuali di cui sono vittime le donne del paese.
SINGAPORE – I RAPPORTI CON ISRAELE E L’INCIDENTE DI BALTIMORA
La scorsa settimana il ministro della Legge e degli Interni di Singapore, Kasiviswanathan Shanmugam, ha ordinato all’ambasciata israeliana nel paese di rimuovere un post su Facebook nel quale affermava che «Israele è nominata 43 volte nel Corano, mentre la Palestina neanche una volta». Il post, accusato di fare revisionismo storico, è stato cancellato. Singapore ha storiche relazioni (anche militari) con Israele e non si è unita alle forti voci regionali di condanna delle operazioni militari israeliane a Gaza, ma allo stesso tempo 960 mila singaporiani sono di fede musulmana e il paese è intenzionato a mantenere dei buoni rapporti con gli Stati islamici. Due articoli di Asia Sentinel per approfondire, qui e qui.
La nave portacontainer che il 26 marzo ha colpito il ponte Francis Scott Key di Baltimora (negli Stati Uniti), facendolo collassare e uccidendo 6 persone, batteva bandiera di Singapore. Lo Straits Times spiega quali siano le responsabilità del paese secondo il diritto internazionale: una di queste è effettuare un’indagine per accertare che non siano state violate le norme sulla sicurezza. Singapore ne farà anche un’altra per vedere se incidenti simili potranno essere evitati in futuro.
Sono state sollevate altre 8 accuse contro l’ex ministro dei Trasporti, Subramaniam Iswaran, su cui ora pendono 35 incriminazioni. Avevamo parlato del suo caso qui.
MALAYSIA – NON UN BUON SEGNO PER IL GOVERNO
Il 27 marzo la camera bassa della Malaysia ha rimandato a giugno la votazione sugli emendamenti alla legge sulla cittadinanza. Il governo di Anwar Ibrahim aveva perso il sostegno di alcuni deputati della coalizione, scettici sui cambiamenti proposti dall’esecutivo. Già il 22 marzo il governo aveva fatto dei passi indietro su vari emendamenti a seguito delle critiche da parte della società civile, contraria alla rimozione dei diritti di cittadinanza previste per alcune categorie vulnerabili, come bambini apolidi o abbandonati. Sarebbero rimaste altre disposizioni volte a scoraggiare i matrimoni di convenienza e a cancellare i diritti di cittadinanza automatica per i bambini nati da coppie straniere residenti nel paese. Per la Commissione malaysiana sui diritti umani si trattava di «una tra le norme più regressive degli ultimi 50-60 anni». La mancanza di sostegno parlamentare non è un buon segno per Anwar, che deve già fare i conti con una coalizione tutt’altro che stabile per ragioni extraparlamentari.
VIETNAM – DA BIDEN A PUTIN, SENZA PROBLEMI
Il 26 marzo il segretario generale del Partito Comunista del Vietnam (CPV), Nguyen Phu Trong, ha invitato nel paese il presidente russo Vladimir Putin, che ha accettato. Negli stessi giorni il ministro degli Esteri vietnamita Bui Thanh Son si è recato negli Stati Uniti, dove ha incontrato il segretario di Stato americano Antony Blinken e il consigliere per la Sicurezza Nazionale, Jake Sullivan. Son ha dichiarato che il Vietnam spera di fare da ponte per colmare le divisioni tra Cina e Stati Uniti. Lo scorso anno Hanoi e Washington avevano firmato un partenariato strategico globale durante la visita del presidente americano Joe Biden nel paese. Sulla politica estera vietnamita, un articolo del direttore editoriale di China Files, Lorenzo Lamperti. Il corteggiamento dell’occidente, intenzionato tenere lontana Hanoi dall’influenza di Pechino e Mosca, sta permettendo al CPV di rafforzare indisturbato la repressione interna: un’analisi dell’esperto Dien Luong. Noi ne avevamo parlato qui.
LINK DALL’ALTRA ASIA
Il 26 marzo in Pakistan un attentato ha ucciso 5 operai cinesi della diga di Dasu, nel Khyber Pakhtunkhwa. È morto anche il loro autista. Si tratta del terzo attentato contro i progetti cinesi nel paese in una settimana. Del terrorismo in Pakistan ne avevamo parlato nell’ultima puntata.
I casi di antrace in Laos sono diventati più di 50. Intanto, Vientiane si è impegnata a rafforzare il partenariato strategico globale con la Cambogia. Un articolo di Deutsche Welle sullo stato dell’opposizione e della democrazia cambogiana, che avevamo trattato in questa puntata.
Alle Maldive fanno comodo i soldi dell’India, e per questo il presidente Mohamed Muizzu ha ammorbidito i toni nei confronti di Nuova Delhi.
Il presidente filippino Ferdinand Marcos Jr. ha promesso «contromisure» contro «gli attacchi pericolosi e aggressivi» della Cina nel Mar cinese meridionale.
A cura di Francesco Mattogno